(Foto di Ministero della Sanità)
Siamo di fronte ad un vero e proprio bollettino di guerra, ad episodi di violenza senza fine con i lavoratori trasformati in capri espiatori di servizi pubblici che non funzionano. Lavoratori che così diventano due volte vittime, del datore di lavoro pubblico – che spesso li sottopaga e li costringe a turni massacranti e ad operare in condizioni proibitive – e degli utenti che, di fronte a prestazioni inefficaci o addirittura inesistenti, individuano nel personale il terminale del malcontento.
Ci sono lavori più esposti alla violenza e alle molestie di altri: il settore sanitario, i servizi di alloggio e di ristorazione, i servizi sociali, i servizi di emergenza, il lavoro domestico, il settore dei trasporti, dell’istruzione o dell’intrattenimento risultano avere una maggiore probabilità di esposizione ad episodi di violenza. Secondo un’indagine dell’Apei, l’Associazione dei pedagogisti ed educatori italiani, più del 17% delle educatrici e degli educatori hanno subito aggressioni fisiche: https://www.portaleapei.net/. Tuttavia, sono le professioni sanitarie che – nonostante la legge 113 del 2020 che ha introdotto importanti strumenti di tutela della salute al lavoro e per la prevenzione delle aggressioni – appaiono oggi maggiormente nel mirino.
“La sua unica colpa è stata quella di invitare i parenti dei pazienti, letteralmente esagitati, alla calma, e soprattutto ad abbandonare gli spazi del pronto soccorso, per consentire la presenza del solo personale sanitario. Per tutta risposta, una giovane infermiera del San Leonardo di Castellammare di Stabia è stata prima strattonata, poi presa per i capelli, poi addirittura colpita da un violentissimo pugno in pieno volto, riportando tumefazioni sul viso e addirittura un dente rotto. Siamo di fronte ad una delle aggressioni più brutali e vergognose registrate negli ospedali italiani negli ultimi tempi, ma soprattutto davvero inspiegabili, frutto di una rabbia che cresce ogni giorno come un cancro con le sue metastasi, diventando l’esempio lampante di una mala cultura che si è come radicata nel cervello di certi cittadini, che sfogano il proprio malcontento, legato ai disagi delle strutture sanitarie, contro i nostri infermieri diventati il nemico numero uno. Siamo diventati noi, agli occhi dei cittadini, i responsabili della disorganizzazione e dei ritardi, il capro espiatorio contro cui sfogare ansie e paure.” Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Sindacato degli Infermieri Nursing Up, commentando un ennesimo episodio di violenza avvenuto ad inizio d’anno: https://www.nursingup.it/.
I casi di aggressione e violenza ai danni del personale sanitario accertati dall’INAIL nel 2022 sono più di 1.600, in aumento sia rispetto al 2021 sia rispetto al 2020, quando l’accesso alle strutture ospedaliere e assistenziali è stato fortemente limitato a causa dell’emergenza Covid-19. Nella maggioranza dei casi gli aggressori sono i pazienti e i loro parenti. Escludendo gli infortuni da Covid-19, che hanno colpito gli operatori sanitari più di qualsiasi altra categoria di lavoratori, circa il 10% degli infortuni occorsi a chi lavora in corsia e riconosciuti positivamente dall’Istituto è riconducibile a un’aggressione, mentre nell’intera gestione assicurativa Industria e servizi la stessa quota si ferma al 3%. In massima parte si tratta di violenze perpetrate da persone esterne all’impresa sanitaria, come i pazienti e i loro parenti, mentre sono molto più contenuti i casi che riguardano liti tra colleghi, pari a circa il 7%, e aggressioni da parte di animali, subite principalmente dai veterinari, che sono circa il 6%. Un terzo degli aggrediti sono infermieri e fisioterapisti. Nel quinquennio 2018-2022 il 37% dei casi è concentrato nell’Assistenza sanitaria (ospedali, case di cura, studi medici), il 33% nei Servizi di assistenza sociale residenziale (case di riposo, strutture di assistenza infermieristica, centri di accoglienza) e il 30% nell’Assistenza sociale non residenziale. A essere aggredite sono soprattutto le donne, pari a oltre il 70% degli infortunati, in linea con la composizione per genere degli occupati nel settore rilevata dall’Istat. Tra le professioni più colpite,i tecnici della salute (infermieri, fisioterapisti, ecc.) con un terzo degli aggrediti, seguiti dagli operatori socio-sanitari con circa il 30% e da quelli socio-assistenziali con oltre il 16%, mentre i medici incidono per quasi il 3%.
Al Nord quasi il 60% degli episodi, Lombardia ed Emilia-Romagna le regioni più colpite. Negli ultimi cinque anni, il 29% delle aggressioni riconosciute dall’Istituto è avvenuto nel Nord-ovest, seguito dal Nord-est con il 28%. Nel Mezzogiorno si concentra un quarto dei casi (13% al Sud e 12% nelle Isole) e il restante 18% nel Centro. Lombardia ed Emilia Romagna sono le regioni più colpite, con oltre 250 casi all’anno ciascuna, mentre Veneto, Sicilia, Piemonte, Toscana, Lazio e Liguria registrano più di 100 casi l’anno. Si tratta prevalentemente di contusioni e distorsioni, in particolare alla testa e agli arti superiori, arrivando a ferite o fratture nel 16% dei casi. Tempi di attesa, lavoro in solitaria e contesto socio-economico sono tra i fattori di rischio.
Qui per approfondire: https://www.inail.it/cs/internet/comunicazione/news-ed-eventi/news/news-dati-inail-sanita-2023.html.
Per cercare di sensibilizzare la popolazione al problema è stata indetta per il 12 marzo (decreto del Ministro della Salute del 27 gennaio 2022), la Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari ed è stato istituito nel 2022 un Osservatorio nazionale sulla sicurezza dei professionisti della sanità con il compito di monitorare gli episodi di violenza, analizzare il fenomeno nel complesso e promuovere azioni e programmi di prevenzione.
Questa ondata di violenza negli ospedali e soprattutto nei Pronto Soccorso, ormani al collasso, potrà essere arginata senz’altro potenziando il personale di sicurezza, mettendo a punto moduli formazione mirata su come, per esempio, gestire un paziente violento, oppure definendo strategie di comunicazione e sciluppando campagne informative e di sensibilizzazione pubbliche sul fenomeno. Ma, soprattutto, facendo diventare un’assoluta priorità il Servizio Sanitario Nazionale che ha impellenza di ritornare ad ispirarsi ai principi fondanti dell’universalità, dell’uguaglianza e dell’equità delle cure ed ha necessità di adeguati investimenti, a partire dal Personale Sanitario su cui occorre investire massicciamente, se non altro perché rappresenta il cardine fondamentale su cui ruota la sanità.