Maurizio Biagiarelli

La Germania e la ‘grande malata’ d’Europa. Lo scorso anno il prodotto interno lordo è diminuito dello 0,3%, facendo scrivere al Financial Times che quella tedesca “è stata la performance peggiore della grande economia mondiale”.

La recessione produttiva si ripercuote, inevitabilmente, sulla qualità della vita e alimenta tensioni sociali crescenti. Così, l’inizio del 2024 è stato caratterizzato da pesanti scioperi ferroviari e da turbolente e massicce manifestazioni di protesta degli agricoltori, che hanno messo in ginocchio tutta la rete nazionale dei trasporti. Le Ferrovie hanno un deficit di 30 miliardi di euro, sono descritte come ‘in crisi permanente’ e con livelli di puntualità bassissimi.

 La UE collasserà in Germania?

Il caso Germania, dopo circa 170 anni, dà ragione allo scenario marxiano che prevedeva un capitalismo talmente onnivoro che avrebbe finito per divorare se stesso, rendendo impossibile la prosecuzione di una coesione sociale fra il grande proletariato schiavizzato e i pochi, grandi pescecani che ancora vanno a caccia di nuove prede da masticare.

La proletarizzazione della classe media, la distruzione del mercato interno, la deflazione salariale a vantaggio del mantenimento dei profitti di pochi, la deregolamentazione assoluta nella circolazione dei capitali, delle merci e infine degli uomini, ha provocato una insanabile spaccatura nelle società occidentali tra élite e popolo.

La mancanza di movimenti politici organizzati socialisti, abusivamente soppiantati da una sedicente sinistra liberal diventata il perfetto strumento ideologico del globalismo capitalistico, fa sì che da questa grave crisi del sistema capitalistico l’uscita più a portata di mano sia quella nazionalistica di destra.

In Germania il primo partito sull’orlo del 30 per cento è AFD. Con grave ritardo negli ultimi mesi si è costituito un nuovo partito popolare socialista guidato da Sahra Wagenknecht, che è sperabile possa drenare una buona parte del consenso in viaggio verso AFD per portarlo su posizioni di apertura sociale e non di chiusura corporativa.

Non di più Europa c’è bisogno, ma di un po’ di socialismo, visto proprio il fallimento generalizzato della UE. Anche per sperare di cominciare a conquistare autonomia dagli USA, avvolti a loro volta in una drammatica crisi interna di sistema, e lavorare come Stati europei all’affermazione di un nuovo equilibrio multipolare e anti globalista nel mondo.

Può sembrare questo un quadro visionario irrealistico, ma la gravità della situazione in Europa e nelle altre aree del pianeta lo rende una strada obbligata. Il capitalismo è giunto a una crisi di non ritorno. Marx oggi trova conferma, perché il punto di rottura viene raggiunto proprio nei Paesi più sviluppati e non in quelli arretrati come è avvenuto nel secolo scorso con la Russia e la Cina.

Non solo c’è la possibilità, ma la stringente necessità di un nuovo socialismo del XXI secolo, che ridisegni la fisionomia del pianeta secondo le necessità dei popoli diseredati e non di quelle antisociali e autodistruttive del profitto, compreso quello che ama tingersi di green

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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