La Cop 28 di Dubai, a cominciare dal principe Al Jaber che la presiede, è la conferenza del fossile più che del clima. Un rapporto di 504 associazioni ambientaliste di 54 paesi denuncia la rete di banche che regge l’architettura del sistema carbonio.
L’”Arabia esaudita” è il titolo scelto da il manifesto mercoledì 29 novembre per spiegare l’esito della gara tra Riad, Busan e Roma per la conquista della sede dell’esposizione universale del 2030. Le cifre sono deludenti per gli appassionati di “Forza Roma, Forza Lupi” e quel che segue; Riad (capitale dell’Arabia) vince con 119 voti su 182 paesi votanti, la coreana Busan ne riceve 29 e, ultima, Roma solo 17 voti; neppure gli amici fidati l’hanno sostenuta. Da notare ancora l’intelligente articolo di Alberto Negri: Smacco Italia La trappola dell’“amico” bin-Salman e la segnalazione che ne fa, brillantemente, Beda Romano responsabile per la settimana di Prima pagina, la rubrica giornalistica delle 7,15 di ogni mattina – da tempo immemorabile – di Rai radio tre.
1.Il voto per la capitale saudita (e il consenso generale che esprime) è la prova, per quasi tutti, di un vero e proprio ridisegno della carta mondiale delle rotte e dei traffici (e delle alleanze). Sparisce – al primo livello di riflessione – il fascino del famoso Bel Paese, con tanto di ineguagliabili bellezze rinascimentali, da mettere alla base dell’Esposizione universale, al punto che, sembra acclarato, perfino l’amica Albania abbia scelto diversamente. Se però il destino di Roma, negli spazi mondiali, è poco significativo, o per così dire secondario, molto più importante è un altro segnale che il gran voto per Riad lascia intendere: quali conseguenze ci saranno per il clima per il tanto temuto e tanto combattuto – anche se per lo più a parole – aumento di temperatura di un grado e mezzo, o due e più gradi centigradi, rispetto al passato preindustriale? I famosi giuramenti del Cop 21 di Parigi del 2015 sono ancora coerenti? E l’avvento di nuove energie, considerate poco o punto inquinanti, è ancora attendibile?
2.Si è aperta in effetti il giorno seguente, il 30 novembre, in un’altra città mediorientale, anzi degli Emirati Arabi Uniti, Dubai, la riunione, decisiva, del Cop 28. Durerà fino al 12 dicembre. I giornali notano che il principotto locale, Sultan Al Jaber, presidente e ospite di Cop28, è capo in testa, o Ceo sia dell’azienda statale del petrolio sia di quella statale per le rinnovabili. Per dirla tutta, in una sua intervista a Luigi Ippolito, corrispondente da Londra del Corriere della Sera, (29 /11) risulta che ci tenga a farsi chiamare dottor Sultan e che l’implacabile Greta Thunberg abbia detto, con qualche ragione, che “la sua nomina era assolutamente ridicola”. Essendo lui a guidare Cop 28, ciò significa, a prima vista, che in Cop 28 il fossile non verrà condannato, anzi farà buoni nuovi affari, mentre le rinnovabili saranno oggetto di vasti apprezzamenti: magnifici progetti, per il duemilaottanta; insomma, la guerra per l’ambiente rinnovato e il clima sicuro non è ancora cominciata; semmai sta per fare, nella stagione dicembrina di Dubai, qualche passo indietro.
3.Per rimanere ancora un attimo – per meglio dire: un barile – su Dubai e gli Emirati, risulta alla stampa specializzata che l’Adnoc, (Abu Dhabi National Oil Company) società del governo di laggiù, ha 55 mila dipendenti con entrate di 60 miliardi di dollari. Abu Dhabi è la capitale degli Emirati. Il dottor Sultan obietta di essere anche il capo di Masdar, impresa specializzata in energia rinnovabile. Di quest’ultima società non sono noti i numeri ufficiali, ma nella stessa stampa competente, prima chiamata in causa, circola la cifra di entrate pari a 172 milioni di dollari con 650 lavoratori. Come è facile capire, nella penisola arabica c’è di meglio, qualora ci sia voglia di puntare sul sicuro, e ci sia denaro per farlo. Al primo posto c’è Saudi Aramco, grande impresa del governo saudita, che con 161 miliardi di introiti nel 2022 per 11,5 mbg, (milioni di barili al giorno) estratti, lavorati, venduti, ha sbaragliato tutti: esperti, lobbisti, ricercatori, sultani secondari, petrolieri dei tempi di Rockefeller. Non però i banchieri.
INTERMEZZO
Ma prima di toccare il tasto, quello finale di questo breve excursus sul fossile e il nostro futuro altrettanto sicuro altrettanto oscuro, aggiungiamo – gratis – un’informazione sulle 7 sorelle. Erano, quando sono state inventate, quelle che seguono:
- Anglo-Iranian Oil Company
- Royal Dutch Shell
- Standard Oil Company of California
- Gulf Oil
- Texaco
- Standard Oil Company of New Jersey
- Standard Oil Company of New York.
Tra alti e bassi, finanziari o politici di varia natura, guerre e rivoluzioni, solo Shell, ha mantenuto il nome, una parte almeno; le altre sorelle si sono fuse tra loro o sono state afferrate da poteri più forti. Le Standard Oil, erano tutte di Rockefeller. Le ultime due dell’elenco, riunite, hanno dato luogo a Exxon e poi a Exxon Mobil; l’Anglo Iranian è divenuta Bp. Standard California è all’origine di Chevron; e così via. Aramco, per esempio, significa Arabian American Oil Company, essendo il risultato della nazionalizzazione della compagnia che oggi è di proprietà dei reali sauditi. Mattei non ha forse inventato l’espressione Sette Sorelle, l’ha utilizzata in tono non reverente, ma, per così dire, realistico per spiegare che nel campo dei petroli c’erano odiose streghe, tutte sorelle, e tutte in perenne lite tra loro, come nelle fiabe; ma che in verità ciascuna di esse operava anche al di fuori dal mondo fiabesco. Oltretutto esse erano tutte d’accordo contro di lui, convinto com’era che il mondo fosse diverso da una fiaba per bambini piccoli. Così esse lo odiavano perché bambino credulone non era più, anzi non lo era mai stato; e voleva fare da sé e diventare grande altrimenti; per esempio comprando, senza il loro permesso, petrolio dall’allora Urss.
Quando la storia/finisce in gloria
4.Beati i tempi delle sette sorelle! Oggi le streghe sono molte di più. Se si guarda soltanto alle dieci compagnie che hanno ricevuto più finanziamenti dalle banche, ben cinque sono estranee al mondo dell’energia, almeno a quello generalmente noto nel secolo scorso. Queste dieci compagnie energetiche indipendenti hanno ottenuto ciascuna finanziamenti tra 91 miliardi di dollari e 61miliardi. (Attenzione! Qui si tratta di miliardi, indicati con la B di billion. T che significa Trillion è il nostro bilione, cioè mille miliardi di quel che sia, di dollari, per esempio) Si noti che gli anni considerati dagli interventi bancari a favore dei “fossili” sono 2016-2021, sei anni in tutto. Il conto è di 4.586 T (quanto a dire quattromila miliardi più gli spiccioli di 586 miliardi di dollari). Le banche, perché è di esse che si tratta, hanno conferito al sistema “fossile” 723 miliardi nel 2016, l’anno successivo al Cop 21 di Parigi; e poi, via via, 738 miliardi nel 2017, 799 nel 2018, 830 nel 2019, 750 nel 2020, 742 nel 2021. Ecco l’elenco dei dieci maggiori clienti “fossili delle 80 maggiori banche del mondo:
Enbridge,98 B; Exxon, 87 B; Aramco, 78 B; TC Energy, 77 B; Occidental Petroleum, 66 B; Shell,66 B; China National Petroleum Corp., 64 B; Shanxi, 61 B; Sempra Energy,61 B.
Enbridge è un’impresa canadese per origine e attività di distribuzione; TC Energy più o meno lo stesso; Occidental Petroleum è una società indipendente, assai forte in California e Texas. Questa impresa ha avuto un breve storia con l’Eni, unendo per qualche mese nel 1982, le attività chimiche e formando Enoxi, per separarsi subito dopo; China e Shanxi sono imprese cinesi; Sempra è una società statunitense emergente; essa ha però abbandonato una parte del suo nome, Energy, dichiarando così pubblicamente che di energie soprattutto nuove non sa che farsene e tenderà a non venderne più. Le “nuove” sono tutte imprese con migliaia di addetti e progetti potenti; rimane probabile la scarsa disponibilità, come nel caso di Sempra, a sostenere l’energia rinnovabile, in qualunque forma rappresentata.
5.Per entrare nel dettaglio (viene da ridere, se non da piangere, a parlare di “dettaglio”) Exxon è finanziata per 15 miliardi di dollari da ciascuna di tre banche Usa: Bank of America, Morgan Chase e Citi: in tutto 45 miliardi di dollari circa. Il resto è un affare delle altre 77 banche della comitiva.
6.La questione è però assai seria. Il caso di Exxon e delle banche degli Usa è solo un esempio, notevole fin che si vuole, di una associazione di affari tra le imprese mondiali che agiscono nel “sistema carbonio” – che in altre parole creano anidride carbonica producendo carbone, petrolio, gas – e le maggiori banche mondiali. La ricerca che stiamo saccheggiando è il risultato di un’altra associazione, contraria alla prima, cresciuta tra 504 organizzazioni ambientaliste di 54 diversi paesi. Sono decine di attività ambientaliste, che vanno da Extinction Rebellion San Francisco Bay a Catholic Network Area, da American Jewish World Service a 1000 Grandmother for Future Generations, da 350 Humboldt a Veterans for Climate Justice, da Stamps our Poverty a Greenpeace, da No Fracked Gas in Mass a Stop the Money Pipelin. Quest’ultima organizzazione, quale che sia – non ci è dato di saperlo – rappresenta il pensiero comune delle altre cinquecentotre e delle altre non collegate. Tutte insieme, hanno messo in movimento decine di ricercatori per raccontare al mondo il caos climatico dovuto alle banche. (BankingonClimateChaos.org) Il risultato è uno studio di un’ottantina di pagine, fatto con poche frasi, moltissime tabelle e figure: da leggere, guardare e provare a capire. “La pubblicazione di questo rapporto segna un altro anno in cui molte tra le maggiori banche mondiali non hanno saputo assumere la scelta necessaria di ridurre la propria partecipazione al caos climatico. Il tempo fugge e l’espansione del combustibile fossile deve cessare subito. Ogni dollaro che le banche usano per nuovi progetti di combustibile fossile e le imprese collegate, è incompatibile con la stabilità climatica e l’impegno per emissioni nette pari a zero. Finirla con l’appoggio all’espansione del combustibile fossile è il prossimo urgente passo per annullare il sostegno bancario al combustibile fossile in un termine compatibile con 1,5°”.
7.Il Rapporto esamina le principali banche del globo nel loro rapporto con le imprese che operano nei combustibili fossili. Tutte le specie di fossili, indicate una per una: gli scavi e l’attività che ne deriva. Sono indicate le banche finanziatrici, le imprese che ottengono i fondi, le attività che esse svolgono; il tutto viene spiegato scientificamente, nel senso che non c’è quasi mai un tono di rimprovero. C’è solo una scheda nella quale si coglie un po’ di dissenso se non di disprezzo per banchieri corrivi e per imprese arraffone. Il rapporto tocca infatti il tema delle popolazioni indigene che vengono spogliate dei loro beni e costrette a diventare nemiche di madre natura. Durante Cop26 a Glasgow in Scozia si è parlato lungamente di tutto questo. Con grandissime promesse, ma senza particolari conseguenze. Nel rapporto in esame è scritto che “La resistenza degli indigeni al colonialismo è basato sulla responsabilità della difesa del loro spazio e della loro sovranità e sul fatto che facendo così essi difendono la Terra stessa”.
Il Rapporto, sostenuto dalle 504 associazioni è firmato da Rainforest Action Network, Banktrack, Indigenous Network, Oilchange, Reclaim Finance, Sierra Club, Urgewald
Banking on CLIMATE CHAOS
FOSSIL FUEL FINANCE REPORT 2022