Fernand Yveton
GHIGLIOTTINA AD ALGERI.
A Fernand Yveton ghigliottinato ad Algeri nel 1956

L’ Algéríe est terre, l’ Algéríe est soleil, l’Algéríe est mère, cruelle et adulée, soufrante et passionelle…
L’Algeria è terra, l’Algeria è sole, L’ Algeria è madre, crudele e adulata, sofferente e passionale…
Albert Camus
Rue Didouche Mourad, la via Veneto d’Algeri, fluisce come un torrente dalle colline al vecchio centro  della città dove il passato turco si mescola a quello francese, scorre stretta tra palazzi  bianchi dalle finestre blu, poi, prima del tunnel e dopo la discesa, si allarga per lasciare scorgere la Gran Poste. Lungo i marciapiedi i bar all’aperto sono affollati. Molto traffico, smog, rumore dei motori  ma vi sono anche boutiques di moda, librerie, negozi d’artigianato, gallerie d’arte.
Mi piace passeggiare lungo questa strada, guardare vetrine, entrare nei caffè e nelle gallerie d’arte, scambiare sguardi con ragazze, alcune con il velo.
In alto dove inizia Didouche dopo la chiesa del Sacro Cuore, sulla destra vi è il piccolo negozio di libri usati del mio amico Ibhraim, una miniera di libri introvabili o quasi. Vi ho trovato un libro sulla ghigliottina in Francia, in Viet Nam e in Algeria, con  fotografie in bianco e nero.  In Algeria vi è stata una guerra di liberazione, di cui leggo,ascolto alla radio, ne sento parlare, la vedo, a volte, alla televisione e anche al cinema. Molti patrioti algerini furono ghigliottinati e anche un francese, il comunista Fernand Yveton, ghigliottinato per dare l’esempio dopo essere stato torturato più volte.  Leggo  che la ghigliottina è il modo meccanico per praticare la decapitazione. Alla fine del XIX secolo  la ghigliottina prese la sua forma definitiva. È costruita in rovere: su una croce a forma di T di 4 metri di lunghezza su una croce di 3 metri 80, si ergono perpendicolarmente due montanti paralleli alti 4,5 metri, sostenuti da  altri montanti. Il condannato è posto verticalmente su questa tavola lunga 85 cm, che cade  con una semplice spinta orizzontale . Il collo viene quindi posto su una lunetta, formata da due piastre forate a semicerchio, che formano una circonferenza di venti centimetri di diametro. il collo è sul semicerchio inferiore o, a circa un metro sopra la piattaforma . La parte superiore al premere di un pulsante scorre intrappolando il collo strettamente.  Il boia preme contemporaneamente il pulsante che fa cadere  la mannaia sul collo e la testa cade in una cesta  di vimini rivestita di zinco piena di segatura, che evita  lo spargimento di sague. Il corpo è ipoi di sposto in una bara sempre di vimini  rivestita di zinco. La bara è alla destra della ghigliottina e può contenere fino a quattro corpi
La ghigliottina pesa circa 600 kg , una squadra usando  bulloni la monta in mezzora.  Ne furono costruite due per l’Algeria, verniciati in lacca marrone.  Altre per la Francia e per l’Indocina, una sarebbe stata verniciata color rosso sangue.
Inizio autunno, fa caldo come in piena estate. Lunghe giornate di sole. Il quartiere dove lavoro, Bab el Oued, è stato sommerso dalle acque, ma ora è tranquillo, la spiaggia di fronte è frequentata, anche da donne.  Un giorno  passeggio per le stradine strette e tortuose della Casbah, dal basso verso alto. Da alcune porte e finestre esce musica chaabi. Un uomo con barba mi dice: “Benvenuto alla Casbah!”. Certo  a sera Algeri muore, quasi nessuno gira di notte. La città e i suoi abitanti sono prudenti.                     
Algeri lentamente prende i colori del nuovo giorno, chiaro e senza nuvole. Il mattino è splendido, il cielo azzurro. Il bianco e il blu degli edifici risplendono al primo sole, i vetri scintillano. Il profumo di Bab el Oued è quello del mediterraneo, le cui onde si frantumano contro spiagge e scogliere, e si mescola agli odori e rumori della città che inizia a vivere. Il traffico, la raccolta dei sacchi di spazzatura, i caffè che aprono. La gente scende in strada, compra i giornali e parla. Scendo anch’io dall’ultimo piano di un edificio di lusso. Respiro aria a pieni polmoni per liberarmi dal pensiero e le immagini  che ogni tanto mi visitano di notte. A volte sono poche immagini, altre volte è un film completo.
Sono in piedi con le mani legate davanti. Indosso una giacca grigia, pantaloni neri, camicia bianca. Sgualciti e sporchi. Ascolto una voce che mi condanna alla ghigliottina. Non vedo il giudice, avvocati e giuria, solo due militare ai miei lati. Le parole mi scuotono, le mani mi tremano e sudo.
La prigione è nelle alture d’Algeri.
La cella è semibuia, la luce, che non si spegne giorno e notte,  della lampadina è debolissima, un filo. Un finestra con inferriate, un lungo e stretto rettangolo, è a un paio di metri dal pavimento. Si può guardare il cielo e capire che il giorno trascorre e la notte  arriva. Ora è buio, a volte  si vedono delle stelle. Mai la luna.
Chi mi  accompagna  sfotte. La veuve è bella ti farà perdere la testa.
Usciamo e entriamo in un cortile circondato da alte mura sporche. Pioviggina in collina. Nel cesto di fronte a me vedo la testa mozzata  di uno ghigliottinato prima di me.
 Un  secondo dopo la mia  testa rotola nel cesto dove si trova quella di Ahmed che mi ha preceduto La vedo, la testa insanguinata, rosso poi nero. Mi risveglio.
 Questo incubo mi spinge a visitare la tomba di Fernand Yveton nel cimitero europeo di Boulognine e a vedere la ghigliottina in un museo d’Algeri.

Di Francesco Cecchini

Nato a Roma . Compie studi classici, possiede un diploma tecnico. Frequenta sociologia a Trento ed Urbanistica a Treviso. Non si laurea perché impegnato in militanza politica, prima nel Manifesto e poi in Lotta Continua, fino al suo scioglimento. Nel 1978 abbandona la militanza attva e decide di lavorare e vivere all’estero, ma non cambia le idee. Dal 2012 scrive. La sua esperienza di aver lavorato e vissuto in molti paesi e città del mondo, Aleppo, Baghdad, Lagos, Buenos Aires, Boston, Algeri, Santiago del Cile, Tangeri e Parigi è alla base di un progetto di scrittura. Una trilogia di romanzi ambientati Bombay, Algeri e Lagos. L’ oggetto della trilogia è la violenza, il crimine e la difficoltà di vivere nelle metropoli. Ha pubblicato con Nuova Ipsa il suo primo romanzo, Rosso Bombay. Ha scritto anche una raccolta di racconti, Vivere Altrove, pubblicata da Ventura Edizioni Traduce dalle lingue, spagnolo, francese, inglese e brasiliano che conosce come esercizio di scrittura. Collabora con Ancora Fischia IL Vento. Vive nel Nord Est.

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