Fabrizio Casari 

Circa due anni fa, il 21 Febbraio del 2022, 100.000 effettivi dell’esercito russo entravano nelle regioni di Donetsk e Lugansk in Ucraina. A proposito, ma soprattutto a sproposito, si è detto dell’invasione russa e si è datata Febbraio 2022 l’inizio di una guerra che in realtà era vigente dal 2014 sotto forma di massacro di civili russofoni. Fino a quel momento, Mosca aveva sostenuto in forma soft le milizie di difesa delle due autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk, ma i piani ucraini per l’assalto alle due regioni resero necessario il cambio di passo. Iniziò l’Operazione Militare Speciale con due obiettivi: la difesa degli abitanti russofoni delle due regioni (autoproclamatesi indipendenti dopo il colpo di stato a Kiev) sottoposte ai bombardamenti di Kiev e che dal 2014 erano costati 15.000 morti; la denazificazione dell’Ucraina, cioè l’eliminazione delle organizzazioni neonaziste che esercitavano una forte leadership su governo, forze armate e servizi segreti di Kiev.

Non c’era nessuna paranoia al Cremlino, solo una valutazione del succedersi di segnali inequivocabili. Al ritiro unilaterale degli USA del 2019 dal Trattato Inf (Intermediate-Range Nuclear Forces) con la Russia, siglato nel 1987 da Reagan e Gorbaciov per mettere al bando i missili a raggio intermedio, si erano aggiunti i tentativi di colpi di stato NATO in Bielorussia e Kazakhstan, allo scopo di circondare la Russia; quindi le manovre militari straordinarie dell’Alleanza Atlantica in prossimità della frontiera russa. Si approntavano dei piani di guerra contro la Russia applicando quanto deciso dal vertice atlantico del giugno 2021, dove i governi di Mosca e Pechino vennero definiti “nemici” e la loro alleanza una “crescente influenza da contrastare”.

Inutili furono i tentativi russi di richiamare la NATO a quanto stabilito – pur se informalmente – circa il non voler estendere ulteriormente ad Est la sua presenza, rispettando la sfera d’influenza della Russia, che ora a maggior ragione si riteneva sotto tiro. Il Cremlino propose alla Casa Bianca un tavolo per negoziare accordi per la reciproca sicurezza e si vide rifiutare, financo disprezzare la richiesta. Con l’Ucraina si era data l’ultima e più pesante operazione di allargamento ad Est ed il rifiuto USA e UE di considerare le ragioni di Mosca in ordine alla sicurezza dei suoi confini e dell’area circostante indicava come i preparativi per la costruzione di nuove “primavere” – la denominazione romantica dei golpe nei paesi ostili all’Occidente collettivo – entravano nella fase preparatoria.

L’obiettivo era provocare Putin, metterlo sotto pressione alzando la tensione all’inverosimile, verificare la disponibilità a reagire con le armi e, nel caso, saggiare le capacità militari russe in un territorio prossimo e circoscritto. Gli USA non volevano nessun accordo, nemmeno il più vantaggioso: volevano la guerra e l’Ucraina, divenuta nei fatti uno Stato USA nel cuore dell’Europa, fu la testa di ponte per portare la sfida alla Russia. Ritenevano che la risposta militare russa sarebbe stata limitata e frenata dalla reazione politica, militare, diplomatica ed economica occidentale e confidavano in una presa di distanza cinese che avrebbero isolato e messo in ginocchio Putin.

La Russia non poteva agire diversamente, in gioco c’era la sua sicurezza nazionale e la sua integrità territoriale ed aveva buone ragioni per ritenere il nazismo ucraino in alleanza con gli USA una minaccia seria.

L’interesse USA per la guerra

Washington scelse lo scontro armato per diverse ragioni. Depotenziare la Russia, ridimensionare la UE, stoppare la Cina: questo era l’obiettivo. Volevano la rottura tra la più grande fornitrice di materie prime del mondo (la Russia) e la prima potenza finanziaria (l’UE), ovvero la fine dell’ipotesi geopolitica rappresentata dall’Eurasia. Si voleva ridurre la Russia a potenza regionale: con Putin aveva aumentato il suo peso economico, il valore del suo dispositivo militare, la sua influenza politica ed era ripreso il suo ruolo storico di gigante geopolitico e militare su scala globale. L’accordo strategico militare con la Cina e quello finanziario e commerciale con l’Europa la poneva in una posizione di forza e l’Europa stessa – che apriva alla Nuova Via della Seta – si sarebbe consolidata economicamente e politicamente. Parallelamente, l’accordo di partenariato strategico con Mosca e le possibili intese sulla Nuova Via della Seta con Bruxelles avrebbero prodotto la crescita dell’influenza cinese nel vecchio continente, dopo i grandi passi avanti nella presenza in Africa.

Un quadro siffatto poneva gli USA in una prospettiva di ridimensionamento della loro influenza politica ed economica riducendone il ruolo nella governance globale. Fermare lo scambio tra Russia e UE e la crescente penetrazione cinese in Europa era quindi la strada per evitare questa prospettiva. Impedire l’afflusso energetico russo in Europa avrebbe ridotto la ricchezza russa e la UE, privata dell’energia a basso costo, avrebbe ricevuto dei contraccolpi seri sulla sua potenza economica. Inoltre, privarla degli idrocarburi russi l’avrebbe costretta ad acquistare dagli USA il gas, e le difficoltà energetiche avrebbero ridotto il differenziale a vantaggio dell’Euro sul Dollaro. Nel contempo, si esigeva lo stop ai protocolli europei con la Cina e si provava ad innescare una sorta di Afghanistan in Europa per indebolire militarmente la Russia.

Insomma con la guerra gli USA avrebbero ridotto il peso dei tre suoi più attrezzati competitor sulla scena globale. In ultimo avrebbe riaffermato la proprietà USA dell’Ucraina, da dove estraevano risorse alimentari e minerali oltre che utilizzare il suo territorio per operazioni di secret war di tipo batteriologiche.

Ucraina, una Porto Rico in Europa

Washington considerava di alto valore strategico la guerra fatta dagli ucraini per conto dei suoi interessi. I 37 laboratori per la guerra batteriologica aperti e gestiti dai militari USA in territorio ucraino (ed ora quasi tutti nelle mani dei russi) erano parte decisiva dei suoi interessi strategiciSecondo il Cremlino il Pentagono ha finanziato la modernizzazione di almeno 60 laboratori biologici segreti lungo i confini cinese e russo e Pechino afferma di disporre di prove che mostrano che gli USA hanno 336 laboratori sotto il loro controllo in 30 stati al di fuori della giurisdizione nazionale.

Si ricordi che gli esperimenti sul guadagno di funzione, cioè gli studi che permettono di modificare geneticamente un virus animale al fine di trasformarlo in un patogeno che possa essere trasmesso da uomo a uomo, sono vietati negli Stati Uniti dal 2014. In questo l’Ucraina era una cuccagna: agli statunitensi i risultati degli esperimenti, agli ucraini i rischi di possibili contaminazioni.

L’Ucraina faceva gola agli USA anche economicamente. Grandi riserve di gas e carbone, maggiore riserva di ferro del mondo; e poi uraniotitanio, mercurio, manganese, ammoniaca. Produttore mondiale di apparecchiature di localizzazione, esportatore di turbine per centrali nucleari, esportatore mondiale di prodotti dell’industria della difesa. Ma soprattutto un’agricoltura in grado di soddisfare il fabbisogno alimentare di 600 milioni di persone. La Monsanto è la proprietaria della quota enorme di terra ucraina ottenuta praticamente in forma gratuita con una pratica costante di landgrabbing sostenuta dallo stesso governo di Kiev e alcuni esponenti dell’Amministrazione Biden erano interessati al conflitto. Una dei principali beneficiari dei fondi statunitensi per l’Ucraina è la Raytheon, del cui consiglio di amministrazione faceva parte il Segretario alla Difesa USA, Lloyd Austin, prima di essere chiamato da Biden alla Casa Bianca e Hunter Biden (figlio del presidente) è il principale beneficiario dell’attività mineraria in Ucraina. L’Ucraina è stata ed è ben altro che una guerra di principi, bensì di interessi.

E adesso?

Dopo due anni di guerra l’avventura della NATO in Ucraina porta a consuntivo un’ulteriore sconfitta militare di un’Alleanza che scommetteva sulla sua superiorità. Lo storytelling la dipinge come invincibile ma continua a perdere in tutti i teatri dov’è impegnata: Afghanistan, Siria, Ucraina. Mosca invece ha reiterato quanto già dimostrato in Siria, ovvero una capacità militare ineguagliabile, che la pone ora nelle condizioni di trattare la fine delle ostilità da una posizione di forza

L’Ucraina disegna anche la portata politica della sconfitta occidentale. Smentite le previsioni sul crollo dell’economia russa e le ambizioni USA di leadership globale. Solo 52 dei 194 paesi membri della Comunità Internazionale hanno aderito alle sanzioni contro Mosca, mentre i giganti del mondo – Cina, India e Pakistan, Arabia Saudita – hanno incrementato gli acquisti e lo hanno fatto in Rubli e non in Dollari o Euro, il che ha permesso anche la tenuta della valuta russa. Pur senza relazioni economiche con la UE e gli USA, Mosca anche quest’anno presenta l’indice di crescita maggiore di tutta l’Europa, dall’Atlantico agli Urali.

Ma l’aspetto più importante è la crescita del suo ruolo politico a livello planetario che può essere misurato nella sua leadership che esercita sia nel gruppo BRICS che nello SCO e nelle diverse organizzazioni regionali delle quali fa parte. La relazione con la Cina, che l’Occidente riteneva sarebbe entrata in crisi, appare rafforzata; la cooperazione strategica politica e militare si è sommata ad un forte incremento degli scambi, con una interdipendenza reciproca e non a favore di Pechino come speravano a Bruxelles e Washington. Il suo ruolo diplomatico è cresciuto, mentre la UE, che ha profferito sanzioni e ostilità politica e seppellito la sua civiltà giuridica, è oggi ridotta a i minimi termini sul piano dell’influenza internazionale e conclude con un fallimento politico la sua missione di ordinatore internazionale.

Il negoziato? La base di una trattativa credibile risiede nella presa d’atto della situazione sul campo e questa è chiara nell’indicare vincitori e sconfitti. Mosca non accetterà dispositivi NATO in aperta minaccia alle sue frontiere. L’entrata di Kiev nella UE è decisa ma il suo ingresso nella NATO resta un ostacolo per una possibile soluzione politica, sebbene ci sia bisogno di più di dieci anni per ricostruire il suo esercito, che era il 21° al mondo per effettivi.

Kiev è allo stremo e ancor più lo sono le finanze europee. Il pacchetto di aiuti da 50 miliardi di Euro appena messo in bilancio dalla UE, (sostanzialmente uno strumento di campagna elettorale per la ricandidatura dell’impresentabile Von der Layen) sembra il canto del cigno dell’esaltazione guerriera di Bruxelles, che sa perfettamente come entro l’inizio della campagna per le presidenziali statunitensi si dovrà giungere ad un accordo quadro con la Russia. I quali sono pronti a trattare: Mosca è lontana dall’Occidente ed è sempre più ancorata ad Oriente. Che poi a medio-lungo termine questo sia un vantaggio per il dominio unipolare sul piano strategico è tutto da vedere.

Alla fine, in questi due anni, tra spese militari ed assistenza a Kiev, l’Occidente ha speso già oltre 400 miliardi di Dollari e circa mezzo milione di morti ucraini. Con le trattative, se gli va bene, otterrà quello che la Russia era disposta a concedere prima del conflitto

https://www.altrenotizie.org/primo-piano/10204-ucraina-due-anni-dopo.html

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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