Lo scopo dei corridoi è intercettare il desiderio di mobilità e rifugio di coloro che scappano da guerre, discriminazione e disastri eco-climatici. Al di là della ragione umanitaria, però, il programma offre agli stati vantaggi economici e politici. Una analisi dei Corridoi umanitari per comprenderne il ruolo nelle politiche europee della mobilità
Pasquale Menditto
Secondo il progetto Missing migrants dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), nel 2023 sono morte 3041 persone migranti nel tentativo di attraversare il mar Mediterraneo. Ovviamente questa cifra rappresenta soltanto i naufragi registrati ed è perciò piuttosto difficile sapere quanto sia accurata. Quello che però i dati evidenziano con chiarezza è che nel Mediterraneo non solo i naufragi continuano, ma che il numero di morti è tornato ai livelli del 2017, quando le vittime accertate della traversata erano 3139. Allora, però, i dati sembravano indicare che i naufragi stavano finalmente diminuendo dopo il terribile biennio 2015-2016.
Nel pieno di quella che è stata definita la crisi dei rifugiati, il susseguirsi delle stragi di persone migranti ha spinto diverse organizzazioni della società civile a impegnarsi nella costruzione di vie sicure e legali per regolarizzare l’immigrazione di rifugiati e rifugiate.
In Italia questo intento politico si è concretizzato con l’istituzione dei Corridoi umanitari, un programma gestito e supportato dalla Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese Evangeliche e la Tavola valdese con la collaborazione delle istituzioni italiane, con cui queste associazioni religiose hanno firmato il protocollo d’intesa il 15 dicembre del 2015.
Il primo protocollo prevedeva la concessione di 1000 visti umanitari per il biennio 2016-2017 a rifugiati siriani residenti nei campi profughi in Libano, selezionati sulla base di quattro criteri: 1) vulnerabilità medica o sociale; 2) ricongiungimento familiare; 3) possibilità di integrazione; 4) riconoscimento da parte dell’UNHCR dello status di rifugiati prima facie. Le persone eleggibili per il reinserimento in Italia venivano individuate direttamente dalle équipes delle associazioni coinvolte in collaborazione con Operazione Colomba, il corpo civile di pace della comunità Papa Giovanni XXIII, che dal settembre nel 2013 aveva aperto un presidio nel nord del Libano. Inoltre, l’accordo con lo stato italiano chiariva che l’onere economico dell’accoglienza e dell’inserimento di rifugiati e rifugiate in percorsi di inclusione sociale spettava interamente alle associazioni partner del progetto, che nei fatti agivano in qualità di sponsor delle persone migranti.
Dal 2015, il programma non solo è stato rinnovato quattro volte, con l’ultimo rinnovo avvenuto a fine 2023, ma è stato allargato ad altri Paesi tra cui Etiopia, Libia e Afghanistan attraverso l’apertura di nuovi canali per la migrazione sicura e legale verso l’Italia. Secondo i dati forniti dalla Comunità di Sant’Egidio, grazie ai corridoi in Italia sono arrivati 5608 persone, principalmente siriane e afghane, ovvero l’87% di coloro che sono stati inseriti nel programma, che dopo la fase di sperimentazione italiana è stato adottato da Francia, Belgio, Germania, Andorra e Svizzera.
L’esperienza italiana sembra dunque suggerire che i Corridoi umanitari raccolgano il consenso trasversale di partiti e leader politici, visto che i cinque governi che si sono avvicendati dal 2015 hanno continuato a manifestare il loro sostegno per il progetto. La ragione ufficiale di questo entusiasmo istituzionale è che i canali per la migrazione legale permettono agli stati di contrastare le “migrazioni irregolari” e, soprattutto, il cosiddetto “traffico di esseri umani”.
La logica di fondo è piuttosto ovvia: istituire percorsi regolari per la migrazione verso l’Europa eviterà a rifugiati e rifugiate di ricorrere alle reti della mobilità “irregolare” e, allo stesso tempo, ridurrà la pressione alle frontiere degli stati dell’area Schengen. Detto altrimenti, lo scopo dei corridoi è intercettare il desiderio di mobilità e rifugio di coloro che scappano da guerre, discriminazione e disastri eco-climatici.
Al di là della ragione umanitaria, però, il programma offre agli stati vantaggi economici e politici. Da un lato lo stato italiano non sostiene alcuna spesa per la ricollocazione e la prima accoglienza delle persone che arrivano con i corridoi e, dall’altro lato stabilire dei canali legali di immigrazione può rafforzare l’idea che coloro che arrivano in maniera irregolare siano dei falsi richiedenti asilo, ovvero dei migranti economici irregolari. Chiaramente questo aspetto rappresenta una manipolazione ideologica del programma, che non rispecchia la visione espressa dalle associazioni religiose che sostengono i corridoi. Tuttavia, è innegabile che i partiti sovranisti hanno trasformato la distinzione tra migranti economici e rifugiati in un principio discriminatorio assoluto, per giustificare le restrizioni della mobilità dai paesi terzi (non tutti, ovviamente) e la militarizzazione delle frontiere. Laddove le destre non sostengono un esplicito suprematismo nazionalista, opponendosi (ideologicamente) a qualsiasi forma di immigrazione, il loro obiettivo politico è dunque la soppressione dei movimenti migratori non autorizzati.
Anche se con traiettorie storiche differenti, infatti, per gran parte del XX secolo gli stati europei hanno fatto in modo di procurare migranti economici ai mercati del lavoro nazionali, spesso reclutando o cooptando con la forza lavoratori e lavoratrici dai domini coloniali. Recentemente, il governo di Giorgia Meloni ha approvato l’ingresso in Italia di 452mila migranti economici in tre anni, espandendo per altro i possibili settori d’impiego della forza lavoro straniera per venire incontro alle richieste delle imprese.
Ancora una volta, dunque, è la migrazione non autorizzata a essere rappresentata come una minaccia al potere sovrano e burocratico esercitato dagli stati, che reagiscono proprio criminalizzando e reprimendo questi movimenti per riaffermare la loro funzione securitaria.
In questo senso, è importare ricordare che l’emergere dei corridoi umanitari è strettamente collegato alla proliferazione di confini, intesi come dispositivi di filtraggio della mobilità, e alla loro integrazione a livello globale al fine di costituire forme di circolazione orientate all’accumulazione di profitto. Questo non significa che i corridoi umanitari seguano la stessa logica. Semmai, possono essere visti come la risposta simmetrica all’organizzazione della mobilità secondo logiche utilitaristiche, anche se ciò non significa che i Corridoi non siano comunque “costretti” a tenerne conto, soprattutto nel modo in cui il programma si autorappresenta.
All’inizio del 2023, l’Università di Genova ha avviato il progetto INSPIRE, diretto da Ervis Martani, per elaborare un bilancio critico dell’esperienza dei Corridoi umanitari. Finanziato grazie al PNRR, il progetto indaga l’adeguatezza e l’efficacia dei programmi di sponsorizzazione privata per l’integrazione dei rifugiati attuati in Italia, Germania, e Francia, con l’obiettivo di esplorare il loro funzionamento e analizzare la loro performance attraverso una serie di indicatori di integrazione, tra cui l’istruzione, l’accesso al mercato del lavoro e l’alloggio.
Io stesso partecipo a questo progetto in qualità di assegnista di ricerca, con il compito di condurre la ricerca sul campo presso le accoglienze presenti in Italia e Germania. Analizzare il funzionamento effettivo dei Corridoi umanitari rappresenta infatti uno snodo importante per comprendere il loro ruolo all’interno delle politiche europee della mobilità, soprattutto rispetto all’inclusione differenziale che le persone migranti devono affrontare nei paesaggi di confine contemporanei.