Ieri sera il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha tenuto una conferenza stampa in cui ha dichiarato di avere rifiutato il piano di tregua proposto da Hamas, ribadendo la propria posizione sul destino della guerra, che potrà terminare solo con una «vittoria totale» di Tel Aviv e l’assoluto annichilimento del gruppo ribelle. Nel suo discorso, Netanyahu ha sostenuto che la vittoria è ormai «a portata di mano», anche se allo stesso tempo ha detto che ci vorranno «mesi» prima della totale distruzione di Hamas. Proprio per accelerare i tempi pare che il Primo Ministro abbia ordinato alle proprie truppe di muoversi verso Rafah, città palestinese nel sud della Striscia di Gaza, al confine con l’Egitto. Il rifiuto di Netanyahu arriva in un momento in cui la discussione su un eventuale cessate il fuoco risulta centrale tanto nel dibattito pubblico quanto tra le fila dei familiari degli ostaggi, che tuttavia non sono gli unici a esercitare pressione sul Premier. Infatti, più che i familiari degli ostaggi, sono proprio questi altri, rappresentati dagli alleati di estrema destra del Primo Ministro, a stare venendo soddisfatti, perché nel mentre il massacro dei palestinesi continua e i numeri delle vittime non smettono di crescere.
Con la comparsa televisiva di ieri Netanyahu chiude nuovamente le porte alla possibilità di trovare un accordo in uno dei periodi in cui i tentativi di negoziazione si sono fatti sentire con maggiore intensità, tregua novembrina esclusa. Essi, in questo periodo, sono stati portati avanti da Stati Uniti, Israele, Egitto e Qatar, che hanno proposto ad Hamas un cessate il fuoco di 6 settimane che prevedeva il rientro di tutti gli ostaggi israeliani in seguito a una serie di scambi di prigionieri. Il gruppo ribelle palestinese, però, ha alzato la posta in gioco, avanzando una tregua ben più duratura nell’ottica aprire il cammino per terminare definitivamente la guerra. La proposta di Hamas prevedeva un percorso a tre fasi di 45 giorni ciascuna con un progressivo rilascio degli ostaggi preceduto dall’abbandono del territorio di Gaza da parte delle truppe israeliane. Netanyahu ha rifiutato, ripetendo che l’unico modo per terminare il conflitto è il «collasso militare» di Hamas a cui «non c’è alcuna alternativa», motivo per cui pare aver ordinato alle truppe di svolgere un’operazione militare nei pressi di Rafah. Nonostante ciò, il Segretario di Stato statunitense Antony Blinken ha annunciato che ci sarebbe ancora spazio per ulteriori negoziati, e un ufficiale egiziano ha dichiarato ad AFP che oggi sarebbero iniziati nuovi incontri per «calmare la situazione nella Striscia».
Le affermazioni di Blinken e dell’anonimo egiziano sarebbero in un certo qual modo comprovate dalla sempre crescente pressione che il Primo Ministro israeliano sta vivendo sul fronte interno, dove il numero di contestatori sta crescendo sempre di più e la voce dei familiari degli ostaggi israeliani, che chiedono con forza che il Governo faccia qualcosa per assicurare il rientro dei propri cari, si sta facendo sentire con sempre maggiore intensità. Quelle dei familiari degli ostaggi, tuttavia, non sono le uniche pressioni che stanno venendo esercitate sulle scelte di Netanyahu. Gli esponenti di estrema destra del Governo, infatti, spingono per una linea ben più dura e non paiono in alcun modo essere pronti ad accettare un negoziato «svantaggioso» per Israele; la risposta che Netanyahu ha fornito agli stessi contestatori civili, a cui egli si è rivolto sostenendo che l’unico modo per salvaguardare gli ostaggi è mettere Hamas alle strette, ne è un esempio lampante, e dimostra che la linea presa dal Primo Ministro sembra puntare verso tutt’altra direzione rispetto a un cessate il fuoco permanente.
È forse anche in quest’ottica che va vista la scelta di continuare la campagna nella parte meridionale della Striscia, vicino al confine con l’Egitto. Tel Aviv è indubbiamente in una posizione dominante nello scontro con Hamas, e sta compiendo un vero e proprio massacro dei civili palestinesi, non a caso giudicato prima facie dotato degli elementi costitutivi per valutare l’accusa di genocidio lanciata alla Corte Internazionale di Giustizia dal Sudafrica, ma la guerra non sta andando esattamente come si pensa e Hamas si sta dimostrando particolarmente resiliente. La conquista di Rafah potrebbe in tal senso risultare strategica per isolare Gaza e prendere il controllo della frontiera a sud della Striscia, iniziando a costituire quella zona cuscinetto di cui Israele parla da tempo. Netanyahu potrebbe così arrivare a compiere un decisivo passo verso l’obiettivo di totale distruzione di Hamas che ha più volte dichiarato di avere, e continuare a portare avanti le operazioni di pulizia etnica nei confronti del popolo palestinese. Partendo dal 7 ottobre, a oggi, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari, le vittime palestinesi sono oltre 26.751 e i feriti risultano più di 65.636, mentre sul fronte israeliano si parla rispettivamente di più di 1.200 e più di 5.431 persone. Il numero di sfollati palestinesi si aggira attorno a 1.7 milioni di persone, mentre le case e le abitazioni distrutte superano le 65.000 unità.
[di Dario Lucisano]