Le strategie antidemocratiche della reazione oligarchica: dai colpi di Stato hard (golpe militari) ai colpi di Stato soft (golpe istituzionalizzati), dal consociativismo, alla seconda repubblica liberale, dal berlusconismo, al trumpismo fino alla terza repubblica bonapartista.

 di Renato Caputo  

Con la resistenza contro il fascismo e il nazismo, che l’avevano radicalmente negata, la democrazia torna a essere una parola d’ordine rivoluzionaria. Perciò, una volta sconfitto il nazifascismo, si rivela impossibile restaurare la rivoluzione passiva che aveva prodotto la democrazia liberale borghese o, peggio, la Herrenvolk democracy, la democrazia per il popolo dei signori. La democrazia non si riduce più alla elezione a suffragio universale dei parlamentari, ma torna a vivere ogni giorno attraverso i partiti popolari di massa e torna a incontrarsi e contaminarsi con i diritti economici e sociali della tradizione marxista. Perciò nel dopoguerra, a partire dalla Gran Bretagna, si sviluppa una democrazia sociale che ha il suo perno nel processo di nazionalizzazione dei settori chiave dell’economia e nello sviluppo di uno Stato sociale, che deve garantire il benessere con servizi sociali tendenzialmente gratuiti a ogni cittadino dalla culla alla tomba. Tale sviluppo è reso possibile dal fatto che di fronte alle democrazie popolari che si affermavano nell’Europa orientale e in Asia, a partire dalla Cina per la borghesia, la democrazia sociale poteva essere interpretata, in quella fase, come una rivoluzione passiva, per evitare la rivoluzione attiva che mirava al socialismo. Peraltro, tale incremento della componente indiretta del salario era resa possibile da una ripresa dei profitti grazie alla ricostruzione post guerra mondiale e poi conseguente al grande ciclo di lotte di liberazione nazionale contro il colonialismo.

Così nel momento in cui viene meno la spinta propulsiva delle democrazie popolari e della Rivoluzione cinese e quando esplode una nuova e devastante crisi di sovrapproduzione, la grande borghesia mira a contenere e depotenziare, in funzione di una progressiva eliminazione, la democrazia sociale. Ideologicamente si afferma il neoliberismo che mira a restaurare il liberalismo e liberismo delle origini non contaminato dalla democrazia e dai diritti economici e sociali della tradizione marxista. Si mira a scardinare il concetto stesso di giustizia sociale. Il momento di svolta a tal proposito fu il Rapporto sulla governabilità delle democrazie alla Commissione trilaterale del 1975 in cui si denuncia che i problemi di governabilità “nascono da un eccesso di democrazia” e si sostiene “il ripristino del prestigio e dell’autorità delle istituzioni del governo centrale” [1].

Sul piano politico, a tale scopo, si elaborano diversi piani per restaurare il liberalismo delle origini. Il modello puro di tale restaurazione antidemocratica, che punta non solo a eliminare i diritti economici e sociali, ma a rendere del tutto ininfluente lo stesso suffragio universale è il modello del colpo di Stato militare che toglie di mezzo le forze marxiste e impone il neoliberismo nella forma rivisitata dell’ordoliberismo che pone “la libertà di mercato come principio organizzatore e regolatore dello stato, dall’inizio della sua esistenza sino all’ultimo dei suoi interventi. Detto altrimenti: uno stato sotto sorveglianza del mercato, anziché un mercato sotto la sorveglianza dello stato” [2]. Il primo esperimento in tal senso ha luogo con il colpo di Stato in Brasile del 1964 e il conseguente regime dei Gorillas, viene perfezionato a partire dal 1967 con la dittatura dei colonnelli in Grecia e trova la sua forma compiuta, a partire dal 1973, con il rovesciamento della democrazia sociale portata avanti dall’Unità popolare, con il colpo di Stato di Pinochet e dalla dittatura militare in Argentina dal 1976.

A tale modello hard, in paesi in cui la democrazia sociale nata dalla resistenza al nazifascismo si era ormai troppo consolidata, si sostituisce un modello più soft, in cui basta la minaccia reale di un colpo di Stato, per costringere la repubblica democratica a suicidarsi per restaurare una forma di bonapartismo regressivo. Prototipo di tale modello è il colpo di Stato istituzionalizzato sotto la direzione di De Gaulle a partire dal 1958, caratterizzato da un regime presidenzialista e dai plebisciti.

In contesti ancora più avanzati di quello francese, come in Italia, con il partito socialista cooptato stabilmente al governo pur di mantenere all’opposizione il Partito comunista più forte nei paesi a capitalismo avanzato, si sperimenta un nuovo sistema, che farà scuola, quello del cosiddetto consociativismo.

Si tratta di attrarre nella sfera di governo in maniera diretta sul piano locale, indiretta sul piano nazionale, l’unica reale forza di alternativa di sistema, per trasformarla progressivamente in una forza di alternanza al governo di un paese capitalista, giunto ormai nella fase di sviluppo imperialista. Come è noto, per chi conosce anche solo i rudimenti della teoria dell’imperialismo, in tale fase non è possibile – almeno che non ci si schieri decisamente contro il sistema, per l’alternativa socialista – sviluppare una politica diversa da quella imposta dalla necessità di procrastinare la crisi di sovrapproduzione con attività speculative e il rafforzamento dell’apparato militare-industriale.

Un altro meccanismo sperimentato, anche questo nel nostro paese, nella transizione dalla prima repubblica democratica nata dalla Resistenza, alla seconda Repubblica liberale sorta dalla autodissoluzione del Partito comunista, quale tappa conclusiva della prospettiva del consociativismo, è la creazione di una sistema bipolare in cui le forze di alternativa vengono emarginate e si impone la mera alternanza fra forze di centro, capaci di egemonizzare l’una le forze di destra, l’altra le forze di sinistra, mediante la sostituzione del metodo democratico di elezione, che rende potenzialmente efficace il suffragio universale, con il sistema uninominale e maggioritario. In tal modo, l’eliminazione degli aspetti sociali della democrazia è stabilmente sancita da una progressiva anestetizzazione dello stesso suffragio universale, caposaldo della democrazia politica. In tal modo, la democrazia torna a essere la democrazia liberale e borghese. Per cui di parzialmente democratico resta soltanto il suffragio universale anche se limitato da soglie di sbarramento, premi di maggioranza, riduzione del numero dei rappresentanti, uninominale etc. A tale proposito decisivo è l’attacco volto a depotenziare e sottoporre a una vera e propria mutazione genetica i partiti politici, strumento mediante cui la democrazia moderna riusciva a mantenere qualche forma di potere del popolo, della maggioranza meno ricca. A tale proposito si è sviluppata l’inchiesta Mani pulite che, con l’intento buono di colpire l’enorme corruzione prodotta dal consociativismo, ha permesso di fare piazza pulita dei partiti di massa che avevano reso democratica la prima repubblica. Al posto del Pci, prototipo del partito di massa e grande strumento per la democratizzazione della società italiana durante la prima repubblica sì è sviluppato il movimento Forza Italia e poi il Movimento 5 stelle. 

In particolare con l’affermazione del berlusconismo, tanto che si è parlato di decennio berlusconiano, con cui si è sviluppata la seconda repubblica, si è affermata una nuova modalità di eversione della democrazia. Si è mirato a spazzare via con i Partiti politici di massa la stessa classe politica dirigente, per sostituirla direttamente con la classe economicamente dominante. In tal modo, tutta la problematica dei rapporti dialettici fra l’apparato politico e l’apparato economico sono stati rottamati. Il populismo demagogico di Berlusconi, Renzi e Beppe Grillo, per citare gli esponenti principali, ha sviluppato una ideologia antipolitica, decisamente, nei fatti, antidemocratica. Si è così riproposta la critica positivista alla democrazia in nome di una restaurazione oligarchica, per cui a governare dovrebbero essere i migliori, i più competenti, al punto che sarebbe giunto il momento di liquidare anche le categorie politiche fondamentali a partire dalla differenza fra destra e sinistra.

Come già nel positivismo i più competenti, i tecnici tendono a coincidere con i capitani di industria. Inoltre, il potere esecutivo si è contrapposto e ha cercato di sottomettere a sé sia il potere legislativo del parlamento che il potere giudiziario della magistratura. In tal modo, come già nel positivismo, tali politiche eversive miravano a scardinare oltre alla democrazia anche alcuni aspetti cardine del liberalismo, come la divisione dei poteri. L’eversione democratica berlusconiana, come già precedentemente quella fascista, ha fatto scuola un po’ in tutto il mondo, e abbiamo assistito sempre più spesso a magnati e miliardari che hanno assunto la direzione politica del paese.

Certo, a parole, il berlusconismo non si è contrapposto apertamente alla democrazia, ma ha tentato di svuotarla dall’interno, dando l’avvio a quella deriva bonapartista regressiva e plebiscitaria che aprirà la strada alla terza repubblica alla quale mira apertamente l’attuale governo Meloni scardinando i residui democratici e in parte anche liberali della Costituzione, non a caso nata dalla lotta antifascista. Così, ad esempio, Berlusconi a capo dell’esecutivo ha preteso di sottomettere a sé sia il potere legislativo che il potere giudiziario, sfruttando il fatto di aver vinto elezioni democratiche e di avere quindi il sostegno della maggioranza degli italiani.

Come Mussolini ha aperto la strada a Hitler, che ne ha seguito l’esempio, ma realizzando un regime totalitario antidemocratico ancora più radicale, anche Trump ha ripreso e radicalizzato il berlusconismo. In entrambi i casi abbiamo, in qualche modo, l’allievo che supera il maestro. Anche Trump non si è mai contrapposto apertamente alla democrazia, ma l’ha così tanto svuotata di senso dall’interno al punto da non riconoscere i risultati dello stesso suffragio universale se questo ostacola la propria volontà di potenza. Tale deriva in realtà era già stata più volte sperimentata dai paesi imperialisti e, in primo luogo, dagli Stati Uniti nei confronti dei paesi stranieri, in cui quando non si riusciva a imporre un candidato amico, si sovvertivano in ogni modo i risultati delle elezioni con le sedicenti rivoluzioni colorate. Tale sistema è stato utilizzato spregiudicatamente da Trump anche nella politica interna, inaugurando una nuova deriva ancora più smaccatamente anti democratica che ha fatto scuola a partire da Bolsonaro.

Abbiamo, infine, per arrivare ai giorni nostri, un modello di eversione bonapartista non solo di quanto resta della democrazia, ma dello stesso liberalismo, con pratiche differenti, ma per diversi aspetti analoghe, come ad esempio il modello di terza repubblica al quale mira apertamente il governo Meloni o la deriva bonapartista del governo argentino di Milei.

Note

[1] The Crisis of Democracy Trilateral Commission Report, p. 113, Archiviato il 21 agosto 2019 in Internet Archive.

[2] Foucault, M., Nascita della biopolitica, Corso al college de France 1978-79.

https://www.lacittafutura.it/editoriali/attacco-alla-democrazia

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy: