Il gioco delle opposizioni “istituzionali” tra destra e sinistra è parte del tunnel in cui siamo precipitati, che, fuori dal buon senso, non è più in grado di condurre da nessuna parte.

Il buon senso sembra rivoluzionario

Di Andrea Zhok*

Quando il mondo sta impazzendo, il buon senso sembra rivoluzionario. È quel che accade oggi.

Il posizionamento politico è ancora magmatico sul piano delle rappresentanze e dei dettagli, ma condivide salde intuizioni di fondo, intuizioni condivise da tutti quelli che hanno compreso che siamo finiti in un vicolo cieco della storia e che non c’è nessuna via d’uscita se ci limitiamo a cambiare marcia o corsia: proseguendo non ci aspetta alcuna soluzione, non c’è nessuna luce alla fine del tunnel, per rivedere la luce dobbiamo innestare la retromarcia.

La cosiddetta “area del dissenso” o “antisistema” emerge magmaticamente – a volte anche confusamente – da un rigetto delle coordinate politiche tradizionali, a partire dalla distinzione consueta tra destra e sinistra.

Questo rigetto non nasce per seguire una moda, né per sperimentare una forma di marketing politico, e neppure perché si ritenga che tutto ciò che è stato elaborato a destra o a sinistra sia da buttare. Niente affatto.

Chi ha fatto questo percorso è passato attraverso l’una o l’altra delle posizioni tradizionali e se le è lasciate alle spalle, avendone compreso il carattere astratto e impoverente, ottuso e accecante. E solo per chi non abbia ancora fatto tale percorso, e sia giocato dal rimpallo ideologico tradizionale che questo posizionamento può apparire “curioso” o “eccentrico”, mentre è spesso semplicemente un ritorno ai fondamentali

Prendiamo un punto elementare: l’idea che vi sia qualcosa come una natura umana e che essa possa rappresentare un momento, anche eticamente, fondativo.

È un’idea semplice, un’idea classica, un’idea fondata e dimostrabile.
È’ un’idea che accomuna ogni tradizione religiosa, la tradizione marxiana e la tradizione conservatrice.

Sembrerebbe dover essere una posizione tutto meno che controversa: non di per sé una garanzia di buone norme e buone politiche (ogni idea può essere utilizzata male), ma certamente non qualcosa di strano.

E invece oggi rifarsi all’idea di un fondamento naturale come guida nell’etica e nella politica appare come una bizzarria che scompagina le coordinate politiche.

Nota a margine: alcuni, memori della traiettoria presa dal marxismo partire dagli anni ’60, sulla scorta della lezione postmodernista, potrebbero credere che la tradizione marxiana si opponga all’idea di “naturalità fondante”. Questo è un errore marchiano.

Alla radice della riflessione di Marx c’è precisamente l’idea che esiste una natura umana e che essa sia eticamente fondativa. Senza questo assunto, letteralmente niente della riflessione di Marx avrebbe senso, giacché è solo l’idea di un’esistenza umana “fisiologica” a permettere di denunciare la forma di vita capitalistica come “patologica”; è solo l’idea di un’autenticità naturale a muovere il processo di “disalienazione” dell’umanità.

Cosa ne penserebbe il giovane Marx della pandemia?

Ordunque, una tale posizione semplice e classica oggi nel dibattito pubblico appare “fuori scena” (“ob-scena”, secondo la celebre falsa etimologia); essa appare rivoluzionaria o reazionaria, comunque “estrema”.

L’ideologia tacitamente dominante, lo strato di ovvietà mediatiche su cui ci muoviamo nel mondo occidentale presenta invece ogni posizione che si riferisca ad una qualche naturalità fondativa come pericolosa, irrazionale, forse violenta.

Il quadro ideologico in cui nuotiamo gravita intorno a due capisaldi: l’individuo privato (il “foro interiore”) e il meccanismo di mercato.

Entrambi si assume abbiano per definizione “sempre ragione”. E questo è un altro modo di dire che la “ragione” si è dissolta.

Dire che qualunque cosa creda un individuo nel suo foro interiore è insindacabile ha la parvenza del massimo rispetto per l’individuo (ed è un archetipo liberale). Ma in verità quest’idea abolisce completamente l’idea che ci siano ragioni e torti, buone o cattive ragioni, giusto o sbagliato, evidenze e persuasioni, e con ciò prepara il terreno alla coercizione.

Infatti, siccome non c’è una natura, non c’è un’essenza e non c’è alcunché di solido al di là della convinzione passeggera. L’individuo diviene perciò una scatola nera, estraneo alle ragioni, dunque qualcuno che può essere solo o tollerato o represso: finché si adatta al sistema è tollerato, quando non si adatta è represso.

La tolleranza liberale si rovescia perciò con enorme facilità in coazione e repressione, perché in questa concezione non c’è spazio per l’idea di una ragione comune (di un’essenza umana comune), cui attingere.

È su questa stessa base che il meccanismo di mercato diventa sovrano, diviene l’ultima autorità.

Il mercato ha sempre ragione

Infatti se non si può cercare niente di fondamentale al di sotto o dietro alle scelte individuali, non è di principio possibile mettere in discussione l’esito di un qualunque processo di scelta di mercato. Restano solo le scelte di fatto (le “preferenze rivelate”).

Il mercato ha sempre ragione perché funziona, e qui “funzionare” significa semplicemente fare ciò che il mercato fa: consentire il prodursi delle scelte di mercato; e tanto deve bastare.

E se qualcuno dice che il mercato sbaglia, che sopravvaluta questo o sottovaluta quello o crea danni collaterali, gli si può sempre rispondere che è intollerante: non esistendo ragioni essenziali supplementari rispetto alle scelte di fatto, non esistono criteri fondamentali per giudicarne il funzionamento.

La strada inaugurata dalla riflessione liberale, disinnescando e poi rimuovendo il riferimento ad un fondamento naturale, ha aperto strade tipiche a destra e a sinistra.

A sinistra ha aperto la strada ad un individualismo nichilistico per cui chiunque deve poter essere ciò che di volta in volta ritiene di essere, e questa è l’ultima parola sull’argomento.

A destra ha aperto la strada ad un mercatismo darwinistico, per cui ciò che il mercato decreta è per ciò stesso buono.

Col tempo, coerentemente con la loro comune radice, queste posizioni si sono fuse e combinate, senza più caratterizzare destra o sinistra, ma divenendo un patrimonio comune dell’occidente liberale.

Ecco, questo è un esempio banale del perché il gioco delle opposizioni tra destra e sinistra è esso stesso parte del tunnel in cui siamo, che non è più in grado di condurre da nessuna parte.

Chi lo guarda dall’esterno non sta inventando niente di straordinario, sta semplicemente uscendo da una lunga illusione ideologica e dopo essersi tolto gli occhiali distorsivi sta guardando di nuovo il mondo con schiettezza.

Ed è questa schiettezza e semplicità ad essere denunciata dal blocco liberale egemeone, come estremismo eccentrico, come un’offensiva bizzarria.

* Ripreso da Andrea Zhok, filosofo e accademico italiano, professore di Antropologia filosofica e Filosofia morale presso l’Università degli Studi di Milano

Di Red

„Per ottenere un cambiamento radicale bisogna avere il coraggio d'inventare l'avvenire. Noi dobbiamo osare inventare l'avvenire.“ — Thomas Sankara

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