Dei gruppi studenteschi nelle loro pagine social hanno inneggiato alla resistenza palestinese. Il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara è stato colto «da un senso di disperazione e di rabbia profonda» perché crede che «nessuno abbia il diritto di esprimere opinioni così aberranti». In preda all’indignazione, si è precipitato a rovistare nel suo strumentario e gli sono venuti per le mani un paio di arnesi che, a naso, potevano fare al caso suo: così, ha disposto subito un’ispezione nelle scuole frequentate dai presunti autori dei post proibiti, e ha dato incarico alla direttrice dell’ufficio scolastico regionale di raccogliere tutte le informazioni necessarie per predisporre una dettagliata relazione sui fatti. In attesa della chiusura dell’istruttoria, ha pensato bene di anticipare la sentenza auspicando che i responsabili siano puniti in modo esemplare con la prigione, in quanto «personaggi di mentalità nazista, che devono essere isolati e condannati senza se e senza ma».
La reazione ministeriale merita qualche considerazione a margine.
Premesso che, se nel pandemonio della rete i commenti in questione sono formulati in modo da integrare gli estremi di un reato spetta all’autorità competente (che non è il ministro dell’istruzione) procedere, ci si chiede cosa avrebbe potuto fare, passando di là, uno che si trovasse per caso a rivestire quella carica. Vien da rispondere che, proprio in funzione educativa, costui avrebbe potuto, per esempio, invitare i giovani a riflettere sulla diversità dei piani concettuali che entrano in gioco in una vicenda di infinita complessità, e ad approfondirla sotto il profilo storico, politico, culturale, religioso. Avrebbe potuto, anche, sottolineare la differenza che passa tra una fazione armata e un popolo, all’interno di un’area travagliata che si presenta come un caleidoscopio di mutevoli alleanze.
Invece no. Il monoteismo gnoseologico è capace di far perdere di vista il senso del limite: quello che riguarda l’esercizio del proprio ruolo, la legittimità e l’opportunità della propria azione istituzionale. Fino magari ad arrivare allo straripamento di potere.
Infatti la funzione ispettiva, anche se a orecchio può evocare la figura dell’investigatore sulla scena di un crimine, nel sistema di istruzione ha un significato preciso: opera con finalità di verifica e vigilanza sull’andamento della attività scolastica e dei relativi servizi, e presuppone la sussistenza di un rapporto gerarchico tra chi la esercita e chi vi sia sottoposto. Lo studente e la sua condotta non sono assoggettabili a ispezioni ministeriali. Tantomeno per atti compiuti nell’etere, al di fuori delle mura scolastiche.
Insomma, l’attrezzo trovato in armadio, anche se porta un bel nome, parrebbe inadeguato alla bisogna.
E però, bando alle formalità. E allora anche l’uso strumentale di un mezzo a disposizione può senza dubbio tornare utile per avvertire una volta di più tutti coloro che bazzicano la scuola, docenti e discenti, che la dottrina va rispettata, che sulla ortodossia di pensiero vigila un ineludibile apparato psicopoliziesco inquisitorio e sanzionatorio e che dalla gogna mediatica è un attimo finire chi sa dove, persino dietro le sbarre. E il ministro, in un moto di irrefrenabile garantismo, dichiara di sperarlo.
Mutatis mutandis, ne sa qualcosa anche un tale Zaki, che tanto piaceva alla gente che piace ed era celebrato nei salotti di destra e di sinistra come simbolo della libertà di pensiero e di parola, ma che, per un pensiero e una parola affini a quelli degli studenti incriminati, è passato d’un tratto dagli altari alla polvere, meritevole di censura e insulto libero.
Tornando a noi e al ministro, l’amplificazione di un messaggio social non allineato, accompagnata da una straordinaria enfasi punitiva, assume un’evidente finalità pedagogica erga omnes. Suona come intimidazione generalizzata e preventiva, gravando di un’altra pesante ipoteca alcune libertà fondamentali, dalla libertà di insegnamento a quella di manifestazione del pensiero, e quest’ultima proprio in capo a quanti un pensiero libero dovrebbero imparare a esercitare a partire dal luogo dove esso viene apertamente conculcato.
Un cortocircuito di senso in cui resta impigliato il ministro stesso quando, nel ridurre ad hitlerum i ragazzi che non la pensano uguale, dice che la scuola deve sempre mettere «la persona al centro» per «tenere vivo questo meraviglioso pluralismo culturale». «Questo» quale?
Va notato che nessuno ha battuto ciglio di fronte alle licenze poetiche e amministrative del titolare del dicastero. Ma forse c’è da farsene una ragione, visto che in realtà della scuola è rimasta solo l’insegna appesa sulla facciata fatiscente di un edificio diroccato, e a questo punto tanto varrebbe cambiarla. Al suo posto, e a sostegno dell’indottrinamento mediatico sostitutivo, lavora a ciclo continuo la fabbrica degli obbedienti, allevati a pane e agende; quella dove anche la trasgressione (per finta) viene servita insieme al pasto precotto dentro il pacchetto che porta i colori dell’arcobaleno oppure l’effige della fanciulla con le treccine, e il pacchetto contiene pure gli “scioperi” organizzati, promossi e pre-giustificati dalla autorità. Questi cosiddetti scioperi si chiamano, per esempio, Fridays for Future – ché si chiamassero Venerdì per il Futuro non se li filerebbe nessuno. Così il sistema regala agli scolari l’ebbrezza di sentirsi contro, rigorosamente in inglese, mentre di fatto rastrella torme di inconsapevoli soldatini al servizio del monopensiero e della posa conforme.
Del resto, quando parliamo di scuola parliamo di un luogo ormai profanato, completamente svuotato delle conoscenze e riempito da mucchi di propaganda trasportata in groppa alle belle parole del vocabolario globalizzato. Del luogo che, guardacaso, nel biennio pandemico è stato teatro stabile di rituali grotteschi e pratiche disumane grazie al pretesto biosecuritario. Dove è stato praticato impunemente il bullismo istituzionale, dove la discriminazione e l’apartheid per motivi ideologici erano all’ordine del giorno, e all’epoca nessun ministro fiatava. Sempre per via che c’è una dottrina che non ammette deroghe, men che meno eresie, altrimenti si è dannati.
Ultimo avviso, dunque. Il postino stavolta ce lo ha recapitato così.
P.S. Giunge fresca la notizia che un liceale minorenne di Gubbio che venerdì (Friday) scorso, non volendo aderire allo “sciopero” (lo chiamano proprio così) per il clima, tentava di entrare a scuola, è stato picchiato a sangue da un altro studente, un ecoattivista evidentemente molto devoto. Al momento non sembra il ministro abbia disposto ispezioni, né invocato pene detentive per il picchiatore. Forse perché costui ha agito per giusta causa?