Le elezioni negli Emirati Arabi Uniti sono ridotte a un ristretto numero di cittadini che distribuiscono il potere tra le famiglie più importanti, mentre ne viene completamente esclusa la maggioranza della popolazione.

Secondo una stima ufficiale effettuata nel 2020, negli Emirati Arabi Uniti vivevano in quel momento quasi 9,3 milioni di persone, più del doppio rispetto ai 4,1 milioni registrati dal censimento del 2005. Eppure, osservando i dati delle ultime elezioni legislative tenutesi lo scorso 7 ottobre, notiamo come appena 398.879 persone fossero registrate nelle liste elettorali, il che significa che appena il 4,3% delle popolazione residente gode del diritto di voto.

Questa proporzione così misera si deve in gran parte agli scarsi diritti di cui gode la popolazione migrante, che rappresenta la stragrande maggioranza di coloro che vivono nello Stato del Golfo. Infatti, osservando i dati demografici del 2015, più del 38% della popolazione era di origine indiana, una cifra che raggiunge quasi il 60% se si considerano tutti i Paesi dell’Asia meridionale. Egiziani e filippini costituiscono altre due minoranze molto diffuse, rappresentando rispettivamente il 10% e il 6% della popolazione complessiva, mentre i residenti di effettiva origine emiratina ammontavano ad appena l’11,6% del totale.

I forti flussi migratori verso gli Emirati spiegano anche l’improvviso aumento di popolazione che la federazione ha fatto registrare negli ultimi decenni, ma, anche contando solamente le persone di effettiva provenienza emiratina, resta comunque una grande discrepanza rispetto al ridotto numero di coloro che beneficiano del diritto di voto. In pratica, le elezioni negli Emirati sono riservate ad un ristretto numero di cittadini che distribuisce il potere tra le famiglie più importanti che governano i sette emirati federati, motivo per il quale anche tra gli stessi elettori non sembra esserci grande entusiasmo per la scadenza elettorale, come dimostra il 44% di affluenza alle urne (nel 2019 era stata addirittura inferiore al 35%).

Un’altra ragione che rende le elezioni emiratine poco interessanti per gli elettori deriva dalla natura stessa del Consiglio Nazionale Federale (al-Majlis al-Watani al-Ittihadi), il massimo organo elettivo del Paese. Innanzi tutto, il CNF non è un organo legislativo, ma ha unicamente funzione consultiva, il che significa che non ha il potere di legiferare né di prendere decisioni vincolanti in nessun ambito. In secondo luogo, dei 40 seggi che compongono il CNF, solamente 20 vengono distribuiti in base ai riscontri delle urne, mentre gli altri 20 rappresentanti vengono nominati dagli emiri dei sette emirati federati. Per quanto riguarda la distribuzione degli scranni elettivi, Dubai e Abu Dhabi eleggono quattro rappresentanti a testa, Sharjah Ras al-Khaimah tre, AjmanFujairah e Umm al-Quwain due. In pratica, le elezioni hanno ben poca influenza sull’effettivo indirizzo delle politiche del governo federale emiratino.

Se nel 2006, quando furono introdotte per la prima volta, le elezioni negli Emirati rappresentarono un passo avanti rispetto all’assolutismo precedente, oggi i grandi cambiamenti vissuti dal Paese dovrebbero portare a nuovi cambiamenti per rendere il sistema più adatto al nuovo contesto. Non bastano infatti alcuni traguardi, pur ragguardevoli, come l’elezione di un cospicuo numero di donne nel CNF per considerare soddisfacenti i risultati raggiunti dal Paese in materia di inclusività. Ad oggi, gli emiri continuano a possedere un potere quasi assoluto, come quello di negare il diritto di voto a qualsiasi cittadino a propria discrezione. Inoltre, le grandi masse di lavoratori che oramai vivono da anni negli Emirati dovrebbero essere a loro volte incluse nella vita politica della federazione del Golfo, anziché continuare a vivere in uno stato di semischiavitù.

Numerosi media e organizzazioni internazionali hanno denunciato le condizioni alle quali viene sottoposta la popolazione migrante negli Emirati Arabi Uniti. In seguito a numerose proteste e denunce, nel 2006 il governo aveva promesso che avrebbe consentito la formazione di sindacati, fatto che tuttavia ancora non è stato messo in atto. Al momento, negli Emirati sono consentite solamente alcune associazioni professionali con un raggio d’azione molto limitato. Secondo il Labour Rights Index, gli standard lavorativi degli Emirati Arabi Uniti risultano essere molto bassi anche rispetto a quelli di altri Paesi della regione mediorientale.

CLICCA QUI PER LA PAGINA FACEBOOK

Giulio Chinappi – World Politics Blog

Di Giulio Chinappi - World Politics Blog

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Nel 2018 ha pubblicato il suo primo libro, “Educazione e socializzzione dei bambini in Vietnam”, Paese nel quale risiede tuttora. Nel suo blog World Politics Blog si occupa di notizie, informazioni e approfondimenti di politica internazionale e geopolitica.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy: