In un video di Nova Lectio

si è già parlato diffusamente della storia della feroce dittatura militare, che governò l’Argentina tra il 1976 e il 1982: oggi ci concentreremo su un evento che riguarda quegli anni e che venne poi ribattezzato il “mondiale della vergogna”.

Stiamo parlando di Argentina 1978, il campionato mondiale di calcio, giocato nel mese di giugno, in un paese retto da circa due anni da un feroce regime militare, all’epoca guidato da Jorge Rafael Videla, presidente e dittatore della nazione sudamericana.

Iniziamo col dire che l’assegnazione del campionato all’Argentina fu stabilita in un periodo precedente al golpe del 1976: per essere precisi, la decisione fu presa nel 1964, a Tokyo, durante il comitato esecutivo della FIFA, e poi confermata nel 1970 e 1974. Aggiungiamo che, a causa della giovane età, non vi prese parte l’astro nascente del calcio mondiale, Diego Armando Maradona, che aveva all’epoca diciassette anni.

Un ruolo molto importante, specie per la conferma dell’Argentina come nazione ospite, lo giocò l’allora presidente della FIFA, l’ex nuotatore brasiliano Joao Havelange, che probabilmente non se la sentì di contrastare una serie di pressioni che arrivavano dall’alto; la decisione venne ribadita anche dal suo vice, Hermann Neuerberg, che si espresse in termini molto favorevoli durante un suo viaggio nel paese sudamericano, subito dopo la decisione della federazione internazionale.

L’evento, come spesso avviene nel mondo dello sport – a qualcuno forse tornerà alla mente l’ultimo campionato in ordine di tempo, quello del Qatar, cui è stato dedicato un altro video di Nova Lectio: www.youtube.com/watch?v=212h2l-MVoU – aveva implicazioni di ordine geopolitico, che andavano molto al di là del torneo, che si concluse con la vittoria dei padroni di casa contro la nazionale olandese (3-1); l’Italia arrivò quarta, dopo il Brasile.

La sola presenza in quei giorni in Argentina di un personaggio come Henry Kissinger, spesso in compagnia di Videla, che gli riservò un trattamento degno di un capo di Stato in visita ufficiale, dovrebbe destare qualche interrogativo.

L’ex segretario di stato americano, tra i promotori della cosiddetta operazione Condor, era da sempre un grande appassionato di calcio, sport per la verità poco seguito negli Stati Uniti, tanto che sarà uno dei fautori dei campionati del mondo di USA 94, che gli faranno guadagnare l’ordine al merito della federazione internazionale gioco calcio. Ma la semplice passione sportiva non basta a giustificare questa ingombrante presenza, come la visita alla squadra padrona di casa nell’imminenza della finale giocata a Buenos Aires il 25 giugno 1978, che per la cronaca vedrà la presenza dell’ex segretario di stato sugli spalti, sempre in compagnia di Videla. E non erano soli, visto che il giornalista Matteo Marani[1] confermerà la presenza, al loro fianco, di un altro personaggio noto alle cronache, il Venerabile maestro della loggia P2 Licio Gelli, che intratteneva stretti rapporti con la giunta argentina, tanto da essere nominato ambasciatore economico in Italia e console onorario a Firenze. Per la cronaca era italiano anche l’arbitro dell’incontro, Sergio Gonella.

Il giornalista Francesco Amodeo ricorda in un suo libro inchiesta[2] come circa due anni prima, incontrando a fine ’76 alcuni alti rappresentati del regime, Kissinger li avesse esortati a portare a termine “certe operazioni” in tempi rapidi, per non macchiare l’immagine del regime in occasione del torneo[3]; sarebbe stato sempre lui a garantire l’afflusso di importanti finanziamenti per le opere pubbliche necessarie per rendere il paese, all’epoca molto arretrato, il più accogliente possibile: tra le altre cose, vennero buttate giù e/o celate da un grande muro molte facciate delle case di alcune delle vie principali di Buenos Aires, con gli abitanti trasferiti in zone periferiche, per dare così un nuovo tono alla capitale. 

La vittoria in finale sugli olandesi fu favorita dall’assenza in campo di Joahn Cruijff, il deus ex machina della nazionale dei Paesi Bassi, che a quanto pare decise di non prendere parte al torneo non tanto come gesto di opposizione al regime, ma per la paura dei sequestri, avendo subito un’aggressione solo pochi mesi prima nella sua abitazione di Barcellona. Per la cronaca erano stati proprio gli olandesi a interrompere l’avventura della nazionale italiana nel torneo, già all’epoca allenata da Enzo Bearzot, vincitrice dei successivi Mondiali di Spagna ’82.

Come scrive sempre Marani, in un reportage dedicato uscito a 40 anni di distanza dal mondiale, la vittoria contro i Paesi Bassi – grazie a una colossale opera di propaganda mediatica, per celare al mondo il vero volto della dittatura, responsabile della persecuzione e uccisione di migliaia di oppositori politici, proseguita anche durante il torneo – permise al regime di prolungare “la sopravvivenza della dittatura, la cui caduta avverrà nel 1983, con la sconfitta contro gli inglesi sulle isole Falkland. […] Come aveva scritto un giornale europeo alla vigilia del torneo: il Mondiale ‘78 era stato il più grande spettacolo di propaganda dai tempi delle Olimpiadi di Berlino”. E non c’è dubbio che questo fosse anche il proposito di Kissinger e, con ogni probabilità, dello stesso Licio Gelli.

La Nazionale padrona di casa venne premiata da Videla, che vestì per l’occasione abiti civili, e non dal presidente della FIFA, come da tradizione. I festeggiamenti continuarono presso il lussuoso Hotel Plaza di Buenos Aires, con la presenza di Henry Kissinger, Licio Gelli e dei vertici della FIFA, mentre proseguivano torture e uccisioni degli oppositori; unico assente ai festeggiamenti fu l’attaccante Mario Kempes, che preferì disertare la serata.

Per la verità, i mondiali del 1978 non furono la prima occasione in cui il calcio venne chiamato a celare le atrocità commesse dal regime. A poche ore dal 24 marzo 1976, il giorno del golpe che detronizzò il presidente in carica, Isabelita Peron, segnando la presa del potere da parte dei militari e l’inizio delle persecuzioni, con le prime (e numerose) vittime recluse negli stadi, sulla falsariga di quanto era avvenuto circa tre anni prima in Cile, la Nazionale aveva vinto un’amichevole in Polonia per 2-1, contribuendo a dare al mondo, indignato per l’accaduto, un’impressione di normalità.

Per garantire il successo sperato, che oggi potremmo definire mediatico, venne creato un apposito ente di stato – l’EAM, l’Ente autarquico mundial – e furono investite cifre considerevoli per un paese che all’epoca, situazione politica a parte, non navigava certo in buone acque, tra crisi economica e inflazione alle stelle. L’equivalente di 700 milioni di euro fu destinato alla ristrutturazione degli stadi, e altrettanti per opere di urbanizzazione. Circa sessanta, invece, servirono per dare vita all’impresa statale “Argentina TV 78”, per garantire la telecronaca degli incontri a colori, che però non fu garantita agli spettatori argentini, che furono costretti a vederli in bianco e nero.

Naturalmente la gestione dell’apparato organizzativo rimase nelle mani dei militari, e la presidenza dell’EAM, dopo la morte causata da un attentato del generale Actis, venne affidata all’ammiraglio Carlos Alberto Lacoste, legato a Massera, uno dei capi della giunta, che poi sarebbe divenuto vicepresidente della FIFA.

Abbiamo già detto della presenza di Kissinger, ma ora occorre aggiungere un ulteriore tassello. Per arrivare in finale – l’obiettivo cui lo stesso ex segretario di stato, come abbiamo visto, teneva molto, per favorire la permanenza al potere dei militari con una grande vittoria sportiva, funzionale all’Operazione Condor – l’Argentina doveva prevalere sulla squadra avversaria – un altro paese retto all’epoca da un regime militare, il Perù del generale Francisco Morales Bermúdez Cerruti – con quattro gol di scarto: in caso contrario, per la differenza reti, il posto in finale sarebbe spettato al Brasile (all’epoca retto dalla dittatura militare del generale  Ernesto Geisel).

Videla e Kissinger visitarono prima del match gli spogliatoi delle due squadre, col pretesto fare loro gli auguri, e pare che con l’occasione furono lanciati una serie di “segnali”, che videro tra i destinatari il portiere peruviano Ramon Quiroga, di origini argentine. Fatto sta che la partita finì con un 6 a zero a favore dei padroni di casa (ribattezzato Marmelada Peruana) e non mancarono coloro che sollevarono molte riserve circa l’esito dell’incontro, anche perché  pochi mesi dopo arrivò la notizia di un accordo per l’esportazione di grano e carne argentina in Perù, fatto che potrebbe suffragare la tesi di un’intesa tra i due regimi. In Italia, il quotidiano La Repubblica riprenderà la notizia della corruzione di diversi giocatori peruviani[4].

Il vero problema, però, era che mentre l’attenzione del mondo (e dei media) si concentrava sugli incontri, a pochissimi chilometri dallo stadio Monumental di Buenos Aires, presso la cosiddetta Escuela de mecanica de l’Armada (ESMA), che oggi ospita un museo dedicato alla memoria, una ex caserma della Marina, dov’era stato creato un centro di detenzione e tortura per migliaia di oppositori politici, si consumavano le peggiori atrocità. I detenuti che sopravvissero raccontarono come solo durante le partite i loro aguzzini davano loro qualche ora di tregua. Per la cronaca, durante la dittatura si contarono nel paese 364 centri del genere, mentre per quanto concerne le notizie dei disperati, diversi di origine italiana, che cercarono aiuto e sostegno contro l’oppressione, possiamo ricorrere alla testimonianza dell’allora console italiano a Buenos Aires, Enrico Calamai, che riuscì a salvare centinaia di vite[5].

La stampa italiana, in questa occasione, non diede una buona prova. Il racconto che si legge in una serie di reportage è quello di una nazione allineata col regime, mentre Giangiacomo Foà, uno dei pochi a denunciare i crimini della dittatura, venne allontanato prima dell’inizio del torneo, ed Enzo Biagi venne tenuto fuori. La ragione di questa linea editoriale è riconducibile al fatto che molte testate importanti, come Il Corriere della sera, erano in quegli anni di proprietà di Angelo Rizzoli, di fatto sotto il controllo della P2, per il tramite dell’amministratore Bruno Tassan Din e del direttore Franco Di Bella, entrambi iscritti alla loggia. Gli stessi giornali oscurarono quasi del tutto il fatto che 41 calciatori della Serie A italiana avevano sottoscritto un documento contro la giunta uruguaiana, in occasione della Coppa d’Oro dei Campioni del Mondo, cosiddetto Mundialito, che si giocò a Montevideo tra le nazionali vincitrici del Mondiale.

A remare contro – nonostante non mancassero le denunce, tenuto contro dell’origine italiana di moltissimi argentini – erano una serie di interessi economici (industria automobilistica, banche, assicurazioni, e così via) che legavano il nostro paese a quello sudamericano. Lo stesso approccio che seguì del resto l’Unione Sovietica, che necessitava delle forniture di grano argentino e che chiuse entrambi gli occhi, come i comunisti locali, di fronte ai crimini della dittatura[6].

In sostanza, grazie anche al ricordato e molto calzante paragone fatto con le Olimpiadi di Berlino del 1936, un grande evento sportivo venne sfruttato in chiave propagandistica, per celare crimini e interessi economici, sotto lo sguardo complice di molti dei cosiddetti professionisti dell’informazione, che preferirono nell’occasione dedicarsi a un altro mestiere, mentre quelli veri, come già ricordato, venivano estromessi.

E lascia ancora più perplessi il silenzio delle istituzioni (pochissimi gli interventi del Parlamento italiano sui fatti, per lo meno all’epoca) e il fatto che solo poche e coraggiose voci si siano levate contro i crimini della dittatura anche tra gli sportivi. Una per tutte fu quella del capitano della Nazionale argentina, Jorge Carrascosa, che rifiutò di prendere parte al torneo, distinguendosi da molti colleghi e dall’allenatore Cesar Menotti, che si limitarono a dire che loro erano degli sportivi e che giocavano per il loro popolo; in altre parole, furono in tanti a chiudere gli occhi per non vedere, vuoi per paura, che per interesse o quieto vivere. Magari servivano veri uomini, o forse vere donne, come le madri e nonne di plaza de Mayo, tra le poche a levare la loro voce, sprezzanti del pericolo, contro il regime, prima e dopo il Mondiale della vergogna.

E visto quanto accaduto in Qatar, ancora una volta siamo costretti a dare ragione ad Antonio Gramsci: “La storia insegna, ma non ha scolari”.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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