Chiara Pannullo

L’assassinio di Giulia Cecchettin è solo l’ultimo di una lunghissima lista. Stando ai dati diffusi dal ministero dell’interno – e aggiornati al 12 novembre scorso – in Italia sono stati registrati in totale 285 omicidi, con 102 vittime donne, di cui 82 uccise in ambito familiare/affettivo; di queste, 53 hanno trovato la morte per mano del partner o ex partner. Con l’omicidio in Veneto, il numero totale delle vittime femminili raggiunge quota 103.

Continuiamo a girarci intorno ma la cronaca ci riporta sempre allo stesso punto: gli uomini odiano le donne?

Gli uomini odiano le donne?

La storia tra i sessi non è la narrazione di un idillio ma di una guerra.

padri odiano le loro figlie. Talora per bocca delle madri, quando insegnano loro che la propria libertà debba essere sempre e comunque erosa dalla possibilità di protezione che ricaveranno da un uomo.

E che sempre un uomo stabilirà il perimetro che la definisce e che il problema del corpo è di chi ne ha uno, non di chi se ne impossessa nella carne e nella morale che impone.

E questo odio è nelle denunce, non di rado inevase, accolte a fatica. Nelle morti di chi, chiedendo aiuto in vita, in realtà si prepara già a una memoria postuma.

Il surplus omicida del troppo amore

Non sembra che gli uomini vogliano farsi carico di un problema che li riguarda così da vicino. Alla base di questo fenomeno, che è al tempo stesso politicosocialegiuridicoculturale e psicologico, c’è un’enorme sottovalutazione quando non una vera e propria negazione.

Quando tante denunce non vengono prese in considerazione o vengono puntualmente sottovalutate, vuol dire che l’intera società non si fa carico del problema.

Lo vediamo in TV e sui giornali. Quando vengono intervistati amici o vicini della donna violentata o uccisa, le risposte sono sempre: «Eppure il marito era una persona a modo». E poi le frasi: «Ha ucciso per troppo amore» o «ha ucciso, ma l’amava tanto» ci dovrebbero far chiedere di cosa stiamo parlando.

Il termine “cura” è sempre stato delegato alla figura femminile, così come il termine “comprensione” è relegato al ruolo materno. L’uomo, invece, per salvare la sua mascolinità pensa che debba essere forte, senza emozioni, senza fragilità. Gli uomini, e la società in generale, hanno della donna una visione “gastronomica”, che ne propugna un uso e consumo voraci.

Quello che prova l’uomo forte è indubbiamente un segnale di come si percepisce e gli permette di costruire una bussola su sé stesso. Un suo baricentro.

Ma quando invece agisce, cioè commette atti violenti, quella bussola viene meno e l’altro, il femminile, da gastronomico diventa il baricentro ossessivo, negativo, della sua vita. Dunque quel che resta dell’altra parte della mela, è l’odio.

Ma l’odio si propaga a tutti i livelli.

Foto Rai News

Odio di Stato

Lo Stato odia le donne e questo è evidente nella giurisprudenza, nelle sentenze verso gli stupri, verso i figli orfani della possessività maschile che ha sottratto loro le madri, nelle mancate tutele e anche nella stessa pretesa secondo cui la donna debba essere ad un tempo repressa (protetta) e infine colpevolizzata dalla possibilità di essere e di vivere nel mondo, al mondo.

Le odia, quando al massimo, verso il femminicidio decida e in extremis, di attuare politiche emergenziali e finga di non aver chiaro che l’emergenza ha un’inizio e una fine, mentre la violenza sulle donne in quanto problema strutturalestoricointergenerazionale, no.

Le odia quando mette in discussione la loro capacità di autodeterminazione, il diritto al proprio corpo e ai processi riproduttivi.

E le odia, quando procede ad aprire prima i luoghi di lavoro – in nome della produttività – e solo dopo, scuole e asili, scaricando come sempre il peso dell’accudimento sulle loro spalle.

La storia tra i sessi, non è la storia di un’idillio ma di una guerra in cui la barbarie è il sistema ideologico che la supporta.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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