Millei stoppato, per ora, in tribunale. Il 24 gennaio lo sciopero generale. Uno scenario che rappresenta una sfida epocale per la sinistra
Sono bastate due settimane agli argentini per capire da chi passerà la motosega di Javier Milei. La “casta” da sradicare, alla fine, è la classe operaia. Tuttavia il “plan motosierra” promesso da Javier Milei, il presidente argentino ultraliberista eletto nel novembre 2023, ha incontrato qualche difficoltà all’inizio della settimana. Il 3 gennaio, la Camera nazionale del lavoro, presieduta dalla Confederación General del Trabajo (CGT, Confederazione Generale del Lavoro), ha sospeso temporaneamente il Decreto di Necessità e Urgenza (DNU) emanato dal leader dell’estrema destra, che gli ha permesso di scavalcare il Congresso (dove è in forte minoranza).
Tra le altre cose, questo decreto prevedeva modifiche a tutta la legislazione sociale ed economica del Paese, riducendo le indennità di licenziamento, estendendo il periodo di prova da 3 a 8 mesi, limitando il diritto di sciopero e consentendo il licenziamento in caso di blocco o occupazione del posto di lavoro.
Tutte queste riforme, unite alla legge “omnibus” (664 articoli) inviata al Congresso il 20 dicembre (che inasprisce ulteriormente le pene per il picchettaggio prevedendo fino a sei anni di carcere, peraltro somigliando moltissimo a quello che recitano i decreti Salvini e il nuovo pacchetto sicurezza di Piantedosi), testimoniano la strategia d’urto neoliberista di Javier Milei. La svalutazione del 100% del tasso di cambio ufficiale prevede un’inflazione che raddoppierà di mese in mese per tutta l’estate (adesso in quell’emisfero) e il trasferimento di reddito dai lavoratori al grande capitale. In questo scenario di recessione e di calo dell’occupazione, Patricia Bullrich ha istituito un protocollo anti picchetto per criminalizzare e liquidare la protesta sociale, uno strumento repressivo che ha fallito il 20 dicembre, quando le organizzazioni di sinistra hanno manifestato massicciamente in Plaza de Mayo, e anche dopo l’annuncio del DNU, quando migliaia di lavoratori sono scesi in piazza con le loro pentole e padelle nelle principali città del Paese, così come nella recente riunione della CGT a Tribunales.
Ma il 3 gennaio i giudici hanno temporaneamente frenato le ambizioni di Millei. Nella loro decisione, che riguarda la parte operativa del decreto, i giudici puntano il dito contro la mancanza di argomenti che ne giustifichino l’urgenza, soprattutto perché alcune norme “hanno un carattere repressivo o punitivo” che richiede un lavoro parlamentare.
Il governo ha fatto ricorso, ma questa è la prima battuta d’arresto di Milei, e non è l’ultima delle sue difficoltà, dato che altre organizzazioni e individui hanno portato il DNU in tribunale, chiedendo una moratoria. Millei avrebbe preferito che tutte le denunce fossero centralizzate in un tribunale favorevole al governo, ma il tribunale amministrativo ha deciso che saranno giudicate separatamente. Il governo dovrà quindi intensificare gli sforzi per difendere il suo decreto, sapendo che qualsiasi tribunale può dichiarare una legge incostituzionale.
La CGT ha indetto uno sciopero generale per il 24 gennaio, a cui si uniranno numerose organizzazioni sociali. Questa svolta della CGT non è neutra, in un Paese in cui un terzo dei lavoratori del settore formale è iscritto al sindacato (è il secondo Paese dell’America Latina in termini di densità sindacale).
La CGT non è la sola ad essere indignata. Mentre la legge omnibus di Milei prevede un inasprimento della repressione in caso di “resistenza all’autorità” (sancendo la presunzione di legittima difesa per le forze dell’ordine), tutti i settori della società attaccati dalle sue riforme stanno reagendo. Per questo il 24 gennaio sarà un momento importante: i sindacati metteranno alla prova la loro capacità di mobilitazione, sapendo che anche il movimento femminista è molto radicato nel Paese, Ni una menos è partita da qui, è sarà in prima linea. Sarà una prova di forza: o il movimento attecchisce, il Paese si blocca come durante il movimento dei piqueteros negli anni Novanta e il governo fa marcia indietro; oppure si impone e si entra in uno scenario di repressione.
La promessa di Milei di far pagare l’austerità alla “casta politica” è già considerata un lontano ricordo, anche da una parte del suo elettorato, vista la misura in cui le sue riforme favoriscono il capitale finanziario. “Non siamo la casta, ma i lavoratori”, hanno scandito i manifestanti il 20 dicembre proprio nel giorno in cui il governo presentava le sue misure. Mai “luna di miele” è stata così breve: Milei ha conquistato ampi settori della classe operaia, storicamente peronista, ma che, al di là del rifiuto della casta, era quotidianamente strangolata dall’inflazione eccessiva. Avevano sperato nella ripresa economica promessa. Ma la svalutazione del 50% del peso e la brutale riduzione dei sussidi, in particolare per i trasporti, hanno creato immediatamente una grande delusione. Già un quarto delle persone che hanno votato per lui sono deluse perché stanno vivendo difficoltà economiche e sono i primi a essere colpiti dalle sue riforme, che hanno un impatto globale sul lavoro, sulla salute o, ancora, il potere d’acquisto.
Per gli osservatori, il piano di Milei, che combina un’eccessiva liberalizzazione economica con gravi minacce al funzionamento della democrazia, è l’incarnazione del “neoliberismo autoritario”. “La brutalità della trasformazione neoliberale voluta da Milei crea conflitti, come nell’Inghilterra della Thatcher e come nella Francia di Macron. E’ preoccupante la presenza nel suo governo della vicepresidente Victoria Villarruel, che nega i crimini della dittatura, e lo stesso Milei non è estraneo al mondo dei nostalgici della dittatura argentina. Nel suo curriculum spicca un’esperienza da consigliere economico del governatore della provincia di Tucumán, Antonio Bussi, che ha partecipato alla repressione durante la dittatura militare. Non è solo un presidente deciso a svendere il Paese ma ha anche l’appoggio del braccio armato.
Mentre l’Argentina ha celebra il 40° anniversario del suo ritorno alla democrazia nel 2023, la volontà di Milei di aggirare il Parlamento per imporre il suo megadecreto deregolatore, limitando al contempo le possibilità di dissenso, ricorda a tutti l’epoca autoritaria della dittatura.
Piqueteros, movimento per i diritti umani, movimenti femministi e studenteschi, sindacati e partiti di sinistra: tutto il movimento sociale attende la data decisiva del 24 gennaio, che potrebbe rappresentare una svolta. Tuttavia, ci sono preoccupazioni per il livello di repressione.
In una recente intervista al sito francese Révolution permanente, Sol Dorin, membro della direzione del Partito Socialista dei Lavoratori (PTS, trotskista), ritiene che Milei “sia molto lontano dal superare la memoria dei crimini della dittatura del 1983 in Argentina”: “Se ci sarà una forte repressione, penso che tutti i settori, la classe media, gli studenti, le donne e tutti i lavoratori scenderanno in piazza. Il partito militare non ha trasformato il suo peso elettorale in mobilitazione di strada”.
Al di là dei suoi effetti immediati, il “decretazo” di Milei vuole imporre un nuovo ordine nei rapporti tra le classi sociali e ricostruire un’egemonia reazionaria, in cui l’unico diritto operativo è la libera circolazione del capitale, l’accumulazione è sostenuta dalla più feroce concorrenza capitalistica, a vantaggio del grande capitale, e si compiono progressi nella disciplina della classe operaia attraverso la riforma del lavoro e delle pensioni.
In questo contesto, a sinistra del peronismo c’è chiarezza sull’imperativo di rovesciare la Legge Omnibus e la DNU una volta per tutte con l’organizzazione di assemblee nei luoghi di lavoro, nelle scuole e nei quartieri; l’unità d’azione dei diversi settori in lotta; la costruzione di uno sciopero generale attivo.
E’ importante aver chiaro che in Argentina, come ovunque, Italia compresa, l’ultradestra non nasce sotto un cavolo. Il peronismo, nel suo labirinto, attualmente accumula 27 degli ultimi 33 anni di gestione democratica che sono troppi per andare in giro a schivare le responsabilità.
Un documento analitico redatto da Marabunta, organizzazione rivoluzionaria e femminista legata alla Quarta Internazionale, spiega che la crisi del capitalismo argentino si trascina da un decennio di stagnazione economica e da sei anni di declino. I governi hanno aggiustato e/o mantenuto le condizioni di vita di milioni di persone, senza trovare un modo per stabilizzare l’economia; uno dopo l’altro passano, mentre l’esistenza della classe operaia diventa ogni giorno più miserabile e quasi la metà della popolazione del Paese è sotto la soglia di povertà. Allo stesso tempo, le banche mostrano una redditività incredibile e la redditività dei padroni cresce palesemente. Tra i governi di Macri e Fernández, il trasferimento di reddito tra lavoro e capitale è stato a stragrande maggioranza a favore dei capitalisti: la somma stimata da un rapporto del Centro Cifra-CTA ammonta a 101 miliardi di dollari. Si parla di austerità, si parla di stringere i conti, ma le vittime dei tagli sono sempre i lavoratori.
La proposta di Javier Milei e La Libertad Avanza, con il pretesto di una critica al “sistema” e alla “casta”, ha vinto le elezioni incarnando il programma più reazionario tra quelli messi in campo dalla borghesia. «Mentre tutti promettevano aggiustamenti e aggiornamenti ai dettami del Fondo Monetario Internazionale, Il “malmenorismo” argentino si è rassegnato a spararci “solo” alle gambe, mentre La Libertad Avanza si è proposta di amputarci gli arti», si legge nel documento.
È impossibile spiegare la vittoria di Javier Milei e della sua truppa senza partire dalla crisi del capitalismo argentino a partire dalla seconda presidenza di Cristina Fernández, passando per il clamoroso crollo della seconda metà della presidenza di Macri e la sua prosecuzione sotto la presidenza di Alberto Fernández. Negli ultimi anni, decine di miliardi di dollari sono stati trasferiti dalla classe operaia alla classe imprenditoriale in un continuo e brutale aggiustamento. Nel frattempo è stato concluso e legittimato un accordo con il Fondo Monetario Internazionale che ha aumentato l’ingiustizia sociale e le politiche inflazionistiche. Questo accordo è stato convalidato da tutti i governi.
Questo processo si sta svolgendo nel contesto dell’emergere e dell’ascesa di diverse varianti dell’ultradestra in tutto il mondo (il caso degli Stati Uniti, del Brasile, dell’Inghilterra, dell’Italia, dei Paesi Bassi, ecc.), dove si ripete uno schema: calo delle condizioni di vita della classe operaia, forti campagne mediatiche che spingono l’”opinione pubblica” verso destra e aumento della violenza politica. Nel momento in cui si sollevano e cercano di avanzare, queste espressioni reazionarie incontrano anche significative esperienze di resistenza popolare.
Marabunta ritiene che sia necessario prestare particolare attenzione alla costruzione di un programma diverso per articolare la resistenza, perché è necessario porre fine al ciclo di soluzioni malmenoriste, nel contesto della crisi di civiltà verso cui il capitalismo ci sta spingendo con sempre maggiore impeto. Millei ha provato a convincere un settore importante dei lavoratori poveri che il problema è rappresentato dai loro vicini, da chi si organizza in un movimento sociale o chi si organizza in un sindacato per rivendicare i propri diritti, tutti simboli di arretratezza che non permettono il “flusso virtuoso del mercato attraverso la libertà”. Forse il danno più subdolo di questo discorso è che confonde le proposte di cambiamento sociale strutturale con il “progressismo senza benzina”. Una dinamica, anche questa, che è ben nota anche a queste latitudini.
Questo scenario rappresenta una sfida epocale per la sinistra perché rivela che non c’è progetto all’interno del capitalismo che possa superare la crisi sistemica: la depredazione della natura, l’impoverimento della vita quotidiana, la rottura dei legami sociali e l’arricchimento grossolano di una manciata di imprenditori capitalisti dovrebbero farci suonare il campanello d’allarme.
“La prima cosa che dobbiamo avere chiara – si legge ancora nell’analisi di Marabunta – è che non possiamo mai sottovalutare nessuna fazione del nemico. I compiti che ci attendono sono molto impegnativi e metteranno alla prova la somma dei nostri sforzi, la somma della nostra intelligenza, la somma della nostra coscienza».
Con DNU e la legge omnibus, il governo attacca le condizioni materiali di esistenza: attacca il lavoro con la riforma del lavoro, attacca la salute con il disinvestimento statale nei fondi sanitari e la messa in discussione del diritto all’aborto, attacca il diritto al cibo con l’aumento dei prezzi dei supermercati, attacca il diritto alla casa con la deregolamentazione del mercato immobiliare, attacca l’edilizia abitativa con la privatizzazione dei beni comuni e la cancellazione delle opere pubbliche, attacca le libertà democratiche con la limitazione del diritto di protesta. Nel campo dell’istruzione: include l’apprendimento in modalità mista (da noi diremmo la Dad) anche nell’istruzione primaria, dispiega molteplici dispositivi di controllo e valutazione sulle scuole e sugli insegnanti; e nell’istruzione superiore consente tasse universitarie per gli stranieri e finanziamenti in base a criteri di produttività.
Le iniziative di Milei sono un attacco frontale all’insieme dei lavoratori, sostenuto dalla costruzione di un nemico interno: quelli di noi che si organizzano nei sindacati, nelle organizzazioni sociali o politiche di sinistra, le femministe, quelli che lottano, quelli che non si rassegnano, quelli che resistono.
Ma sia la DNU che la Legge Omnibus hanno bisogno di sostegno per diventare efficaci. In linea di principio, nel Congresso, ma anche in un accordo politico tra i settori che oggi pretendono di rappresentare il popolo nelle camere. Uno di questi potrebbe rovesciare la DNU, così come i tribunali potrebbero dichiararla incostituzionale, ma nulla di tutto ciò sarebbe sufficiente a bandire politicamente le intenzioni del governo. Un cenno al quadro politico: Millei ha scancito l’alleanza con il Macrismo, in cambio di favori fiscali da parte di grandi imprenditori della tecnologia, della campagna, dell’universo fintech, di Techint avrà il sostegno padronale come già gode di quello dei media economici come Clarín e La Nación. Non è nemmeno chiaro chi sarà davvero all’opposizione in parlamento. Pezzi di peronismo stanno straslocando armi e bagagli nel campo avverso ricomponendo quel peronismo liberale degli anni ’90 (il famigerato menemismo) che sembrava essere stato disarcionato. La verità è che molti settori che si proclamano all’opposizione vogliono restare in finestra, il che rafforza l’idea che non ci sarà alcuna abrogazione del DNU attraverso i canali istituzionali senza massicce proteste di piazza e prove di forza da parte delle classi lavoratrici.
“Negli ultimi anni, noi che lottiamo per il socialismo femminista dal basso abbiamo visto come, per debolezza ma anche per mancanza di chiarezza strategica, siamo state superate da progetti politici reazionari senza riuscire a formare una vera opzione per il potere nella società – osserva Marabunta – qui sta una lezione da imparare: senza una prospettiva di potere non è possibile una proiezione di cambiamento sociale profondo. Senza chiarezza programmatica e strategica, non è possibile dimostrare alla società che possiamo essere un’alternativa. In breve, senza un insieme di proposte chiare e di metodologie per portarle avanti, senza un progetto contro-egemonico, non c’è possibilità di porre il capitalismo patriarcale ed ecocida come responsabile delle sofferenze che stiamo vivendo e come il vero pericolo per l’umanità. La retorica infiammata non basta. La ripetizione di slogan fossilizza gli obiettivi rivoluzionari e, per quanto aberrante possa sembrarci, LLA ha espresso una proposta di via d’uscita che settori molto importanti della classe operaia hanno accolto come fuga dall’attuale incubo socio-economico”.
Anche in Argentina, insomma, le soggettività rivoluzionarie devono approfittare dei contesti per scioperare, sfruttare con coraggio le crepe nei vertici, i vuoti di intervento quando le burocrazie permettono la mobilitazione di massa, uscire dalla routine della marcia ordinaria, generare impatto mediatico e politico. Immaginare e realizzare misure che diano fiducia al “movimento popolare” (cioè all’insieme delle forze politiche e settoriali ancorate alla classe operaia), che cambino il clima sociale, che influenzino la convergenza di forze di cui tanto si parla. “I settori organizzati del nostro popolo lavoratore e le organizzazioni socialiste sono a una svolta di maturità che ci obbliga a superare i nostri limiti – prosegue il documento – è necessario costruire l’unità, forgiare accordi difensivi che ci permettano di affrontare le spinte di un governo che inizialmente avrà la legittimazione sociale generata dalle aspettative suscitate, ma che non ha margini di tempo dopo un decennio di stagnazione e crisi. Ma allo stesso tempo è necessario discutere il nostro progetto di società, senza sottometterci al FMI e all’estorsione di chi ha di più, anteponendo i bisogni umani alla valorizzazione del capitale, i nostri diritti e la nostra dignità alla proprietà privata; la soluzione collettiva alla legge della giungla e ognuno per sé”.
L’unico modo per sconfiggere la riforma ultraliberista di Milei è esprimere la più ampia opposizione possibile delle classi lavoratrici, massicciamente e nelle strade. “Questo non significherà confondere i nostri vessilli con quelli di chi ha inasprito gli ultimi quattro anni, di chi ha deciso di pagare il debito di Macri, di chi ha stigmatizzato il movimento piquetero e di chi ha applicato il programma economico del Fondo Monetario Internazionale. Con chi vuole lottare, sciopereremo insieme, ma lo faremo a partire dalle nostre posizioni e proposte e dall’indipendenza di classe per un progetto socialista e femminista, perché è urgente muoversi in quella direzione – chiarisce l’organizzazione – la resistenza si costruisce e sarà fondamentale il ruolo che la militanza antiburocratica può assumere nei luoghi di lavoro, negli spazi di studio e nei quartieri, per organizzare assemblee, sensibilizzare e promuovere azioni di lotta. Dall’altra parte ci saranno le burocrazie sindacali e i loro alleati, sui quali dobbiamo fare pressione per costruire un piano di lotta che preveda uno sciopero generale di tutte le centrali dei lavoratori, dell’intera giornata lavorativa, che sia attivo con spazi di deliberazione e azioni dirette. In questo senso, lo sciopero annunciato dalla CGT per il 24 gennaio non è sufficiente, è chiaro che dobbiamo lottare immediatamente per indebolire il plan motosierra del governo. Costruire fin da ora la nostra forza e il potere popolare che ci permetterà di sostenerci, di evitare l’offensiva e di partire per cambiare tutto.
Sappiamo che dobbiamo contare su tutti coloro che vogliono resistere e lottare. Ma sappiamo anche che abbiamo bisogno di una chiarezza strategica che permetta di mettere sul tavolo un progetto politico emancipatore, ecosocialista e transfemminista. È tempo di prendersi cura di noi stessi. È tempo di difenderci da tutti gli attacchi. Ma è anche tempo di sognare”.