Vincenzo Comito

La tragedia in Israele e Gaza non deve far dimenticare le trasformazioni di più lungo periodo dell’ordine mondiale, guidate dall’evoluzione economica delle diverse aree del mondo. Facciamo il punto sui nuovi rapporti di forza nell’economia del pianeta.

La tragedia in Israele e Gaza, la guerra in Ucraina, il moltiplicarsi di conflitti “locali” hanno radici storiche e politiche profonde, specifiche a ciascuna area, ma si inseriscono in un quadro comune, segnato dalla crescente fragilità dell’ordine internazionale. Oggi si trovano quasi tutti d’accordo sull’idea che il mondo uscito dalla seconda guerra mondiale stia ora progressivamente svanendo, come intitolava ad esempio un recente articolo di “Le Monde” (Frachon, 2023). Il segretario generale della Nazioni Unite, Antonio Guterrez ha ribadito che “le strutture attuali di governance mondiale riflettono il mondo di ieri”. Ma ci sono idee piuttosto confuse su come esso si stia veramente trasformando e in che direzione si stia andando. E non manca chi cerca di frenare il movimento. 

Certo, non siamo nella situazione in cui si è trovato a suo tempo Claudio Rutilio Namaziano, che, partito in nave da Roma per ritornare alla natia Gallia dopo un soggiorno nella capitale dell’Impero e facendo sosta ogni sera lungo il percorso in un porto diverso, assistette in tempo reale al crollo in pochi giorni del sistema imperiale, città per città (è il tema del suo poema De reditu suo, diventato di recente un film, De reditu, “Il ritorno”). Nel nostro caso il percorso appare invece lungo e tortuoso. 

C’è un vasto accordo sul fatto che la potenza economica, finanziaria, tecnologica, militare degli Stati Uniti, sino a ieri paese di gran lunga dominante, si stia progressivamente riducendo rispetto al resto del mondo, anche se il dibattito è aperto su quanto forte sia tale riduzione e come si collochi oggi invece in termini di peso effettivo la potenza in ascesa, la Cina, rispetto a quello degli Stati Uniti.

Certo, per quanto riguarda le trasformazioni in atto alcuni dati appaiono impressionanti. Secondo i calcoli di IMF e Banca Mondiale, nel 2022 il pil cinese, calcolato con il criterio della parità dei poteri di acquisto, risultava ormai grosso modo pari al 19% di quello mondiale e quello degli Stati Uniti “solo” al 15%. 

Anche in campo tecnologico studi recenti nostrano come la Cina tende a diventare più importante degli Stati Uniti, anche se essa presenta qualche debolezza su alcuni settori. Una ricerca australiana (Hurst, 2023), sponsorizzata anche dal dipartimento di Stato statunitense, indica in effetti che su 44 settori tecnologici esaminati nello studio la Cina ha oggi il primato su tutti gli altri paesi, compresi gli Stati Uniti, in ben 37 di essi, mentre questi ultimi continuano a guidare il resto del mondo soltanto nelle restanti 7 tecnologie. Nessuno degli altri paesi ha quindi il primo posto in qualche settore.

In particolare gli sviluppi in atto nel campo delle tecnologie relative alle energie rinnovabili, settore nel quale il dominio della Cina appare quasi incolmabile, mostrano la forza di tale trasformazione in atto. 

Più in generale il mondo occidentale non appare più egemonico ed esso ha perduto e sta perdendo un numero crescente dei suoi monopoli. Ricordiamo, a questo proposito, che ormai i paesi in via di sviluppo controllano circa il 60% del pil mondiale e che nel 2030 i due terzi delle classi medie saranno in Asia. La partita, per molti versi, sembra ormai decisa.

Gli Stati Uniti cercano di resistere

Ma gli Stati Uniti non vogliono riconoscere le nuove realtà in atto. Graham Allison, professore ad Harvard, riassume perfettamente la situazione: “Gli americani sono scioccati dall’idea che la Cina non resti al posto che gli era stato a suo tempo assegnato in un ordine internazionale diretto dagli Stati Uniti” (Bulard, 2023).

Così, dopo le misure varate da Trump contro le merci asiatiche, con Biden l’ostilità è fortemente aumentata. Si è sviluppata un’offensiva economica, tecnologica, finanziaria, militare, politica, tout azimut, rivolta contro tutte le iniziative e le mosse di Pechino, cercando di coinvolgere quanto più paesi possibile in tutti i continenti e su tutte le questioni.

Una nuova isteria maccartista ha conquistato tutti gli strati della società e della politica Usa, se escludiamo alcune parti del sistema economico che hanno invece interesse a sviluppare i rapporti con il paese asiatico.

L’offensiva di Washington presumibilmente fallirà, almeno in gran parte, ma essa rischia di danneggiare intanto gravemente la relativa pace del mondo e lo sviluppo dei rapporti economici tra i vari paesi del mondo.

Verso un nuovo ordine multipolare?

Certamente Cina e Stati Uniti saranno i due massimi protagonisti della scena mondiale ancora almeno per un lungo periodo, con la stessa Cina che dovrebbe accrescere ancora il suo peso rispetto al rivale. Essi continueranno comunque insieme a condizionare gli sviluppi del mondo in maniera molto rilevante. Ma la rivalità tra i due paesi non sembra poter esaurire il quadro del nuovo ordine mondiale in via di formazione. Può darsi che si stia configurando un secolo cinese, come pensano alcuni, ma molti altri prevedono invece l’affermazione di un mondo pluralista, in cui, accanto ai due giganti economici, si affermino una serie di potenze intermedie che, cercando di tenere buoni rapporti con i due, tendano comunque ad affermare la propria autonomia.

Bisogna considerare che gli stessi cinesi auspicano da parte loro la costruzione di un mondo multipolare. 

Qualcuno ha parlato a proposito di questi nuovi sviluppi di “età delle potenze intermedie”, sia nel senso di un loro peso economico e politico piuttosto consistente, che in quello di una posizione di mezzo tra le due grandi potenze. Invece di un menu di alleanze a prezzo fisso, in cui bisognava scegliere uno dei due campi, si potrebbe affermare un mondo con scelte à la carte (Russell, 2023), in cui magari i vari paesi tendano anche a giocare le due grandi potenze una contro l’altra, per ottenere il massimo dei vantaggi possibili. C’è chi, ad esempio lo storico Franco Cardini (Cardini, 2023), vede peraltro delinearsi un “multipolarismo imperfetto”, “confuso, slabbrato, pieno di labilità e di incognite”. 

I rapporti Cina-Usa 

Bisogna comunque a questo punto fare una disgressione. Da anni ormai gli Stati Uniti perseguono in ogni modo il tentativo di ridurre al massimo i rapporti economici con la Cina e stanno cercando anche di spingere i fedeli e mediocri esecutori che guidano Bruxelles a fare altrettanto. E certo qualche risultato è stato in questo senso raggiunto e qualcun altro potrebbe seguire. Ma bisogna d’altro canto considerare che tale politica di riconfigurazione delle catene di approvvigionamento è alla fine almeno in parte evitata dalla Cina attraverso una triangolazione di produzioni. Le imprese del paese asiatico, invece di esportare le loro merci direttamente in Usa, lo fanno attraverso paesi terzi; la dipendenza degli Stati Uniti dalla Cina rimane così intatta (The Economist, 2023) ed anzi le mosse di Biden spingono a più stretti legami tra la Cina e gli altri paesi esportatori, ottenendo così l’effetto opposto a quello desiderato. Mentre gli Stati Uniti non possono fare a meno di alcuni tipi di prodotti cinesi, ora la lotta al cambiamento climatico ha comunque bisogno del sostegno delle tecnologie e delle produzioni del paese asiatico. 

Tutta la manovra di Biden produce d’altro canto dei costi più elevati per le imprese e per i consumatori, mentre l’industria cinese rappresenta oggi intorno al 30% di quella mondiale, qualcosa in più della situazione presente al momento in cui Trump ha lanciato la campagna anticinese, mentre, più in generale, l’industria mondiale si concentra sempre più nell’Asia del Sud-Est (Bezat, 2023). 

Appare comunque abbastanza chiaro che la stessa Cina, viste anche le difficoltà con l’Occidente, tende a rafforzare fortemente i suoi rapporti economici con i paesi del Sud del mondo. Intanto il Fondo Monetario Internazionale mette in guardia contro una frammentazione geo-economica, una nuova spinta protezionista che potrebbe frenare lo sviluppo dell’economia mondiale (Bezat, 2023).

I paesi Arabi

Uno degli esempi possibili di come si possa configurare il nuovo ordine mondiale è rappresentato dagli sviluppi in atto nei paesi del Golfo (England, 2023).

In tale area ci sono due potenze principali, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, la prima il più importante esportatore di petrolio del mondo, la seconda il centro commerciale dominante. Per diversi decenni tale area è stata fortemente nell’orbita statunitense; gli Usa erano il garante della loro sicurezza, mentre i paesi arabi assicuravano ad essi delle forniture stabili e sicure di energia. 

Ma oggi l’area rifiuta di accettare la domanda degli Stati Uniti di essere con loro o contro di loro (England, 2023). La Cina è oggi in effetti il principale cliente del petrolio del Golfo ed altri importanti partner sono anche l’India e la Turchia. Il commercio dell’Arabia Saudita con la Cina è altrettanto grande in valore quanto quello con gli Usa, la Gran Bretagna e l’UE messi insieme. Al di là del solo commercio, i paesi arabi, assetati di tecnologie, portano avanti importanti progetti nel campo della stessa energia, dell’IA, dell’auto, finanza, infrastrutture, ecc., mentre vengono avanti investimenti diretti reciproci. Con la Cina i paesi del Golfo hanno firmato un accordo di partnership strategica. Essi si sono poi ben guardati di condannare la Russia per la questione ucraina, paese con cui cooperano attraverso l’Opec+. 

Non che i rapporti con gli Stati Uniti siano diventati ostili. Il paese continua ad essere il principale fornitore di armi e l’alleanza militare è mantenuta, mentre continuano ad essere molto rilevanti gli investimenti dei paesi del Golfo in Usa. Si potrebbe dire che la loro sicurezza riposa oggi con gli Usa, la politica energetica si fa con la Russia, mentre la prosperità economica è sempre più legata alla Cina e agli altri paesi asiatici (England, 2023). Essi alla fine sono per un mutamento nell’ordine mondiale e pensano che saranno uno dei poli principali del mondo multipolare emergente.

E gli altri paesi del Sud

Il caso dei paesi del Golfo può essere considerato per molti versi come abbastanza rappresentativo della posizione della gran parte degli altri paesi intermedi, dall’India, al blocco dei paesi dell’Asean, al Brasile, al Sud-Africa, all’Algeria, all’Argentina, alla Turchia, per citarne molti tra i principali, per molti versi alla stessa Germania, anche se quest’ultima rimane un caso particolare. Certo, ognuno di questi paesi ha più simpatie verso uno dei due raggruppamenti, chi verso la Cina/Russia, chi verso gli Stati Uniti, ma comunque essi si sforzano di tenere rapporti amichevoli con ambedue i fronti. 

Un caso particolare è quello dell’India, piuttosto ostile alla Cina, ma amica contemporaneamente di Russia e Stati Uniti, comunque nello stesso tempo partecipe dei raggruppamenti dei Brics, a sostanziale guida cinese e alla Sco, a guida cinese e russa. Un altro caso ancora più particolare è quello della Germania, che, pur inserita nell’area atlantica, vede al suo interno manifestarsi una lotta tra quelli che vogliono mantenere stretti contatti economici con la Cina e gli atlantisti.

Da segnalare infine come la Russia, in relazione agli avvenimenti in Ucraina, stia velocemente spostando la sua collocazione economica dalla Europa all’Asia.    

Il caso degli enti internazionali

Esaminiamo a questo punto la situazione e le prospettive di alcune strutture, pilastri della dominazione statunitense sul mondo, le istituzioni finanziarie e commerciali e il dollaro.  

Dopo la fine della seconda guerra mondiale fu creata una serie di istituzioni che avrebbero dovuto contribuire a stabilizzare il nuovo ordine mondiale uscito dalla fine della guerra. Furono così creati il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e l’Organizzane per il Commercio Mondiale. Tali organismi risultarono presto essere governati in via quasi esclusiva dagli Stati Uniti, anche se l’Europa avrebbe avuto diritto, per graziosa concessione Usa, alla direzione del Fondo. 

Tali organismi si trovano oggi in grande difficoltà e per diverse ragioni. Prendiamo in particolare il caso del Fondo Monetario Internazionale. Oggi molti paesi in via di sviluppo, dal Brasile alla Cina, contestano le sue operazioni, indicando che tali organismi sono operanti e sono organizzati per favorire l’Occidente ed anche al recente vertice dei Brics è stato chiesto una maggiore rappresentanza nell’organismo per i paesi in via di sviluppo. Lo stesso segretario generale dell’Onu ha chiesto una più grande peso dei paesi in via di sviluppo nelle organizzazioni internazionali. Lula ha poi espresso preoccupazione perchè a suo dire il Fondo asfissia le economie in difficoltà ponendo condizioni molto dure al loro salvataggio (Beattie, 2023). 

In teoria è allo studio una revisione delle quote dei vari paesi. Considerando il suo peso economico, la Cina dovrebbe passare dall’attuale 6,4% di quote al 14,1%, mentre gli Stati Uniti dovrebbero scendere dal 17,4% al 14,8% (Beattie, 2023), perdendo anche il diritto di veto sulle decisioni dell’organismo. Ma questi ultimi sono ovviamente contrari a questo mutamento e la situazione appare bloccata. Intanto il Fondo, come la Banca Mondiale, avrebbero bisogno di molti più fondi per operare (la cooperazione dei paesi ricchi diminuisce mentre le necessità dei paesi del Sud aumentano; è stato così calcolato che la Banca Mondiale ha oggi una capacità di finanziamento cinque volte minore che negli anni sessanta del Novecento (Bouissou, 2023), all’aumento dei quali la Cina potrebbe collaborare in maniera sostanziale. 

Con il blocco, i tre organismi stanno sempre più perdendo di rilevanza, mentre la Cina, i parte con altri paesi, sta potenziando dei meccanismi alternativi, che tendono a diventare più importanti di quelli citati. Ricordiamo che sono in piedi orami da dieci anni i meccanismi della BRI, che in tale periodo ha messo in opera investimenti per mille miliardi di dollari rivolti a 150 paesi. Ci sono poi gli organismi di finanziamento del commercio estero del paese asiatico, mentre ormai funziona quasi a pieno regime l’AIIB, rivolta all’Asia e si stanno potenziando le istituzioni bancarie dei Brics e dello Sco.

La dedollarizzazione

L’egemonia degli Stati Uniti sul resto del mondo riposa per una parte molto consistente sul controllo della moneta internazionale, il dollaro. La moneta Usa è di gran lunga la più usata per gli scambi commerciali, per le operazioni finanziari sui mercati, come infine moneta di riserva, portando ad un “esorbitante privilegio” per il paese, come ha detto qualcuno. In tale situazione, da una parte il paese si può permettere una politica di bilancio molto libera, dall’altra può condizionare e ricattare gli altri paesi del mondo.

Come è noto, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina gli Stati Uniti hanno reagito tra l’altro con il sequestro delle riserve in dollari della Russia; ma è anche noto che tale misura ha scosso in profondità i governi della gran parte dei paesi del Sud, che hanno cominciato a pensare che la stessa cosa avrebbe potuto succedere anche a loro in futuro. 

Così negli scorsi mesi abbiamo assistito ad una serie di iniziative anche disordinate volte a ridurre il peso del dollaro nel regolamento delle transazioni commerciali tra i vari paesi. Il fenomeno più vistoso manifestatosi sino ad oggi è indubbiamente il passaggio dal regolamento della maggior parte delle transazioni della Russia dal dollaro allo yuan. C’è da dire che in generale le ipotesi della sostituzione del dollaro con lo yuan non sembra completamente fattibile, vista l’ostilità da parte di alcuni paesi, ma comunque il suo ruolo dovrebbe aumentare fortemente. Intanto va avanti il progetto dello yuan elettronico. I Brics stanno ora discutendo su quale meccanismo utilizzare per ancorarvi i loro scambi. Comunque l’abbandono del dollaro da parte dei paesi del Sud, che a chi scrive sembra ormai inevitabile, si potrà svolgere solo lentamente e con fatica, visto il radicamento profondo dell’attuale sistema e la resistenza occidentale a ogni cambiamento. Il dollaro conserverà peraltro ancora a lungo un ruolo importante.

Certo la soluzione migliore sarebbe quella di riformare il sistema monetario internazionale sulla base del meccanismo dei diritti speciali di prelievo, soluzione anch’essa osteggiata dagli Stati Uniti. 

Conclusioni

Nel testo abbiamo cercato comunque di cogliere i movimenti essenziali delle trasformazioni in atto nell’assetto dell’ordine mondiale.

Tale trasformazione procede lentamente, almeno su alcuni fronti, ma apparentemente in maniera inesorabile. Forse non si tratta tanto di un passaggio del testimone dagli Stati Uniti alla Cina, come si era magari portati a pensare qualche tempo fa. Tale ipotesi si scontrerebbe da una parte con le evidenti riserve di una parte almeno dei paesi del Sud, ma anche con l’apparente scarso interesse della stessa Cina ad occupare tale ruolo, anche se essa non è da scartare del tutto. Questo non toglie che la Cina si avvii probabilmente ad essere la potenza economica più rilevante a livello economico e tecnologico e non impedisce il fatto che gli Usa conservino comunque una forza considerevole in diversi campi.

Naturalmente la storia ci ha abituato a sconvolgimenti anche repentini della situazione e le previsioni che possiamo fare sono comunque soggette a molta cautela. 

Ci troviamo oggi comunque in una situazione nella quale, per riprendere un’idea di Gramsci, il vecchio ordine non ce la fa più e il nuovo stenta ancora ad emergere. Si può ricordare a questo proposito come la crisi del ‘29 sia stata anche provocata dal fatto che la Gran Bretagna non aveva più la forza per governare il mondo e gli Stati Uniti non erano ancora pienamente in grado di sostituirla. Viviamo degli anni di rilevanti disordini che potrebbero appunto essere originati dalla mancanza di un nuovo e chiaro ordine delle cose (Leonhardt, 2023).

In ogni caso, se andiamo verso un mondo pluralista, come sembra di poter intravedere, bisogna cercare di creare al più presto delle istituzioni adeguate per il suo governo. Tra l’altro, sarebbe necessario varare un nuovo sistema monetario inclusivo e mettersi d’accordo sul rinnovamento di Banca Mondiale, Fondo Monetario, Organizzazione per il Commercio. La maggiore difficoltà alla costruzione di tale sistema rimangono gli Stati Uniti. 

Testi citati nell’articolo

-Beattie A., Why the «Global South» isn’t running the IMF, www.ft.com, 5 ottobre 2023

-Bezat J-M., Chine-Etats-Unis, l’impossible divorce, Le Monde, 29 agosto 2023

-Bouissou J., FMI et Banque mondiale : le Sud veut peser, Le Monde, 11 ottobre 2023

-Bulard M., Quand le Sud s’affirme, Le Monde diplomatique, ottobre 2023

-Cardini F., La deriva dell’Occidente, Laterza, Bari-Roma, 2023  

-England A., « Bridges with everyone » : how Saudi Arabia and UAE are positioning themselves for power, www.ft.com, 23 agosto 2023 

-Frachon A., Le monde post-1945 s’efface, Le Monde, 6 ottobre 2023

-Hurst D., China leading US in technology race in all but a few fields, thinktank finds, www.theguardian.com, 2 marzo 2023

-Leonhardt D., The global context of Hamas-Israel war, www.nytimes.com, 9 ottobre 2023 

-Russell A., The à la carte world : our new geopolitical order, www.ft.com, 21 agosto 2023

The Economist, Costly and dangerous, 12 agosto 2023

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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