La maggioranza di governo ha bocciato alla Camera la proposta unitaria delle minoranze di introduzione del salario minimo – fissato a 9 euro l’ora -, sostituendola con una delega al governo da realizzare entro sei mesi attraverso una serie di decreti legislativi, che dovrebbero arrivare in Aula nei prossimi giorni. Tra le motivazioni, vi sarebbe la volontà di “garantire l’attuazione del diritto di ogni lavoratore e lavoratrice a una retribuzione proporzionata e sufficiente, come sancito dall’articolo 36 della Costituzione”. In segno di protesta, le opposizioni hanno abbandonato i lavori poco prima del voto. Dato significativo per comprendere la portata del passaggio parlamentare è che, nella proposta della maggioranza, non viene mai utilizzato il termine “salario” e non viene mai indicata una quota minima di retribuzione.

Tutto è accaduto a Montecitorio, in Commissione Lavoro, dove la maggioranza ha spazzato via la proposta delle opposizioni sul salario minimo attraverso l’approvazione di un emendamento che ora investe della questione direttamente il governo. Attraverso la legge delega, infatti, il parlamento fissa un quadro di principi e criteri ai quali l’esecutivo deve attenersi per disciplinare una determinata materia. Nello specifico, il testo passato in Commissione ha disposto che, con l’obiettivo di garantire l’attuazione del diritto di ogni lavoratore e lavoratrice a una retribuzione proporzionata e sufficiente, l’esecutivo è delegato ad adottare entro sei mesi “uno o più decreti legislativi volti ad intervenire in materia di retribuzione dei lavoratori e contrattazione collettiva”. La finalità, è scritto nel testo, è quella di pervenire a una serie di obiettivi, tra cui “assicurare ai lavoratori trattamenti retributivi giusti ed equi”, “contrastare il lavoro sottopagato”, “stimolare il rinnovo dei contratti collettivi nel rispetto delle tempistiche stabilite dalle parti sociali, nell’interesse dei lavoratori e delle lavoratrici” e “contrastare il dumping contrattuale”. Nel testo non vi è alcun concreto paletto da rispettare a livello economico, mancando qualsiasi riferimento a una soglia minima di retribuzione.

Come si muoverà il governo, d’altra parte, è ampiamente ipotizzabile immaginarlo analizzando quanto è accaduto nelle ultime settimane. Lo scorso ottobre, in seguito all’incarico ricevuto dal governo, il CNEL aveva infatti elaborato e trasmesso all’Esecutivo la valutazione finale sul lavoro povero e sull’eventuale introduzione del “salario minimo legale”, che era stata bocciata. In conferenza stampa, l’ex forzista presidente dell’organo, Renato Brunetta, spiegandone il contenuto, aveva dichiarato che una soglia minima di compenso stabilita per legge «non risolverebbe» la problematica della povertà lavorativa, per fronteggiare la quale occorrerebbe invece rafforzare la contrattazione collettiva, ovvero il rapporto tra sigle sindacali e associazioni dei datori di lavoro. Molte critiche erano state mosse all’indirizzo di Brunetta e a quella che a tanti è apparsa come una decisione “politica”, specie in merito ai calcoli effettuati sulle paghe medie della contrattazione collettiva, sul mancato inserimento nei contratti “pirata” degli accordi siglati da Cisal e Confsal (emblematici sono i casi di vigilantes e rider) e il fatto che siano stati utilizzati i dati Uniemens, che “falserebbero” i dati sulla copertura effettiva dei contratti collettivi.

Nel frattempo, negli scorsi giorni Unione Popolare, Rifondazione Comunista e Potere al Popolo hanno consegnato al Senato 70mila firme a sostegno di una proposta di legge di iniziativa popolare per l’istituzione di un salario minimo di 10 euro all’ora, con adeguamento automatico all’inflazione attraverso l’introduzione della scala mobile e senza la previsione di incentivi per le spese. Le firme sono state raccolte a partire dal 2 giugno, festa della Repubblica fondata sul lavoro. «Ci auguriamo che il Senato calendarizzi immediatamente la discussione e che si possa costituire un fronte ampio in Parlamento», ha dichiarato il leader di UP, l’ex sindaco di Napoli Luigi De Magistris. Eppure, almeno stando a come è naufragata la proposta unitaria delle opposizioni presenti in Parlamento, un obiettivo che solo pochi mesi fa poteva apparire quantomeno perseguibile sembra essersi ormai trasformato in un’utopia.

[di Stefano Baudino]

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy: