L’impianto della Legge di Bilancio 2024 è ormai definitivo, dopo la votazione degli emendamenti in Commissione di Bilancio del Senato e l’approvazione del Senato stesso. I prossimi passi, puramente formali, prevedono il trasferimento del provvedimento blindato alla Camera, dove sarà approvato con voto di fiducia entro il 30 dicembre. La seconda manovra finanziaria del Governo Meloni rappresenta uno snodo fondamentale, poiché è il primo documento di politica economica interamente ascrivibile alla nuova maggioranza. I punti principali possono essere facilmente sintetizzati.
Austerità. Il Governo Meloni – in perfetta continuità con i Governi precedenti – si appresta a varare una manovra fiscale sotto il segno dell’austerità, ossia fatta di tagli alla spesa pubblica e maggiori tasse, perché opera nel solco della compatibilità con l’Unione europea e riserverà le poche risorse concesse dalla rigidità dei vincoli di bilancio a padroni e padroncini che rappresentano il blocco sociale di riferimento di qualsiasi governo di centro-destra. Questa politica economica del governo era già stata messa nero su bianco nella NADEF, ancor prima del rientro del PSC (ormai alle porte): il Governo ha già fatto i compiti a casa, ricevendo persino i complimenti della Commissione per l’intensità dell’aggiustamento di bilancio prospettato per il 2023 e per il triennio successivo. Inoltre, è notizia di queste ore che l’accordo raggiunto sul Patto di Stabilità e Crescita va al di là delle peggiori previsioni: l’Italia fa finta di avere ottenuto un successo con i piani di rientro spalmati su 7 anni per i paesi impegnati con le famigerate “riforme”, ma in realtà i meccanismi di controllo saranno molto più stringenti ed efficaci rispetto alle regole attuali, costringendo i paesi come l’Italia a ridurre il rapporto debito/PIL al ritmo dell’1% l’anno. Ma soprattutto, il disavanzo “consentito” ogni anno sarà dell’1,5% (oggi può arrivare al 3%); vuol dire, in pratica che l’Italia dovrà registrare avanzi primari ad un ritmo ancora più elevato di quanto già fatto registrare negli ultimi 15 anni (con conseguente rallentamento dell’economia).
Pensioni. Per il 2024 l’austerità pensionistica, già suggellata nel 2023, sarà pienamente confermata ed anzi verrà rafforzata.
- Si conferma anche per il prossimo anno, con qualche lieve rimodulazione al rialzo o al ribasso a seconda delle fasce di reddito, il taglio draconiano, già stabilito per il 2023, della percentuale di indicizzazione per le pensioni superiori a quattro volte il minimo INPS. In concreto significa che, per le pensioni uguali a superiori a circa 2100 euro lordi al mese (circa 1600 euro netti), non viene riconosciuta una piena indicizzazione alla dinamica dei prezzi, ma percentuali decrescenti al crescere della pensione fino ad un minimo al di sotto del 30% dell’inflazione per le pensioni più alte. Non è difficile capire come si tratti di una misura fortemente punitiva, priva di alcuna giustificazione se non la volontà di far cassa sulla pelle dei pensionati in nome dell’austerità di bilancio e che sortisce effetti distributivi dirompenti in tempi di alta inflazione.
- La condizione legata all’accesso anticipato alla pensione tramite quota 103 peggiora drasticamente. Rispetto al 2023, infatti, per chi va in pensione con quota 103 (62 anni + 41 di contributi) vi sarà: a) un ricalcolo della parte di pensione ancora legata al calcolo retributivo, che avverrà ovviamente con il sistema contributivo e porterà a decurtazioni significative; b) la pensione non potrà comunque eccedere la cifra di 2272 euro lordi (prima era 2800), ovvero circa 1700 euro netti; c) dilatazione del tempo delle finestre di accesso (con ulteriore rimando di alcuni mesi dell’effettiva ricezione della prima pensione); Vengono inaspriti i requisiti di accesso a opzione donna (da 60 a 61 anni), già fortemente ristretti per il 2023 e limitati ad una platea rigidamente selezionata; sono resi più severi anche i requisiti anagrafici per l’APE sociale; è anticipato di due anni l’adeguamento dei requisiti per la pensione anticipata (dal 31-12 2026 al 31-12 2024).
- C’è un altro inasprimento drastico, questa volta dei requisiti per l’accesso alla cosiddetta pensione anticipata solo contributiva (64 anni di età + 20 di contributi), riservata cioè ai lavoratori “contributivi puri”, ovvero coloro che andranno in pensione soltanto con il sistema contributivo perché hanno iniziato a versare contributi dopo il 1996 (una platea per ora ristretta, ma che crescerà nel tempo). Il requisito per accedere alla pensione anticipata solo contributiva è che l’assegno pensionistico sia almeno tre volte il minimo INPS (prima era 2,8 volte), penalizzando così i pensionati più poveri che non possono godere di questo diritto; inoltre, l’assegno non potrà eccedere le cinque volte il minimo INPS (2840 euro lordi al mese), fino al raggiungimento dei 67 anni di età. Viene agganciato inoltre all’evoluzione della speranza di vita non solo il requisito anagrafico, ma anche quello contributivo (cosa non prevista dalla legge Fornero).
- In conclusione, l’impianto complessivo dell’attuale sistema pensionistico italiano, così come plasmato prima dal governo Draghi e poi dal governo Meloni in due anni di legislatura risulta per gran parte degli aspetti peggiorativo rispetto alla situazione prevista dalla Legge Fornero.
Sanità. Abbiamo già spiegato come l’austerità abbia devastato la sanità pubblica. La nuova manovra aumenta il Fabbisogno Sanitario Nazionale (FSN) di 3 miliardi per il 2024, 4 miliardi per il 2025 e 4,2 miliardi per il 2026, salendo rispettivamente a 134 miliardi (2024), 135,3 miliardi (2025) e 135,5 miliardi (2026). Per il 2024, 2,4 miliardi (80%) sono destinati ai rinnovi contrattuali del personale dipendente e convenzionato, lasciando pochissime risorse per le altre priorità. Non è previsto un piano straordinario di nuove assunzioni (mancano 30 mila medici e 250 mila infermieri), indispensabile per rilanciare la sanità pubblica, che dopo il Covid presenta criticità drammatiche. Questi numeri si traducono in una riduzione del finanziamento pubblico in termini reali: dal 2025 gli aumenti nominali non coprono nemmeno gli aumenti legati all’inflazione, traducendosi in meno macchinari, meno farmaci, peggioramento del servizio. Sono confermate anche le stime della NADEF 2023 sulla spesa sanitaria per il triennio 2024-2026, con riduzione del rapporto spesa sanitaria/PIL, che precipita nel 2026 al 6,1% (molto al di sotto della media europea, in Germania e Francia siamo al 10%).
Reddito di Cittadinanza. Il Governo cancella il sostegno a 900mila famiglia, come segnala anche (addirittura) Bankitalia. Il taglio del reddito colpisce in particolare le fasce più deboli della popolazione, cioè le stesse maggiormente colpite dall’inflazione (che ammonta a un enorme 18% cumulato negli ultimi 3 anni) che pesa di più sui più poveri, per i quali è maggiore la quota di spesa destinata a (energetici ed alimentari, cioè i beni con la crescita dei prezzi maggiore). Approfondimenti qui.
Fisco. La mancetta del taglio al cuneo fiscale è confermata per il 2024 per i redditi fino a 35mila euro: sappiamo che queste risorse finiscono direttamente nei profitti delle imprese nel medio periodo, persino a detta di economisti liberisti come Boeri e Perotti (approfondimenti qui e qui). Verranno ridotte, in futuro, le aliquote IRPEF da 4 a 3 (una riduzione delle aliquote significa sempre minore progressività, e quindi un regalo ai più ricchi). Aumentano i trattamenti di favore per i redditi non da lavoro (es. estensione del regime della cedolare secca, regimi forfettari, etc.). Cade nel ridicolo, inoltre, l’imposta sugli extraprofitti per le banche (invece dell’imposta possono accantonare i soldi fra le loro riserve) e imprese energetiche.
Autonomia differenziata. Le diseguaglianze aumenteranno anche su base territoriale, con il progetto dell’autonomia differenziata (la “secessione dei ricchi”), come il Governo promette di fare già da gennaio. Le Regioni più ricche punteranno a trattenere una quota maggiore del proprio “residuo fiscale” (cioè, la differenza fra le imposte riferibili alle attività economiche svolte sul proprio territorio e la spesa pubblica relativa agli stessi territori). In questo modo si indebolisce la funzione redistributiva che è proprio alla base di un sistema fiscale, e si dirà definitivamente addio all’idea che qualsiasi cittadino italiano ha diritto (almeno per le prestazioni essenziali) alla stessa quantità e qualità di prestazioni a prescindere da dove è nato o vive.
Rinnovo dei contratti pubblici. I contratti del pubblico impiego sono scaduti il 31 dicembre 2021, e dunque le retribuzioni dei lavoratori sono ancora quelle fissate a suo tempo, a fronte comunque di una inflazione a due cifre che ha ridotto pesantemente il già magro potere di acquisto dei lavoratori pubblici. La Legge di Bilancio destina 3 miliardi per il 2024 e 5 per il 2025. Queste risorse sono del tutto insufficienti per garantire un adeguato rinnovo contrattuale. A fronte di un’inflazione che sfiora il 18% nel triennio, servirebbero non meno di 31 miliardi di euro, mentre le risorse sin qui stanziate sono una piccola goccia nell’oceano.Sempre più vincitori di concorso dovranno rinunciare al posto, a causa dei costi insostenibili nelle grandi città (con conseguente malfunzionamento dei servizi pubblici), e il Ministro Zangrillo in tutta risposta se ne esce con la retorica del “posto figo” (mentre Salvini precetta in continuazione).
Politiche industriali: non c’è praticamente nulla. L’articolo 52 rafforza l’accesso al credito per l’export delle imprese, l’articolo 53 definisce i limiti del credito di imposta per le imprese che vogliono investire nella nuova ZES unica del Mezzogiorno. L’articolo 55 finanzia i Contratti di Sviluppo per 190 mln di euro nel 2024 e 210 per il 2025. Infine, l’articolo 56 estende e modifica le garanzie SACE per gli investimenti produttivi e infrastrutturali a parziale fallimento di mercato. In materia di energia si registra solamente lo stanziamento di 400mln di euro per il bonus sociale elettrico per il primo trimestre del 2024, mentre si dice addio al Servizio di maggior tutela. In materia di politica industriale ed energia il numero contenuto di provvedimenti si spiega parzialmente col recente varo di tre decreti specifici in questi ambiti, che costituisce una pessima prassi legislativa che finisce col frammentare eccessivamente gli interventi creando un quadro estremamente complesso e di difficile interpretazione. E a proposito di politica industriale, due parole sull’ILVA. Su un impianto di interesse strategico per il paese, un Governo autodefinito sovranista è appeso ai capricci di una multinazionale indiana con sede in Lussemburgo, ed è impegnato a trovare una soluzione utile solo a coprire con soldi pubblici i debiti accumulati in questi anni da un privato che macina utili sulla salute dei cittadini e lasciando in cassa integrazione circa la metà dei lavoratori. Il risultato? Alla fine, non sarà tutelato né il diritto alla salute, né un obiettivo di politica industriale, né obiettivi sociali di occupazione nel Mezzogiorno. Il tutto, peraltro, con un enorme esborso di soldi pubblici
Revisione del PNRR. È un punto legato indirettamente alla legge di bilancio, la. Tale revisione è infatti parte integrante della manovra economica del governo, e sposta circa 20 miliardi di euro di risorse destinandole prevalentemente alle imprese (12 miliardi di soliti incentivi automatici, regali ai profitti, 5 miliardi alle imprese del settore energetico per il REPowerEU), lasciando le briciole alle misure sociali (750 milioni per la Missione Salute del PNRR).
Le uniche misure della manovra sono un mero rifinanziamento di interventi già in corso, tutti interventi che non servono a ribaltare il paradigma degli scorsi decenni. Il governo dimostra ancora una volta di essere forte con i deboli e debole coi forti, implementando alacremente l’agenda di austerità dei governi precedenti, con l’aggravante di un ulteriore salto di qualità nel favorire gli interessi dei ceti più abbienti e nella riduzione dell’intervento pubblico e delle risorse destinate a scuola, sanità e sostegno ai redditi più bassi