Alla fine alla COP28 è stato trovato l’accordo. I 198 delegati alla Conferenza delle Nazioni Unite sul clima hanno approvato il cosiddetto Global Stocktake, dove, per la prima volta, si parla di “transizione dai combustibili fossili”. L’obiettivo sarebbe quello di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, ma non è esplicitato se l’abbandono definitivo di gas e petrolio dovrà avvenire effettivamente entro tale data. Il testo non ha infatti incluso le espressioni “phase out” o “phase down” (eliminazione graduale), alle quali si erano opposte le nazioni produttrici di petrolio, a partire dalla padrona di casa Arabia Saudita. Il termine scelto è stato invece il meno impegnativo “transitioning away” (transizione), da attuare in un non meglio specificato modo “equo, giusto e ordinato”. La formulazione adottata è però nel complesso vaga e, soprattutto, non vincolante dato il solo e debole appello “calls on”, (“i Paesi sono chiamati a…”). «È un accordo storico e ne sono orgoglioso – ha comunque commentato il presidente del vertice, il sultano Al Jaber – per la prima volta in assoluto c’è un linguaggio sull’uscita dei combustibili fossili». Insomma, la prima COP sul clima presieduta dai petrolieri verrà ricordata come la conferenza che ha dato inizio alla fine dell’era del petrolio. Conquista senza precedenti o raggiro politico? È presto per dirlo, anche se l’assenza di impegni specifici lascia presumere che il vertice non si rivelerà decisivo.

Ad ogni modo, che le parole si traducano in fatti non è affatto detto. Spesso infatti a dettare l’agenda vi sono proprio le industrie e i Paesi maggiormente interessati a prolungare la vita delle fonti fossili. Solo qualche giorno fa l’OPEC, l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio, esortava i suoi membri a “rifiutare proattivamente qualsiasi testo o formula che avesse come obiettivo l’energia, cioè i combustibili fossili, piuttosto che le emissioni”. Una richiesta ben precisa che spiega molte cose. Come ad esempio l’occhio di riguardo per i controversi sistemi di cattura e stoccaggio del carbonio, delle tecnologie che, pur non avendo dimostrato l’utilità dichiarata, verranno utilizzati per continuare a sfruttare dei giacimenti fossili che inizieremo a chiamare “sostenibili”. Al riguardo, sarebbe allineata persino la più ambiziosa UE, la quale ha chiesto un passaggio globale verso sistemi energetici privi di combustibili fossili non abbattuti ben prima del 2050. Senza contare poi che lo stesso vertice ha fatto direttamente da trampolino di lancio per la nascita di nuovi accordi sul petrolio e sul gas. Il colosso fossile emiratino, ADNOC, ha ad esempio messo nero su bianco dei “punti di discussione” per 15 Paesi con i quali vorrebbe collaborare per estrarre nuovi idrocarburi. La stessa azienda il cui amministratore delegato ha tirato le fila dei negoziati climatici.

Le critiche ovviamente non sono mancate. L’invasione di campo dell’OPEC è stata duramente condannata dagli ambientalisti. Ma anche da numerosi delegati, eccetto uno: il Ministro italiano dell’ambiente, Pichetto Fratin, che era tra l’altro assente alla votazione sull’accordo finale. Per molti tale atteggiamento, rafforzato dal linguaggio utilizzato della premier Giorgia Meloni, non dissimile da quello del sultano Al Jaber, non è un caso. La multinazionale italiana ENI, con 1,8 miliardi di barili di petrolio di riserve e una serie di progetti di sviluppo, è la prima partner internazionale dell’emiratina ADNOC. Basti pensare che, poco più di due mesi fa, tra i due è stato persino stretto un nuovo accordo per lo sfruttamento di due giacimenti di gas naturale negli Emirati Arabi Uniti del valore di 13 miliardi di dollari. Il Belpaese continua quindi a fare affari nel fossile mentre, con la promessa di cento milioni, si pone come primo donatore sul fondo a sostegno dei Paesi più poveri e vulnerabili alla crisi climatica (Loss and damage). Soldi di cui, tra l’altro, non è stata ancora chiarita la provenienza. Al riguardo, Pichetto Fratin si è limitato ad affermare vagamente che i fondi fanno «parte del ragionamento del Piano Mattei», la stessa strategia energetica che vorrebbe convertire l’Italia nell’HUB gasiero d’Europa.

[di Simone Valeri]

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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