Fabrizio Russo 

Negli ultimi trimestri, gli indici dei prezzi PCE complessivo (headline) e “core” hanno subito un rallentamento, a causa del crollo dei prezzi della benzina, di un calo dei prezzi dei prodotti alimentari e di un continuo forte calo dei prezzi dei beni durevoli.

Con la divulgazione, a cura del Bureau of Economic Analysis, dei dati relativi all’indice dei prezzi PCE la scorsa settimana è giunta una nota stonata dall’inflazione degli affitti, in accelerazione a novembre da ottobre. Una componente sostanzialmente “bloccata” da marzo che registra, per il nono mese consecutivo, aumenti mensili i quali, annualizzati, sono rimasti in prossimità del 6% e più. Questa ostinazione dell’inflazione degli affitti “a non scendere” è un duro colpo alle speranze – sbandierate per 18 mesi dalla Fed e dagli economisti di tutto il mondo – riguardo ad una sua imminente calmierazione. Le motivazioni che giustificavano la sua viscosità erano: che “era in ritardo” e che “sappiamo che però scenderà”, eccetera, eccetera. Purtroppo, non solo non è scesa ulteriormente ma, in base all’ultimo dato, ha addirittura accelerato. L’indice dei prezzi PCE complessivo (“headline”) e l’indice dei prezzi PCE “core” (senza cibo ed energia) hanno, è vero, rallentato ulteriormente. Il punto focale è che sono stati spinti al ribasso dal crollo dei prezzi della benzina, da un calo mensile dei prezzi dei prodotti alimentari e da un continuo forte calo dei prezzi dei beni durevoli. Tutti valori che sono “ancora in uscita” dall’enorme picco pandemico.

L’indice dei prezzi degli affitti PCE ha accelerato allo 0,5% a novembre da ottobre, ovvero il 6,2% annualizzato, ed è rimasto in un intorno di questo valore da marzo. Dalla fine del 2022 fino a marzo 2023, l’inflazione degli affitti aveva subito un brusco rallentamento su base mensile. Ma, a partire da marzo – tra speranze “selvagge e confuse” che avrebbe continuato a decelerare, citate più volte da Powell – l’inflazione degli affitti PCE è rimasta in prossimità di tassi annualizzati nell’ordine del 6% (riquadro blu):

Inflazione USA domata? Un utile effetto ottico per ridurre il peso del debito in termini reali

I dati CPI per gli affitti, pubblicati all’inizio di dicembre, hanno mostrato un andamento simile : l’inflazione mensile degli affitti ha smesso di scendere all’inizio del 2023 ed è rimasta intorno al 6% annualizzato. E questo è un osso duro da risolvere.

Anno su anno , l’indice dei prezzi PCE per l’affitto è sceso al 6,7%. Questa decelerazione su 12 mesi è stata però determinata dalla forte decelerazione mensile che ha caratterizzato la fine del 2022 e l’inizio del 2023. Se l’inflazione mensile degli affitti continuasse lungo la stessa tendenza imboccata da marzo, la pendenza discendente su base annua inizierebbe a raddrizzarsi nei prossimi mesi e ad appiattirsi entro marzo 2024 intorno alla soglia del 6%, un livello quasi doppio rispetto a quelli medi registrati prima della pandemia:

Inflazione USA domata? Un utile effetto ottico per ridurre il peso del debito in termini reali

L’indice dei prezzi “core” PCE , che esclude alimentari ed energia, ha rallentato, registrando un aumento dello 0,06% a novembre rispetto a ottobre (linea blu), a seguito del forte calo dell’indice dei beni durevoli (-0,43%) che stanno ancora uscendo dal loro picco pandemico (come evidenzia la figura riportata sotto). La media mobile a tre mesi, allo 0,18%, è però rimasta sostanzialmente invariata negli ultimi tre mesi (rossa). Ciò si traduce in un tasso annualizzato del 2,2%, che sarebbe vicino all’intervallo obiettivo della Fed.

Inflazione USA domata? Un utile effetto ottico per ridurre il peso del debito in termini reali

Anno su anno, l’indice dei prezzi PCE “core” è sceso al 3,2% (linea rossa). L’indice generale dei prezzi PCE, spinto al ribasso dal crollo dei prezzi della benzina, è sceso al 2,6%:

Inflazione USA domata? Un utile effetto ottico per ridurre il peso del debito in termini reali

La flessione degli indici “headline” e “core” rassicura il mercato e favorisce una buona gestione delle aste del debito pubblico, ma dato il livello continua ad erodere, progressivamente, l’onere a carico del debitore statunitense, sia pubblico che privato: un risultato che non può che far piacere alla FED, anche se la cosa è oggettivamente inconfessabile. Il punto è che, come abbiamo visto, andando nelle pieghe dei dati aggregati (Headline e Core) il quadro è assai meno rassicurante, anche se per ora oggettivamente tiene.

Il punto è: “Quanto durerà”? Certo grazie alla buona sorte delle combinazioni economiche globali la tendenza flettente potrebbe consolidarsi ed eliminare la viscosità residua. Purtroppo, il quadro internazionale e geopolitico non depone in tal senso. I conflitti principali, e locali, rimangono belli vivaci (e tutti corrispondono ad un impegno del Budget federale, che non è certo deflattivo) e rischiano di riportare in tensione – e non poco – i corsi petroliferi (Cina permettendo), i segnali dalle supply chain globali, specie per quanto riguarda i trasporti, non sono altrettanto positivi: lo stretto di Suez è, nella sostanza, virtualmente chiuso mentre quello di Panama ha enormi difficoltà legate a variabili non direttamente sotto il controllo dei decisori politici. Inoltre, le politiche monetarie hanno iniziato, almeno negli USA, ad abbassare la guardia e questo non è un bel segnale per la lotta all’inflazione. Le politiche fiscali, in caso di “scatafasci” (tutt’altro che improbabili), difficilmente potranno astenersi dall’intervenire appesantendo i già cospicui fardelli dei deficit pubblici in molte economie occidentali, specie gli USA, e aggiungendo ulteriori elementi inflattivi al quadro di finanza pubblica già precario (sotto i colpi degli impegni militari legati agli eventi geopolitici in atto). Sarà quindi una vittoria di Pirro, quella sull’inflazione statunitense (e, probabilmente, in tal caso anche europea)? Riteniamo di sì, augurandoci di sbagliare! Molti elementi oggettivi spingono in tal senso mentre sull’altro piatto della bilancia vi sono desiderata lungi da realizzarsi ed ipotesi che, in molti casi, appaiono tutt’altro che realistiche anche se danno lustro alla FED, corroborando, in teoria, l’avvedutezza delle sue decisioni

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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