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Nel diciannovesimo anniversario della scomparsa di Felicia Bartolotta Impastato si sono svolti a Cinisi due giorni di spettacoli, incontri, cortei e dibattiti volti a ravvivare l’esempio di mamma Felicia nella mente e nel cuore di tutte e tutti, affinché non cessi il nostro impegno per una pace nutrita di giustizia sociale
Nel pomeriggio del 7 dicembre si è mossa la Marcia per la Pace dalla Casa Memoria, abitazione della famiglia Impastato nel centro di Cinisi ora divenuta centro culturale, con una tappa davanti al monumento ai caduti nella lotta contro la mafia in piazza Municipio, fino a Casa Felicia, un casale in mezzo agli ulivi ora aperto ad accogliere conferenze e convegni, un bene confiscato ai Badalamenti e ora affidato ai familiari e agli eredi ideali di Peppino, così come il casolare dove il suo corpo fu ritrovato, espropriato al farmacista Valenti vicino al clan che spadroneggiava in paese negli anni Settanta.
Davanti alla stele antimafia, Pino Manzella, ex assessore alla cultura che quell’installazione ha fortemente voluto, ha ricordato come la Sicilia sia la più grande base militare Nato nel Mediterraneo, con aerei e droni che partono da Sigonella e da Birgi diretti in Medio Oriente o sul Mar Nero, depositi di armi a Lampedusa e con il porto di Augusta zeppo di navi militari. E Claudia Pinelli, figlia dell’anarchico Giuseppe, ci ha sollecitati a non tacere, ricordando che “pace non è una parolaccia”.
Dopo un tragitto immerso nel verde e nel cielo infuocato del tramonto, durante il quale si sono intrecciate considerazioni e riflessioni tra membri dell’associazionismo e della società civile impegnati a reggere striscioni pacifisti, abbiamo raggiunto Casa Memoria dove Luisa Impastato ha introdotto volta a volta le interlocutrici della serata: Claudia Pinelli, Luisa Morgantini e Maria Concetta Biundo, portavoce del Collettivo Femminista interno al Circolo Musica e Cultura fondato da Peppino Impastato. Che cosa ha accomunato e accomuna queste donne oltre all’impegno contro la violenza mafiosa, patriarcale e guerrafondaia? (La parola “capitalismo” in verità non è mai stata pronunciata…).
Sicuramente la consapevolezza della responsabilità della testimonianza. Biundo ricorda come le ragazze del collettivo di Cinisi-Terrasini fossero figlie di madri succubi e prive di aspirazioni, che proibivano loro tutto, e come fosse una fatica immane attizzare il conflitto generazionale e sociale in un paesino in cui rapimenti e stupri erano considerati la normalità. Perciò ci esorta a ritrovare il senso profondo dell’espressione “il personale è politico”, trasformando come Felicia il dolore privato in pubblica denuncia, stando in mezzo ai giovani e impegnandoci nel sociale
Claudia Pinelli, una bella donna determinata, ironica e lucidissima, ci incanta e ci commuove raccontando diversi aneddoti della sua famiglia, ben oltre i giorni atroci che tutti sappiamo: il papà che sbriga le faccende domestiche, prende le bimbe a scuola e le porta a mangiare il gelato, accoglie in casa i compagni in difficoltà, studia l’esperanto come un messaggio universale di pace. La madre dattilografa con due figlie piccole da crescere, all’improvviso, dopo il 16 dicembre 1969, deve farsi pubblica testimone e appassionata ricercatrice di verità, contro le istituzioni assassine che ostacolano con depistaggi e infangano la memoria degli uccisi. Sceglie cioè per sé lo stesso destino di Francesca Serio, madre di Turi Carnevale, e Felicia Bartolotta, madre di Peppino Impastato: lei, Licia Pinelli, fa in modo che il nome del marito non venga né vituperato né dimenticato. E – sottolinea Claudia – in questa lotta è meno sola di Felicia, perché a Milano la sostengono Medicina Democratica, Camilla Cederna e tanti altri e altre.
A un certo punto Claudia e sua sorella, ormai adulte, attiviste e madri a loro volta, incontrano Luisa Morgantini, figlia di partigiani da sempre coinvolta nelle iniziative contro la violenza, dalle Donne in Nero in Palestina alle Donne del Digiuno contro la mafia a Palermo dopo le stragi del ’92, eurodeputata, candidata anche al Nobel per la Pace. E con Luisa e con l’Assopace Palestina eccole in viaggio in Cisgiordania. “In quel viaggio meraviglioso – dice – ho imparato che i diritti non sono tali se non sono di tutti”.
Luisa è appena tornata da Bruxelles e l’indomani ripartirà per Roma, ha la febbre, ma non rinuncia ad essere in questo luogo della memoria che ama e a cui sente di appartenere. Ripete la sua analisi di quest’ultima crisi israelo-palestinese che ha da subito resa pubblica e che i media hanno riportato: occorre un cessate il fuoco immediato, occorre deferire sia Hamas sia Israele davanti al tribunale internazionale che giudica dei crimini contro l’umanità, occorre costruire coesistenza pacifica e nonviolenta come molti giovani israeliani e palestinesi stanno sforzandosi di fare insieme, sono loro la vera nuova forza sociale. “Io vado da 40 anni in Palestina. Lì c’è un forte legame con la terra, con gli alberi, con gli ulivi che gli israeliani hanno sradicato. Da millenni ebrei, cristiani e musulmani coltivavano insieme il deserto, sviluppando insieme una cultura agricola sapiente. Oggi sta avvenendo una seconda Nakba, dopo quella del ’48. Venti comunità sono state demolite. L’obiettivo dichiarato della destra israeliana è ‘completare l’opera di Ben Gurion’. Mio padre, partigiano, mi ha insegnato che la guerra è brutta da qualunque parte si spari. Cosa possiamo fare noi per fermare la violenza? Partiamo dalle nostre responsabilità”.