Dopo la morte di Giulia Cecchettin per mano dell’ex fidanzato Filippo Turetta, in molti hanno sentito la necessità, su organi di stampa, blog e quant’altro, di dire la propria opinione in merito al fenomeno dei femminicidi. Tra chi cerca di gonfiare i numeri come escamotage per attirare l’attenzione sul fenomeno (mossa, tuttavia, assai controproducente) e chi cerca di minimizzare, le informazioni in circolazione sono confusionarie e contraddittorie. In parte, la causa di ciò è anche dovuta al fatto che in Italia la legislazione non fornisce una definizione univoca e inequivocabile di femminicidio. Stabilire se l’omicidio di una donna rientri o meno nella casistica è in gran parte affidato alla sensibilità dei “soggetti rilevatori”. Nemmeno a livello europeo esiste una definizione coerente tra tutti i Paesi membri, motivo per il quale la comparazione della casistica italiana con quella di altri Stati è fondamentalmente fuorviante e priva di senso.

La difficoltà nel definire un omicidio di una donna nella categoria specifica dei femminicidi sta dunque nel fatto che in Italia non esiste la fattispecie di reato specifica. Per questa ragione, spiega un documento del Senato, “il numero di femminicidi accertati differisce a seconda del soggetto rilevatore e dei criteri di classificazione seguiti”. Il Servizio Studi della Camera dei Deputati scrive chiaramente, il 13 ottobre 2023, che “L’ordinamento italiano non prevede misure volte a contrastare specificamente ed esclusivamente condotte violente verso le donne, né prevede specifiche aggravanti quando alcuni delitti abbiano la donna come vittima. Per il nostro diritto penale, se si esclude il delitto di mutilazioni genitali femminili, il genere della persona offesa dal reato non assume uno specifico rilievo, e conseguentemente non è stato fino a pochi anni fa censito nelle statistiche giudiziarie”.

Di fatto, fino al 2015 (quando fu lanciato il Piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere) non esisteva un sistema integrato di raccolta ed elaborazione dati (la ratifica della Convenzione di Istanbul, d’altronde, è avvenuta solamente nel 2013). Sono, dunque, nemmeno dieci anni che il fenomeno viene monitorato con una certa sistematicità. L’Istat ha poi iniziato a rilevare dati attinenti al Sistema di Protezione delle donne vittime di violenza solamente a partire dal 2017. Tuttavia, qualsiasi definizione del termine (da quella fornita dall’Accademia della Crusca a quella contenuta nei comuni dizionari, fino a quella fornita dall’European Institute of Gender Equality) identifica il femminicidio come legato a questioni di genere, ovvero l’omicidio di donne o bambine proprio a causa del loro genere. Secondo le Nazioni Unite, i criteri per identificare un femminicidio sono numerosi e vengono individuati all’interno di tre ambiti principali: gli omicidi avvenuti per mano di un partner o un ex partner, quelli commessi da altri membri della famiglia e, infine, quelli commessi da altri soggetti, ma entro modalità e contesti specifici – si valuta, ad esempio, se la vittima ha subito altre violenze in precedenza da parte dell’autore dell’omicidio, se si trovava in una condizione di sfruttamento di qualche tipo, se vi è stata violenza sessuale prima e/o dopo l’omicidio, se il corpo è stato abbandonato in un luogo pubblico e così via. Come specifica l’Istat in un documento di quest’anno, in Italia queste informazioni non sono disponibili (anche se dovranno esserlo nel prossimo futuro, dal momento che la misura del fenomeno della violenza di genere è resa definitivamente obbligatoria nel nostro Paese dalla legge 53/2022).

Dai dati disponibili, tuttavia, si sa che nel 2021 sono stati 104 i presunti femminicidi su 119 omicidi di donne totali: per i restanti casi non è stato possibile appurare con certezza se alla base vi fosse una motivazione di odio di genere (si tratta di donne rapinate, uccise da conoscenti per problemi di vicinato o da sconosciuti per moventi vari). Il numero ammonta poi a 101 nel 2019 e 106 nel 2020. Nel 2022, sono 104 in tutto le donne uccise in ambito famigliare, da partner o ex partner. Nel 2023, le donne uccise al 19 novembre scorso (dati del ministero dell’Interno) sono 106, 87 delle quali in ambito familiare o affettivo. Di queste, 55 sono state uccise da un partner o da un ex partner. Per quanto riguarda il 2022, nello stesso periodo, le donne uccise erano 109, delle quali 91 in ambito famigliare o affettivo. Di queste, 53 sono morte per mano di un partner o un ex.

Volendo parlare di dati certi, invece, ciò che sappiamo senza ombra di dubbio è che lo scorso 26 luglio è stata resa operativa per la prima volta una commissione bicamerale, che per il momento si è limitata ad audizioni di tipo conoscitivo e di ricognizione sul tema, senza che ancora siano stati prodotti disegni di legge, relazioni o documenti di alcun tipo. Sappiamo, inoltre, che rispetto al 2022 il fenomeno degli omicidi di donne avvenuti in ambito famigliare, da partner o da ex non è affatto in calo rispetto all’anno passato (basta confrontare i dati appena forniti). E in particolare, volendo ampliare il contesto della violenza di genere, ciò che sappiamo con certezza è che nel 2022 si è registrato il dato peggiore degli ultimi anni in materia di violenza sessuale, con 5.452 donne vittime di stupro. Non da ultimo, va tenuto bene a mente che questi numeri non costituiscono che la punta dell’iceberg: i casi non denunciati (per motivi più disparati, che possono andare dalla paura al senso di colpa) sono, potenzialmente, incredibilmente maggiori.

L’opacità che dichiaratamente contraddistingue il tema dei femminicidi rende difficile operare delle stime precise. E mentre sui giornali l’attenzione del pubblico viene distratta dal racconto morboso di ogni dettaglio della morte della povera Giulia (con totale sprezzo e noncuranza del lutto della famiglia) e dalla fiction costruita dai media sull’intera vicenda, si perde del tutto l’opportunità di aprire una discussione costruttiva sul tema. Sulla necessità di introdurre una volta per tutte il reato di femminicidio. Sull’urgenza di educare meglio tanto la società quanto le istituzioni stesse al tema. Sul fatto che, nel mezzo di questa infodemia generalizzata che confonde le carte in tavola e lancia fumo negli occhi, il governo sullo sfondo ha tagliato del 70% i fondi destinati alle vittime di violenza. Ma tranquilli, ci verranno comunque distribuiti dei comodi opuscoli informativi per educarci meglio al tema.

Sarebbe ora di intavolare una vera discussione sul tema della violenza di genere e dei femminicidi. Affinchè vicende come quella di Giulia non si ripetano mai più.

[di Valeria Casolaro]

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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