Poche settimane fa numerose personalità di ex Paesi colonizzati africani e caraibici, tra cui il Presidente dell’Unione Africana (UA) Azali Assoumani e la Segretaria Generale della Comunità Caraibica (CARICOM) Carla Barnett, si sono riuniti ad Accra in Ghana per tenere una conferenza sulle riparazioni dei danni umanitari, morali ed economici causati dallo sfruttamento delle forze coloniali nel corso della storia, arrivando a siglare il Proclama di Accra. Qualche mese prima, a giugno, il giudice della Corte Internazionale di Giustizia Patrick Robinson ha presentato il Rapporto sulle riparazioni per la tratta transatlantica degli schiavi reificati nelle Americhe e nei Caraibi, quantificando i risarcimenti dovuti per lo schiavismo transatlantico. Questi sono solo due degli ultimi successi che un sempre crescente movimento globale di Stati ex-coloniali ha raggiunto nella propria battaglia di rivendicazione dei diritti che punta a ottenere i giusti risarcimenti per lo sfruttamento imposto dagli ex dominatori durante il periodo coloniale.
Il Proclama di Accra, proclamato lo scorso novembre, è diviso in 15 punti e punta a portare avanti le rivendicazioni dei Paesi e delle entità sovranazionali che riuniscono gli ex Paesi colonizzati e istituisce, come si legge nel punto 5, la creazione di un rapporto di partenariato tra “UA, CARICOM, Stati dell’America Latina e diaspora africana in Europa e in tutte le altre regioni del mondo”. Con esso, tra le altre cose, viene costituito un Comitato di Esperti sulle Riparazioni stabilito dall’UA, così come un Fondo Globale per le Riparazioni. Per quanto concerne il Rapporto presentato dal Giudice Robinson, invece, il Gruppo Brattle per l’Università delle Indie occidentali e la Società americana di diritto internazionale, redattori del documento, hanno stimato i risarcimenti dovuti a causa della tratta degli schiavi, sostenendo che l’ammontare dovrebbe corrispondere ad almeno 100.000 miliardi di dollari. Quello del risarcimento, per quanto fondamentale, è però solo uno dei punti programmatici portati avanti dai vari movimenti di ex Stati coloniali nella loro battaglia per il riconoscimento.
Il percorso condotto dalle ex colonie è lungo e complicato: esso parte da una condanna del colonialismo e di tutte le sue forme, cause e conseguenze, quali l’imperialismo, ma allo stesso tempo anche la schiavitù, senza limitarsi alle sole parole, e chiedendo piuttosto una piena ammissione di colpe e responsabilità da parte dei Paesi coinvolti, l’avanzamento di scuse, e un risarcimento in denaro per il danno umano, morale ed economico; è solo dopo questo iter che si potrebbe arrivare a un’autentica riconciliazione tra colonialisti e colonizzati. Queste rivendicazioni stanno iniziando a farsi sentire in maniera più decisa solo negli ultimi anni, ma la loro storia è ben più longeva. È difficile tracciare una linea che definisca il percorso che ha portato alla nascita di questi movimenti, ma ci ha provato l’Associazione Riparazione del Colonialismo, la quale si è fatta carico della imponente ricerca per definire “un quadro complessivo, dalle sue origini ai giorni nostri, della riparazione del colonialismo e della posizione presa dalle singole nazioni rispetto ad esso”.
Un primo abbozzo di condanna al colonialismo è riscontrabile nell’Articolo 73 dello Statuto delle Nazioni Unite, siglato il 1945, relativo all’amministrazione dei territori non autonomi. Qui, al punto b, si legge che gli Stati membri dell’ONU che “abbiano od assumano la responsabilità dell’amministrazione di territori la cui popolazione non abbia ancora raggiunto una piena autonomia” sono tenuti a contribuire nello sviluppo e nella promozione di un’autentica autonomia e indipendenza dei Paesi interessati, favorendo l’autogoverno delle popolazioni. Sempre l’ONU, nel 1960 approva la risoluzione n. 1514 con la quale impone l’immediato “trasferimento di tutti i poteri ai popoli di quei territori” che non hanno ancora raggiunto la piena autonomia, condannando inoltre “soggiogazione, dominazione e sfruttamento” degli individui come violazioni dei diritti umani. Proprio la condanna allo sfruttamento, e dunque allo schiavismo è stato uno dei principali punti portati avanti dai movimenti degli ex Stati coloniali, per cui hanno chiesto anche gran parte dei risarcimenti economici che devono venir loro riconosciuti. Anche per quanto concerne la condanna (legale) dello schiavismo si può sostenere che i primi passi siano stati mossi con lo Statuto dell’ONU, anche se essa viene in un certo qual modo avanzata da numerose costituzioni nazionali e da altrettante carte internazionali, che sanciscono l’universalità del diritto alla libertà individuale. Libertà individuale non vuole però dire a tutti gli effetti condanna dello schiavismo. Essa, a livello internazionale, arriva piuttosto con la istituzione della Corte Penale Internazionale nel 2002 attraverso lo Statuto di Roma, che nell’Articolo 7 definisce i crimini contro l’umanità. Il primo dei Paesi a condannare apertamente la schiavitù è invece la Francia, nel 2001.
Le condanne nazionali e internazionali sono diventate col tempo rivendicazioni di risarcimenti a volte riconosciute bilateralmente, altre sancite dall’alto. A tal proposito, l’ONU nel 2001 si è fatto promotore della Dichiarazione di Durban, dove nei punti 100, 165 e 166 inizia a discutere di “riparazione” dei danni causati dal colonialismo e in particolare proprio dallo schiavismo, meglio discussa nella risoluzione 2002/5. In generale i movimenti di richiesta di risarcimento da parte degli ex popoli colonizzati sono numerosi e viaggiano in parallelo con la rivendicazione di un senso di appartenenza a qualcosa di più grande, come nel caso del Panafricanismo. Negli anni sono stati fatti numerosi passi avanti che hanno avvicinato i vari popoli sfruttati per parlare con una voce comune. Il Proclama di Accra è solo l’ultimo dei traguardi raggiunti, e preannuncia un percorso sempre più in discesa, ma ancora parecchio lungo.
[di Dario Lucisano]