L’attentato avvenuto alla stazione di Bologna il 2 agosto del 1980 fu, a tutti gli effetti, una strage politica frutto della convergenza degli interessi tra il gruppo eversivo di matrice neofascista dei Nuclei Armati Rivoluzionari (NAR), la loggia P2 di Licio Gelli e i servizi segreti deviati che allo stesso Gelli rispondevano e che si occuparono di depistare le indagini sul massacro. È questo il dirompente contenuto della sentenza con cui i giudici della Corte d’Appello di Bologna hanno motivato l’ergastolo inflitto lo scorso settembre a Gilberto Cavallini, ultimo dei membri dei NAR – dopo la sentenza in via definitiva con cui sono stati condannati Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini e quella, in primo grado, che lo scorso aprile ha colpito Paolo Bellini – ad essere punito con la massima pena per il tremendo eccidio in cui, 44 anni fa, trovarono la morte 85 persone. Per i giudici, in sostanza, i NAR furono il braccio armato degli interessi della P2.

Secondo i giudici della Corte d’Appello, i NAR hanno consumato la strage di Bologna nel quadro di un disegno politico “strettamente eversivo” che puntava alle “strutture dello stato democratico” con l’obiettivo di una “radicale distruzione della società” e dell’“annientamento radicale del sistema borghese”, portato avanti attraverso “una serie di attentati finalizzati a destabilizzare l’ordine democratico”. Non si trattò, dunque, di semplice spontaneismo armato, ma di un progetto molto più ampio e pervasivo. Del resto, lo aveva già dimostrato il fatto che i giudici – come richiesto nei motivi d’appello dalla Procura – avessero deciso di riqualificare il reato contestato a Cavallini da strage comune a strage politica. “La strage di Bologna scosse fortemente lo Stato italiano e il suo ordine democratico, trattandosi del fatto di terrorismo più grave mai verificatosi nel Paese”, scrive la Corte, sancendo come, in tale vicenda, si siano “mossi in modo deviato, calunnioso e in spregio ai valori e alle istituzioni democratiche anche pubblici ufficiali che perseguivano proprie autonome strategie politiche, al di fuori di qualsiasi lecita investitura politico-istituzionale”. E proprio qui sta il nodo centrale della sentenza, che dai NAR alza la sua lente di ingrandimento sulla P2 di Licio Gelli e l’oscuro universo delle istituzioni deviate, che avrebbero avuto un ruolo fondamentale nell’organizzazione della strage e nella consumazione dei depistaggi che ne seguirono. “Può ritenersi che il Gelli – mettono nero su bianco i giudici – tramite i servizi da lui dipendenti e che a lui rispondevano, finanziò e attuò la strage, servendosi come esecutori di esponenti della destra eversiva (Nar, esponenti di Tp e per quanto da ultimo accertato dalla Corte d’Assise di Bologna, anche Avanguardia Nazionale)”, trovando “terreno fertile in quei ragazzini che in quella fase avevano il convergente interesse, nella loro prospettiva ideologizzata, a disintegrare in radice le basi dello stato democratico”. I depistaggi, chiariscono i giudici, vennero “posti in essere da appartenenti ai servizi (sia Sisde sia Sismi) tutti facenti parte della P2 o ad essa comunque collegati (Grassini, Santovito, Umberto D’Amato, Pazienza, Musumeci, Cioppa, Pompò, Belmonte), i quali tutti rispondevano direttamente o indirettamente a Gelli”.

La sentenza, rispetto a cui i legali di Cavallini hanno già annunciato ricorso, arriva a 9 mesi di distanza dall’uscita delle motivazioni della pronuncia con cui, in primo grado, è stato condannato all’ergastolo Paolo Bellini, ex terrorista di Avanguardia Nazionale, ritenuto esecutore materiale del massacro assieme a Fioravanti, Mambro, Ciavardini e Cavallini. Anche in quel caso, la Corte si era soffermata sull’esistenza di un disegno politico sotteso all’attentato, inquadrato come tassello di quella strategia della tensione ufficialmente aperta con la strage di Portella della Ginestra nel 1947. In quel caso, la Corte ha sancito che la “causale plurima” della strage abbia trovato le sue radici “nella situazione politico-internazionale del paese e nei rapporti tra estremisti neri e centrali operative della strategia della tensione sui finire degli anni Settanta”. Un contesto in cui agirono con un ruolo attivo “Gelli”, che finanziò la strage, “la P2”, “i servizi segreti” e “quel centro occulto di potere coagulatosi intorno all’ex capo dell’Ufficio affari riservati” Federico Umberto D’Amato, posto al vertice “di una sorta di servizio segreto occulto” e “figura di riferimento in ambito atlantico ed europeo”. Finalità primaria dei vari attori che contribuirono alla strage era infatti quella dell’“instaurazione di uno Stato autoritario, nell’ambito del quale fosse sostanzialmente impedito l’accesso alla politica delle masse”. Vi era, infatti, la “necessità di impedire ogni prospettiva di accesso della sinistra al potere in Italia” e “l’attuazione del Piano di Rinascita democratica” del capo della P2 Licio Gelli “attraverso l’impiego misurato della strategia delle bombe”, in una cornice “di guerra psicologica, di provocazione e di preparazione dell’opinione pubblica al taglio delle ali estreme del sistema politico”.

[di Stefano Baudino]

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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