Il 13 ottobre tre ONG – ActionAid Italia, il collettivo per la difesa delle terre malgasce BMTT e la francese Colletif Tany – hanno presentato un’istanza contro la società italiana di energie rinnovabili Tozzi Green per le sue attività agroindustriali in Madagascar. Queste, secondo le organizzazioni, sarebbero state praticate «in maniera non conforme alle linee guida per le multinazionali stabilite dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE)». Nel documento, depositato presso il Punto di Contatto dell’OCSE in Italia – un organo creato dal nostro Governo per garantire che le direttive rivolte alle grandi imprese siano rispettate nel migliore dei modi – i gruppi nello specifico accusano la società italiana di aver violato i diritti umani delle popolazioni residenti nella regione di Ihorombe, nella parte meridionale del Madagascar, e di essersi macchiata di ‘land grabbing’, ovvero di aver rubato le terre alla popolazione locale.
Una pratica, quest’ultima, che Oxfam descrive come «l’accaparramento di una larga porzione di terra, venduta ad aziende o governi di altri paesi» che la utilizzano «per la coltivazione intensiva di prodotti da esportare» senza il consenso «delle comunità che ci abitano o che la utilizzano per produrre il loro cibo» che quindi sono costrette a spostarsi. Un modo di ottenere il controllo su un certo quantitativo di terreno ritenuto formalmente regolare, ma che, oltre ad essere lesivo per il suolo e le persone che ci vivono, spesso cela modalità di acquisto poco trasparenti.
L’istanza spiega che la Tozzi Green, presente nella regione di Irohombe con la sua filiale Jatropha Technology Farm Madagascar (JTF-Madagascar), ha stipulato in dieci anni due contratti di affitto, di durata trentennale, direttamente con il Governo nazionale: uno nel 2012 e l’altro nel 2018. Il primo ha riguardato un’area di circa 7mila ettari, posizionata in due comuni della regione. Terreno inizialmente destinato alla coltivazione di jatropha curcas, una pianta utilizzata per produrre agrocarburanti (che però non ha dato il rendimento sperato) poi sostituita con il mais da vendere ai produttori di mangimi. Con il secondo affitto, con cui la Tozzi Green si è aggiudicata un’area di quasi 4mila ettari, le piantagioni di mais sono state estese anche in un terzo comune e accompagnate dalla semina del geranio, utilizzato per la produzione di olio essenziale destinato all’export.
Secondo le associazioni, la procedura per la locazione dei terreni non avrebbe rispettato alcuni passaggi fondamentali: sarebbe avvenuta attraverso pratiche opache e poco inclusive, che non avrebbero tenuto conto degli interessi delle popolazioni locali. Queste ultime, si legge nell’istanza, non sarebbero state informate a dovere, né avrebbero ricevuto una compensazione per l’esproprio. Anzi, le comunità che si sarebbero opposte alla privazione delle terre sarebbero state «minacciate dalle autorità locali e nazionali e sottoposte a pressioni». In generale le organizzazioni credono che la presenza della società abbia reso la vita dei locali ancora più difficile: questi si sarebbero trovati ad affrontare un calo significativo del numero di zebù – animale fonte di reddito e sostentamento – a causa della mancanza di accesso a grandi aree di pascolo, e l’aggravarsi dell’insicurezza alimentare per via delle esportazioni e dell’inaridimento delle risaie. Un fenomeno quest’ultimo, che sarebbe stato causato dalla deviazione dell’acqua da parte di pompe a motore costruite ad hoc.
Dal lato suo la Tozzi Green ha sempre ribadito che i suoi progetti in Madagascar sono invece nati proprio con l’obiettivo di far crescere economicamente e socialmente impresa e territorio, e che «tutte le attività svolte nel Paese sono improntate all’interazione e alla piena condivisione con le regioni ospitanti, le istituzioni e la popolazione nel rispetto delle leggi, dei valori e delle tradizioni locali». In più, secondo la società, le pratiche agricole di conservazione adottate sui terreni presi in carico, giudicati «fortemente degradati», avrebbero contribuito a favorire «lo sviluppo di specie animali come mammiferi, uccelli, rettili ed insetti impollinatori, preziosi per l’arricchimento della biodiversità», nonché la creazione di più di 1.500 posti di lavoro. Partecipando così «al miglioramento diretto delle condizioni di vita delle popolazioni locali e del loro benessere».
Se da una parte le ONG chiedono che l’azienda risarcisca le comunità e restituisca loro le terre, dall’altra la Tozzi Green si dice pronta a dimostrare l’infondatezza delle accuse.
[di Gloria Ferrari]