“Noi abbiamo inventato la felicità” – dicono gli ultimi uomini e strizzano l’occhio.
Friedrich Nietzsche
“Contro i Golia del nostro tempo” è il motto de “La Fionda”. E chi sarebbero questi “Golia”? Circolano diversi nomi e cognomi, ma non è questo che mi interessa. La domanda che pongo è la seguente: con che cosa abbiamo a che fare? Qual è la natura del potere che viene esercitato nel secolo XXI? Che cos’è che abbiamo davanti?
A mio modo di vedere, e per quello che può valere il mio parere, l’occidente non ha subito alcun processo di secolarizzazione. Il potere ecclesiastico non ha mai abdicato a quello civile. Stiamo semplicemente transitando da una religione a un’altra, da un clero ad un altro, da una schiera di fedeli a un’altra. Del resto, già Edmund Burke aveva intuito che “l’uomo è per costituzione un animale religioso”. Per i laici, dominati o dominanti che siano, non c’è spazio e non c’è tempo a quanto pare.
La tesi che mi accingo a sostenere non può che apparire una forzatura. Io stesso percepisco la società in cui vivo come tendenzialmente laica. Non ritengo che i retaggi del cristianesimo – né le nuove forme religiose che si stanno facendo largo nella tela planetaria tessuta da internet – configurino delle dinamiche dominanti. Per come le vedo io, convivono più o meno pacificamente e convintamente con un assetto di potere che le tollera. Un potere laico. Certo piuttosto cinico, ma laico. Questo è quello che vedo.
La ragione che mi spinge a sostenere il carattere religioso – fondamentalmente e integralmente religioso – della nostra società, anche se non la percepisco come tale, si può sintetizzare con il titolo di un libro di Carlo Rovelli: “La realtà non è come ci appare”. Un noto aneddoto narra di un pesce che non sa che cos’è l’acqua. Non lo sa perché è nato e cresciuto nell’acqua. L’acqua è tutta attorno a lui. L’acqua è dentro di lui. Non può sapere cos’è perché, da quando è al mondo, l’acqua è sempre stata proprio davanti al suo naso. A meno che il pesce non salti sopra la superficie delle onde: al culmine della parabola, per un attimo prima di immergersi ancora, riesce a vederla. Per vederla, deve uscirne.
Fuor di metafora, ho l’impressione che siamo talmente intrisi di una certa religione da non percepirla nemmeno come tale. Per vederla, provo a saltare sopra la sua superficie. Più concretamente, provo a fare un ragionamento sui tratti tipici di certe religioni e su ciò che osservo quotidianamente.
Gli elementi strutturali di un sistema religioso, per come lo intendiamo noi oggi in occidente, sono essenzialmente tre: un impianto dogmatico, una forma trascendentale e una dimensione escatologica. A me pare che questi tre elementi siano tutti saldamente presenti nella nostra quotidianità. Vengono continuamente celebrati dalla classe dominante, traboccano dagli schermi che consultiamo con fare compulsivo. Inevitabilmente, ne sono intrisi i nostri pensieri, le nostre parole, le nostre azioni. Certo, i contenuti sono diversi da quelli che hanno caratterizzato il cristianesimo, ma ciò non li rende meno pervasivi e persuasivi di quelli che stanno rimpiazzando.
Cominciamo con i dogmi. Un dogma è un’affermazione che viene presa per vera, che non viene messa in discussione. Beninteso, un dogma deve essere in netto contrasto con l’evidenza. Se così non fosse, se predicasse ciò che effettivamente osserviamo, sarebbe un dato di fatto, e non ci sarebbe alcun bisogno di credervi ciecamente. Così, nelle chiese, viene celebrata la Vergine Maria sebbene non esistano madri vergini. La rappresentazione del mondo che caratterizza la nostra società ha un suo impianto dogmatico?
A me pare proprio di sì. Vogliamo parlare della crescita (nel senso tecnico ed economico del termine), che viene celebrata e auspicata in tutte le salse e occasioni dai vertici istituzionali, e che abita tanto l’immaginario del banchiere quanto quelli dell’imprenditore e dell’”uomo della strada”? Per rendersi conto di quanto il concetto di crescita sia avulso dall’evidenza, con l’economista Kenneth Boulding è utile osservare che «chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito è un pazzo, oppure un economista». Se pensiamo al concetto di crescita, a come viene celebrato e a quanto contrasta con l’evidenza, è chiaro che si tratta di un dogma a tutti gli effetti. Per fare qualche altro esempio di dogmi del nostro tempo, posso citare la globalizzazione, o la digitalizzazione: lascio al lettore il facile compito di riconoscere il loro carattere genuinamente dogmatico.
Passiamo ora al secondo aspetto, la trascendenza. Con un semplice esperimento potetevi convincervi da soli che la nostra società ammette una forma genuinamente trascendentale: la tecnica (il cui aspetto immanente è quello che comunemente chiamiamo tecnologia). L’esperimento consiste nel dire a qualcuno – anche se non lo pensate – che forse occorrerebbe porre un freno allo sviluppo tecnico: in genere vi guarderanno con uno sguardo che oscilla tra il compassionevole e il divertito, e vi diranno che non si può fare, che il progresso tecnico è inarrestabile, che ormai vive di vita propria. Ora io chiedo: che cosa c’è di più trascendente di qualcosa che, nel bene e nel male, condiziona intimamente la nostra esistenza, ma su cui non abbiamo alcuna possibilità di intervenire, foss’anche solo per moderarlo?
Per quanto riguarda il terzo punto, la dimensione escatologica, basta osservare che per “l’uomo della strada” non meno che per quello del palazzo la tecnica – o il suo divenire, meglio noto come “progresso tecnico” – incarna la promessa di una condizione umana migliore. Indica e lastrica la via che conduce alla salvezza. Certo, una salvezza terrena, ma pur sempre una forma di salvezza. Per fare un caso concreto, si pensi al ruolo che la tecno-scienza (la scienza al servizio della tecnica) ha avuto negli ultimi tre anni. Si pensi anche al trattamento che è stato riservato a coloro che hanno declinato l’invito alla salvezza tecnica: per chi l’ha vissuto non è stato difficile riconoscerlo come un atto di integralismo religioso.
Dogmi, trascendenza ed escatologia si intrecciano oggi non meno di quanto avveniva nel cristianesimo: l’aspetto trascendentale della tecnica permea i dogmi della crescita, della globalizzazione e della digitalizzazione almeno quanto pervade l’escatologia materiale, la nostra prospettiva di salvezza terrena.
In sintesi, a me pare che gli aspetti cruciali della religione siano pienamente operativi nella nostra società, ma li abbiamo a tal punto interiorizzati e naturalizzati che non li riconosciamo come tali. Se è per questo, presumo che nemmeno i medioevali si ritenessero cristiani, perché a quell’epoca il mondo cristiano non era uno dei modi possibili, era il mondo tout court: il resto del mondo non era un altro mondo, ma le lande desolate della perdizione in cui si aggiravano pericolosamente gli infedeli. Così mi sembra stia avvenendo oggi: nel tecnoevo – nell’età della tecnica – il mondo ad alto contenuto tecnologico è l’unico che gode del diritto di cittadinanza nell’immaginario collettivo. “Ed ora sei quasi convinto che non può esistere un’isola che non c’è” cantava Edoardo Bennato. L’esistente esaurisce il possibile, oggi come nel passato.
Non so se le cose stanno come ho provato a descriverle. Mi limito ad osservare che, se stanno così, rimanere “contro i Golia del nostro tempo” è un’impresa più complessa di quanto sembri. Questi “Golia” sono certo dei superdotati – nel senso che dispongono di grandi mezzi – e ciò rende di per sé problematico non assecondarli. Se poi, come sospetto, nel loro insieme configurano pure una setta di invasati, se sotto la giacca e la cravatta hanno pure la tunica tecnoevale, per rimanere all’opposizione forse occorre qualche accorgimento in più. Forse occorre armare “La Fionda” con qualche pietra particolare.
In fondo, quando Margaret Tatcher salutava gli esordi del neoliberismo tecno-scientifico affermando “there is no alternative”, non diceva niente di diverso da ciò che enuncia il primo dei comandamenti: “non avrai altro Dio all’infuori di me”.
La religione è l’oppio dei popoli.
Karl Marx