Intesa Sanpaolo fa parte delle banche che continuano ad investire nel settore delle armi © Oleg Marchak/iStockPhoto
Intesa Sanpaolo è coinvolta nel business delle armi. Un settore al quale c’è chi concederebbe una corsia preferenziale negli investimenti
Andrea Di Turi
La questione è molto semplice. Ma dipende dagli “occhiali” con cui la si guarda. Se si mettono gli occhiali della asfissiante propaganda bellicista esplosa anche in Italia dopo l’invasione russa in Ucraina, sostenere il settore delle armi, e in generale la difesa, è etico, sostenibile, responsabile. È quello che di fatto hanno affermato i ministri della Difesa dell’Unione europea in un recente comunicato che sottolinea l’unicità del settore e chiede, quasi pretende, che non vi siano restrizioni alla sua capacità di accedere a risorse finanziarie pubbliche e private. In sintesi: se vuoi la pace, prepara la guerra.
Chi vuole la pace investe sulla pace, non sulle armi
Se invece si usano gli occhiali della finanza etica, sostenibile, responsabile, fin dalle sue origini essa ha classificato il settore degli armamenti come “moralmente controverso” e quindi oggetto di esclusione. Affermando che non c’è modo di combinare etica, responsabilità, sostenibilità con le armi. Come dire: se vuoi la pace, investi nella pace.
Bisogna quindi decidere quali occhiali indossare quando si guarda ai dati sul coinvolgimento nel settore degli armamenti della più grande banca italiana, Intesa Sanpaolo. Perché i dati dicono che, oltre a essere una “banca fossile” e cioè pesantemente coinvolta nel business delle fossili alle radici della crisi climatica, Intesa Sanpaolo è anche una “banca armata”, cioè pesantemente coinvolta nel business delle armi.
Il rapporto speciale con Leonardo
I dati sono del rapporto “Soldi a Grappolo” che la Ong ReCommon ha lanciato in occasione dell’Aerospace & Defense Meetings, evento-vetrina dell’industria bellica italiana in programma dal 28 al 30 novembre a Torino. Intesa Sanpaolo dal 2016 a oggi ha sostenuto il settore degli armamenti con oltre 2 miliardi di dollari, 1,75 miliardi di finanziamenti e 385 milioni di investimenti. Questi ultimi nel 2022, anno dello scoppio della guerra in Ucraina, sono aumentati del 52% rispetto al 2021.
Fra i beneficiari di questi denari spicca Leonardo, società leader nel settore aerospazio e difesa, controllata dal ministero dell’Economia, prima società per ricavi derivanti dalla vendita di armi in Europa e dodicesima a livello mondiale. La quale ha ricevuto circa il 63% dei finanziamenti complessivi di Intesa Sanpaolo al settore aerospazio e difesa dal 2016 a oggi. E in cui la banca solo nel 2022 ha investito 30 milioni di dollari. Altri colossi dell’industria bellica mondiale, dalla francese Thales alla statunitense Raytheon, dalla tedesca Rheinmetall a RMW Italia, sono allo stesso modo fra i beneficiari degli investimenti di Intesa Sanpaolo.
Così fan tutti? No!
Intesa Sanpaolo ha una policy sulle armi (“Regole in materia di operatività con soggetti attivi nel settore dei materiali di armamento”, risalente a maggio 2021), ma «è una policy molto lacunosa – spiega Daniela Finamore, che ha curato il rapporto di ReCommon -. Riguarda le singole operazioni e non vieta i finanziamenti e gli investimenti nelle società coinvolte nel settore degli armamenti. Altre istituzioni finanziarie hanno deciso di prendere degli impegni ambiziosi per limitare il loro coinvolgimento nel settore».
Sì, perché tutti sanno che il business delle armi è da sempre ricchissimo. E che gli eventi degli ultimi due anni lo hanno posto ancora più al centro di un giro di soldi enorme. Per stare in Italia, nel 2022 il bilancio del ministero della Difesa ha sfiorato i 26 miliardi di euro (+1,35 miliardi sul 2021). E gli istituti bancari hanno concesso al settore della difesa 9,5 miliardi di euro tra finanziamenti e garanzie per l’import-export di armi (+26,6% sul 2021). Per quanto riguarda Leonardo, secondo ENAAT (Rete europea contro il commercio di armi) essa è la prima beneficiaria dei fondi di ricerca e di sviluppo militare messi a disposizione dall’Ue.
Se tutto diventa etico e sostenibile, allora nulla lo è davvero
Ma non tutti fanno così. C’è chi continua a indossare gli occhiali di una volta, come dire quelli non “forgiati” dalla propaganda che si diceva, per decidere come investire in base a principi e valori, prim’ancora che a criteri. È il caso della quarantina di attori finanziari internazionali (fra cui banche, investitori, grossi fondi pensione europei, nessuno però in Italia) che, secondo il Financial Exclusion Tracker, negli ultimi due anni hanno motivato l’esclusione di Leonardo dagli investimenti con il suo coinvolgimento nel business delle “controversial weapons”. O comunque di chi di fronte alla possibilità di fare soldi col business delle armi dice no. Perché se tutto diventa etico, sostenibile, responsabile, alla fine niente lo è davvero.