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Bisogna smontare la favola che produrre biologico costa troppo: i benefici per transizione ecologica e agricoltura sono soprattutto economici

Luca Pisapia

La protesta degli agricoltori ha riportato alla luce la questione della transizione ecologica del settore. E lo ha fatto nel modo peggiore. Da una parte molti agricoltori, sobillati dalla grande distribuzione e dall’estrema destra, da sempre a guardia del potere, hanno individuato nell’ecologia la causa dei loro problemi. Dall’altra l’Unione europea, cui fare affari con le multinazionali non dispiace mai, fingendo di accogliere le proteste ha cominciato a ritirare i suoi pur blandi provvedimenti a tutela dell’ambiente, a partire dalle limitazioni all’uso di diserbanti e dalla diminuzione delle emissioni di CO2 del settore.

Eppure dovrebbe essere evidente che la tutela della natura è il primo alleato dell’agricoltura. Anche e soprattutto economicamente. Una corretta transizione ecologica verso l’agricoltura biologica eviterebbe danni che sono stati valutati in 10mila miliardi di dollari all’anno. A spiegarlo è uno studio realizzato da una sessantina di scienziati specializzati che è stato pubblicato dalla Food System Economics Commission (Fsec), un’organizzazione indipendente che si occupa proprio dell’impatto economico dei cambiamenti climatici sull’agricoltura e sulle risorse naturali. Su come ci nutriamo e sulla nostra salute. Perché tutto è collegato. L’analisi cita in particolare famemalnutrizioneobesità, perdita di biodiversità, danni ambientali e alimentazione dei cambiamenti climatici.

Cambiando modello, insomma, non solo migliorerebbero l’ecosistema e la vita umana sul pianeta Terra: da quello che mangiamo all’aria che respiriamo e all’acqua che beviamo. Migliorerebbero considerevolmente le condizioni di vita degli agricoltori, a partire dalle loro remunerazioni. Ma migliorerebbero anche le vite dei consumatori e i loro portafogli, e di conseguenza la loro capacità di acquisto di prodotti agricoli

A rimetterci sarebbero però le grandi multinazionali della logistica e della distribuzione, che vedrebbero diminuiti i loro guadagni. E questo è il problema. Sono loro il cuore nero della protesta e gli ultimi beneficiari della devastazione del Pianeta. Dunque il vero “nemico” sia dei contadini strozzati che del clima della Terra.

Perché l’attuale sistema agricolo è economicamente insostenibile

A spiegarlo non è solo il nostro giornale. Dovremmo averlo imparato quando oramai quattro anni fa siamo stati travolti dalla pandemia, e abbiamo capito che il nome corretto per definirla era sindemia. Ovvero un insieme di concause naturali, sociali, economiche. Non si moriva solo perché non si riusciva a respirare: si moriva anche perché i tagli alla sanità pubblica avevano distrutto troppa parte delle nostre difese collettive.

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Ecco perché i ricercatori della Fsec si concentrano sulle disfunzionalità dell’attuale sistema agricolo globale. Un sistema prigioniero di logiche finanziarie scollegate dalla produzione. Un sistema che non solo non consente agli agricoltori di essere adeguatamente remunerati, ma comporta anche costi ambientali, sanitari ed economici giganteschi.

Producendo cibo sempre più industrializzato, attraverso metodi inquinanti, il sistema agricolo contribuisce all’aumento delle malattie legate all’alimentazione, al degrado ambientale e a diversi altri problemi sociali e economici. In totale, ci dice il report, ogni anno a causa delle storture di questo sistema vengono persi quasi 15mila miliardi di dollari. Il 12% del Pil globale.

Una trasformazione del sistema alimentare porterebbe a una diminuzione dei costi nascosti di tale sistema per una cifra stimata intorno ai 5mila miliardi di dollari all’anno

I benefici di una transizione ecologica dell’agricoltura

Secondo i ricercatori, quindi, la transizione ecologica del settore agricolo permetterebbe di mitigare gran parte di questi costi. E di risparmiare fino a 10mila miliardi di dollari all’anno in spese sociali, ambientali e sanitarie. Come spiegava Fabio Ciconte su queste pagine, non basta aumentare il valore della produzione agricola. Ovvero riconoscere ai piccoli produttori un equo prezzo per i beni da loro prodotti. È giusto e doveroso, ma è insufficiente se dall’altra parte non si aumentano i salari dei consumatori. Perché anche con un maggior potere d’acquisto si ottiene il giusto prezzo.

Per questo i ricercatori della Fsec insistono sul guadagno economico e sulla limitazione dei danni ambientali di una transizione ecologica globale. A partire dal fatto che un’agricoltura biologica si trasformerebbe in un “serbatoio netto di CO2” (i depositi naturali che assorbono i gas climalteranti dall’atmosfera). Che potenzialmente potrebbe permettere di scongiurare emissioni per 5 miliardi di tonnellate all’anno. Meno carne e prodotti animali, più cereali, legumi, frutta e verdura. Cibi più sostenibili e salutari.

Un riequilibrio della produzione che aiuterebbe a trasformare i modelli agricoli e a garantire un reddito migliore agli agricoltori. Per non parlare dei benefici sulla biodiversità e sulla salute degli agricoltori, e dei consumatori, che deriverebbero dalla riduzione dell’uso di pesticidi. Perché se vogliamo tornare alla questione economica, che è la più urgente, è evidente che meglio stiamo meno spendiamo.

L’opposizione delle multinazionali e dell’estrema destra

Per raggiungere questo obiettivo sono individuate tre leve finanziarie. In primo luogo, ridurre i sussidi a modelli agricoli e produttivi insostenibili. Quindi, introdurre tasse su alcuni tipi di operazioni agricole, in particolare nella catena di produzione, ridistribuendo poi i proventi e sussidi agli agricoltori per sostenere i loro redditi e investire in nuove tecniche agricole. Infine, creare reti di sicurezza economica. Per consentire alle popolazioni meno avvantaggiate di acquistare cibo di migliore qualità, a un prezzo che paghi meglio i produttori.

Sembrerebbe tutto logico e naturale. Il problema però, sottolineano ancora ricercatori del Fsec, è che non sono tanto gli ostacoli tecnici o finanziari a bloccare la transizione. Quanto quelli ideologici. Per questo anche loro puntano il dito sulle strategie di lobbying delle multinazionali, sempre aiutate da personaggi dell’estrema destra, volte ad impedire l’attuazione di politiche pubbliche trasformative. E su come i grandi monopolisti dei più importanti settori agroindustriali (carne, zucchero, prodotti lattiero-caseari, pesticidi, eccetera) si siano mobilitati con ingenti spese per spostare il dibattito contro la transizione ecologica. Dirigendo verso altri scopi fatui le proteste reali che partivano da una base di realtà. Perché ritardare, o annullare del tutto, ogni provvedimento o normativa che potrebbe salvare il Pianeta, serve solo a proteggere i loro guadagni.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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