Operai al lavoro sotto il sole @ArtisticOperations via Pixabay
La Cop28 si propone di arginare il riscaldamento globale, ma costringe i suoi operai a lavorare a temperature estreme. La denuncia di una ong
Gli operai migranti che stanno costruendo i padiglioni per la Cop28 di Dubai hanno lavorato in condizioni di calore estremo, in violazione delle stesse leggi emiratine. È la conclusione di un report della no-profit londinese FairSqare.
«Ho mal di testa e capogiri. Con queste condizioni meteorologiche è inevitabile», spiega uno dei manovali nelle testimonianze riportate dalla stampa internazionale. «La scorsa settimana ho pensato di morire ogni minuto che abbiamo passato all’aperto… ma dobbiamo pur farci pagare» aggiunge un secondo. «Questo caldo non è adatto agli esseri umani», è la conclusione lapidaria dei due.
Lo «stop del mezzogiorno»: cos’è e perché non funziona
Il problema delle alte temperature nei lavori all’aperto non è nuovo. Anche nel bacino del Mediterraneo, che gode di un clima più temperato, da anni i sindacati chiedono lo stop delle attività a rischio nei momenti di massimo pericolo. Nel Golfo il problema esplose in occasione dei mondiali in Qatar del 2022. Un’inchiesta del Guardian rivelò allora che almeno 6.500 lavoratori, tutti migranti, erano morti durante la costruzione delle infrastrutture necessarie alla competizione. Tra le cause, proprio le altissime temperature.
Per porre rimedio a questo problema il governo emiratino ha varato il cosiddetto «stop del mezzogiorno», una legge che vieta i lavori all’aperto negli orari più caldi durante i mesi estivi. Ma secondo FairSquare i cantieri della Cop28 sono rimasti aperti in spregio alle norme.
COP28
Protestare o boicottare? Il dilemma dei movimenti verso la Cop28
Il report spiega che i lavori sono proseguiti quando la temperatura a bulbo umido – l’indicatore usato per calcolare lo stress subito dal corpo umano a causa del calore e dell’umidità – aveva raggiunto i 33 gradi centigradi nelle misurazioni aeroportuali. Otto gradi in più del massimo consigliato, ad esempio, dall’Agenzia statunitense per la sicurezza e la salute sul lavoro.
La questione irrisolta dei lavoratori migranti
La questione dei lavoratori migranti è particolarmente sentita nell’area. Nonostante un Pil pro capite tra i più alti al mondo, la quasi totalità della forza lavoro negli Emirati è composta da immigrati, spesso irregolari o costretti a condizioni di impiego durissime.
Gli organizzatori della Cop28 e il governo emiratino, dal canto loro, hanno assicurato di non aver riscontrato violazioni delle leggi, e interrogati dalla stampa hanno precisato che «gli appaltatori sono tenuti a disporre di piani di sicurezza contro il caldo per i lavoratori e di stazioni meteorologiche che monitorano il limite termico di lavoro, tenendo conto dei parametri di calore e umidità, tra cui la temperatura del bulbo umido e secco e la velocità del vento».
Il paradosso: lavoratori esposti a caldo estremo nel cantiere del vertice anti-riscaldamento globale
Come riporta il Guardian, oltre 5 milioni di persone ogni anno muoiono per il troppo caldo. Una cifra che rischia di crescere a causa della crisi climatica. Alla Cop21 di Parigi del 2015 i leader di tutto il mondo presero l’impegno di limitare l’aumento delle temperature globali ad un massimo di +2 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali, indicando la necessità di rimanere il più possibile vicini agli +1,5 gradi. A distanza di quasi otto anni da quell’accordo il grado e mezzo sembra quasi certamente prossimo ad essere superato – nonostante permangano voci ottimiste – e la strada per i +2°C rimane stretta.
La Cop28 dovrebbe essere l’incontro che mantiene viva questa prospettiva. Ma le premesse, per ora, non sono ambiziose. Le emissioni globali continuano a crescere, e le tensioni geopolitiche sembrano aver reso più difficile il dialogo tra le potenze anche in campo ambientale. La prospettiva di usare gli ingenti fondi della ripresa post-covid come stimolo per la transizione ecologica – la speranza che aveva animato la Cop26 di Glasgow del 2021, la prima dallo scoppio della pandemia – appare quantomeno ridimensionata. E la presidenza emiratina, affidata al CEO dell’azienda petrolifera di stato Sultan Al Jaber, non preme certo per obiettivi radicali.
A scoraggiare gli ecologisti anche la condizione dei diritti umani negli Emirati Arabi Uniti. Amnesty International ha diffuso un documento in vista del vertice in cui esprime preoccupazione per l’agibilità democratica di Cop28, e ha chiesto al governo di Abu Dhabi il rilascio di tutti i prigionieri politici.
La reazione delle organizzazioni non governative
I governi di tutto il mondo non hanno reagito alla notizia. Sdegno è invece trapelato, com’era atteso, dalle organizzazioni che tutelano i diritti umani.
«Il motore economico che permette la prolifica costruzione di grattacieli di lusso e la sopravvivenza dell’economia congressuale e turistica nei Paesi del Golfo è costituito da lavoratori migranti del Sud-Est asiatico. Che in molti casi sono già stati costretti a fuggire dagli impatti economici e sociali devastanti provocati dai cambiamenti climatici nei loro Paesi», ha dichiarato Amali Tower di Climate Refugees ai microfoni del Guardian. «Gli sforzi delle Nazioni Unite per garantire una rappresentanza regionale per le località Cop e il suo impegno nella diplomazia multilaterale non dovrebbero impedirle di denunciare le violazioni dei diritti umani da parte dei Paesi ospitanti, sia nel Golfo che altrove».