Lo scorso settembre, il direttore della comunicazione di Pfizer Italia, il dottor Biagio Oppi, aveva presentato in maniera informale un progetto – attualmente nella fase pilota – che prevede delle lezioni nelle scuole e nei corsi di giornalismo sulla cosiddetta “media literacy” e contro la disinformazione nel settore medico-scientifico. Il progetto – che si avvale della collaborazione di due fondazioni – non è ancora stato ufficialmente presentato, ma ha comunque suscitato diverse polemiche per la penetrazione di una multinazionale nelle scuole pubbliche, alimentando il sospetto che ciò possa tradursi in una sorta di indottrinamento delle giovani generazioni su temi sensibili. Per quale ragione Pfizer ha puntato le scuole, cosa ci andrà a fare e in che modo, e che autorità pensa di avere per parlare di lotta alla disinformazione? Per chiarire meglio l’argomento e avere maggiori dettagli sulla questione abbiamo chiesto un’intervista direttamente Biagio Oppi, direttore della comunicazione della multinazionale americana nonché responsabile dell’iniziativa, che ha coraggiosamente accettato di rispondere alle nostre domande.

Dottor Oppi, qual è l’obiettivo del progetto e come è strutturato? I corsi di formazione sono già partiti ufficialmente nelle scuole?

Il progetto è stato ideato da Pfizer Italia come attività di corporate social responsability (responsabilità sociale delle imprese n.d.r) e non marketing. Questa è una distinzione importante perché inizialmente è circolata la notizia che fosse un progetto di marketing, ma non è così. L’idea è quella di dare le basi di media literacy, ossia fare dei corsi sull’informazione medico-scientifica nelle scuole superiori e nei corsi di giornalismo coinvolgendo due soggetti che da anni fanno formazione nelle scuole: Fondazione Golinelli che lavora prevalentemente su progetti di scienza, biotecnologie e innovazione e Media Literacy che, invece, dà le basi agli studenti delle superiori rispetto a come si crea una notizia, quali sono le fonti da utilizzare, come si fa un doppio “check” per controllare una notizia che circola e comprenderne la veridicità, capendo quali possono essere i temi su cui da un punto di vista di salute sono circolate notizie errate. Le domande dei ragazzi sono state principalmente sulla parte dei tumori e delle diete. I corsi non sono incentrati sul tema dei vaccini, ma sull’informazione medico-scientifica che ha determinate peculiarità: è un’area che ha un impatto sulla salute delle persone e che segue una serie di protocolli da un punto di vista della comunicazione giornalistica che fanno capo ai grandi giornali medico scientifici internazionali. Il progetto attualmente ha preso il via, ma si tratta di una fase pilota, non è ancora partito in modo completo.

Qual è il ruolo di Pfizer Italia in questo progetto?

Noi finanziamo le due fondazioni alle quali abbiamo chiesto di elaborare un progetto formativo su questi temi, una parte per gli studenti e una parte per i professori. Le due fondazioni, che già fanno formazione da tempo, hanno proposto alle scuole di aderire e loro, indipendentemente da Pfizer Italia, elaborano i programmi. Noi non controlliamo i contenuti che vengono proposti alle scuole, non possiamo farlo per regole interne dell’azienda. L’erogatore del progetto, in questo caso le due fondazioni, è totalmente libero: non ci saranno rappresentanti di Pfizer che vanno nelle scuole – non è una cosa che facciamo – ma abbiamo delegato ai due soggetti la parte di formazione. Ci viene proposto un programma da loro in cui ci indicano le modalità di lavoro: ad esempio, Media Literacy abitualmente utilizza il metodo del “learning by doing” (imparare facendo n.d.r), ossia propongono una serie di cose teoriche e poi fanno lavorare gli studenti sui temi che interessano a loro. Ad esempio, sul tema della nutrizione e delle diete, gli hanno fatto scrivere degli articoli, aiutandoli a trovare le fonti. Questi articoli verranno poi probabilmente pubblicati su Zainet che è la testata degli studenti, in modo che scrivendo concretamente dei testi gli allievi imparano ad applicare il metodo giornalistico più corretto. A noi quello che interessa è che vangano proposti una metodologia che risponde ai canoni di correttezza giornalistica, in modo che si rendano conto della complessità del tema. L’obiettivo finale è sviluppare sensibilità nella popolazione rispetto all’informazione giornalistica medico-scientifica, cosicché gli studenti possano avere le basi per poter leggere con spirito critico le informazioni relative a questo settore. La stessa cosa vale per i professori per i quali sono stati pensati moduli diversi. Su questo però non posso entrare nel dettaglio perché siamo ancora in fase di elaborazione.

Il progetto non è ancora stato presentato ufficialmente. Avrebbe dovuto essere presentato al Festival del digitale popolare di Torino lo scorso 7 ottobre, ma poi la presentazione è slittata. Come mai?

Purtroppo, siamo ancora indietro con diverse cose, spero di poterlo presentare entro gennaio, ci sarà un comunicato stampa. Prima di gennaio però faremo fatica a lanciarlo, ma il punto non è tenerlo nascosto, questo voglio che sia chiaro. Anche perché uno degli obiettivi del progetto è rendere pubblico che Pfizer sia impegnata su questo tema. Abbiamo avuto dei ritardi noi, ma anche le scuole e le fondazioni. La Fondazione Media Literacy è un po’ più avanti perché realizza già Zainet all’interno delle scuole; quindi, ha avuto la possibilità di iniziare a fare la parte pilota per gli studenti.

Non pensa che questa iniziativa possa comportare dei conflitti d’interesse?

Non penso, il progetto è fatto per sviluppare un dibattito informato e non basato su notizie antiscientifiche. Il fatto che ci sia la possibilità di leggere la notizia e avere delle competenze minime per capire se è vera o falsa penso sia utile per alimentare un dibattito sano, altrimenti il dibattito si fonda solo su opinioni. L’altra cosa importante è che noi non vendiamo farmaci alle persone, ma al servizio sanitario. Per questo non è nel nostro interesse convincere gli studenti o i ragazzini. Se fossimo negli Stati Uniti, potrei dire che ci potrebbe essere un conflitto d’interessi perché lì si vendono farmaci direttamente e si può fare promozione al grande pubblico, in Italia non si può. A noi questa iniziativa interessa puramente come operazione di corporate social responsability che peraltro ho sempre personalmente portato avanti anche quando lavoravo per altre società. L’unico interesse è diffondere delle competenze di base sul giornalismo medico-scientifico, prendere posizione in maniera pubblica sul tema della disinformazione e delle fake news. Al momento, tra i temi da trattare non sono stati indicati i vaccini, anche se i dettagli del progetto non sono ancora stati resi pubblici.

A proposito di fake news e disinformazione, nel 2020 – pochi mesi prima dell’immissione sul mercato del Comirnaty – la Pfizer aveva divulgato la notizia secondo cui l’efficacia del vaccino era pari al 90%. Successivamente, è emerso che quel dato non era supportato da alcuna evidenza scientifica: in un’audizione al Parlamento europeo del 2022, infatti, la responsabile per lo sviluppo dei mercati internazionali di Pfizer, Janine Small, ha ammesso che i vaccini non sono mai stati testati sull’interruzione della trasmissione del virus. Non ritiene che anche in quel caso sia stata divulgata una notizia falsa?

Quello che ha detto Janine Small, che è vero, è che il vaccino non era stato testato per interrompere la trasmissibilità. Ma su questo punto bisogna fare una precisazione: nell’end point (l’obiettivo n.d.r.) dello studio clinico non c’era la richiesta di interrompere la trasmissibilità e noi non abbiamo mai detto che il vaccino interrompe il contagio, anche se c’è stato un fraintendimento nel racconto generale. La trasmissione non si interrompe grazie al meccanismo di azione del vaccino, bensì grazie al numero di persone vaccinate, ossia alla cosiddetta immunità di gregge. Ma questo riguarda l’aspetto epidemiologico che non può essere preso in considerazione durante gli studi clinici. Se poi parliamo di decisioni politiche che hanno riguardato il vaccino partendo dal presupposto che questo interrompesse il contagio, su questo Pfizer non è responsabile. Se nel discorso generale sono stati utilizzati determinati dati in maniera non del tutto corretta non può essere responsabile l’azienda.

Tuttavia, la Pfizer ha inizialmente riferito un “tasso di efficacia del vaccino del 95% nei partecipanti che non avevano evidenza di una precedente infezione da SARS-CoV-2 (primo obiettivo primario) e anche nei partecipanti con e senza precedente infezione da SARS-CoV-2 (secondo obiettivo primario)” – come si legge nel comunicato stampa del 2020 – senza specificare a cosa si riferisca tale efficacia, se all’interruzione della trasmissibilità o ad altri fattori. Non ritiene che questo aspetto andasse maggiormente specificato?  Inoltre, per quanto riguarda la cosiddetta “immunità di gregge”, anche in questo caso, non pensa che, soprattutto all’inizio, ci fossero pochi dati sufficienti per supportare tale tesi?

L’immunità di gregge è un concetto epidemiologico che descrive il raggiungimento della resistenza ad un patogeno: andrebbe approfondita con un epidemiologo o un infettivologo. Per quanto concerne l’efficacia cui si riferisce lo studio sul virus originale parliamo di efficacia verso l’infezione, ossia: endpoint primario dello studio, efficacia verso la positività per SarsCov2 a 7 giorni dopo la seconda dose (il ciclo primario era composto da
due dosi a distanza di 21 giorni) in soggetti senza evidenza di precedente infezione; il secondo endpoint primario era la stessa evidenza di efficacia ma in soggetti senza o con evidenza di una precedente infezione. Endpoint aggiuntivo di efficacia era la protezione verso la malattia da COVID severa.

Nel 2009 Pfizer è stata condannata dal Dipartimento di Giustizia americano a pagare 2,3 miliardi di dollari per aver promosso quattro farmaci in usi non approvati. Si è trattato della più grande multa per frode sanitaria mai comminata dal Dipartimento di Giustizia USA. Ma è solo una delle molte cause giudiziarie in cui è stata coinvolta la causa farmaceutica, la quale è anche stata accusata di avere illegalmente sperimentato un farmaco, che ha provocato gravi lesioni e decessi, sui bambini nigeriani nel 1996. Alla luce di ciò lei ritiene che l’azienda che rappresenta abbia la credibilità e l’autorità per insegnare nelle scuole quali sono le verità e come distinguere?

Noi non andiamo a insegnare le verità. Abbiamo chiesto a delle fondazioni che fanno questo lavoro abitualmente di farlo. Rispetto alla causa del 2009, si tratta di vicende relative a più di vent’anni fa e per cui le persone che hanno fatto quegli errori hanno pagato così come l’azienda e ciò ha portato a dei miglioramenti nei controlli interni: siamo un’azienda super integra, non c’è nulla che facciamo che non venga controllato dai legali e pubblichiamo tutti i dati di donazioni. Se c’è un settore che ritengo particolarmente integro in questo momento è quello del farmaco, proprio perché ha passato dei momenti critici che hanno permesso a queste organizzazioni di evolvere e avere una cultura che in questo momento è tra le più rispettose sia delle leggi che della deontologia. In ogni caso, per quanto riguarda il progetto, non ci saranno rappresentanti di Pfizer nelle scuole, ma solo le fondazioni che si occupano di questi temi da anni.

Dopo la fase pilota, l’iniziativa si estenderà anche ad altre scuole?

L’obiettivo del 2024 è estenderla agli ultimi anni delle scuole superiori un po’ in tutta Italia sempre con l’obiettivo della formazione sulla comunicazione medico-scientifica, ponendo anche l’attenzione sul tema dell’intelligenza artificiale e di come viene utilizzata per creare le notizie anche in ambito finanziario e in tantissimi settori perché si tratta di un fattore in più di rischio per la diffusione di fake news ed è importante che i ragazzi ne siano a conoscenza.

[di Giorgia Audiello]

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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