Qualsiasi trasferimento di armi o munizioni che verranno utilizzate a Gaza da Israele «violerà probabilmente il diritto umanitario internazionale e quindi dovrà cessare immediatamente». Si apre così il nuovo comunicato stampa dell’ONU che chiede l’embargo immediato sulla vendita di qualsiasi equipaggiamento militare che potrebbe anche solo potenzialmente essere usato nel conflitto. Tra i motivi della decisione ci sono la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia del 26 gennaio, secondo cui esiste un rischio plausibile di genocidio a Gaza, e la Convenzione sul genocidio del 1948, che impone agli Stati di impiegare tutti i mezzi ragionevolmente a loro disposizione per prevenire, per quanto possibile, il genocidio in un altro Stato. «Il diritto internazionale non si impone da solo. Nelle circostanze attuali ciò rende necessario fermare le esportazioni di armi», sottolinea infatti il comunicato. La richiesta si somma ad una serie di prese di posizione nettissime da parte dell’Organizzazione, la quale, nonostante il carattere internazionale, è ormai solita utilizzare un linguaggio sempre più duro e diretto per cercare di coinvolgere gli Stati a contribuire per fermare il massacro a Gaza. Un esempio lo ha fornito Francesca Albanese, relatrice Onu sulla Palestina, la quale ha dichiarato che Israele «incarna l’apartheid per eccellenza» e che la guerra a Gaza è «un olocausto contro il popolo palestinese».
Il comunicato stampa apre accogliendo con favore la decisione di una corte d’appello olandese, che ha ordinato la sospensione delle esportazioni di aerei da caccia F-35 in Israele, e con i numeri: distruzione del 60% delle abitazioni civili, danni ingenti agli ospedali, alle riserve idriche ed alimentari, fame e malnutrizione, sfollamento e oltre 29 mila morti e quasi 70 mila feriti dal 7 ottobre. Numeri che parlano da soli e che mostrano che «Israele ha ripetutamente mancato di rispettare il diritto internazionale». Motivo per cui, secondo il documento, non bastano i blocchi delle importazioni imposti da parte di Belgio, Italia, Spagna e Paesi Bassi, ma serve una sospensione immediata dei trasferimenti di armi ad Israele da parte di tutti gli altri Stati membri che coinvolga anche le licenze di esportazione e gli aiuti militari. Inoltre, l’embargo dovrebbe coinvolgere anche il commercio con Hamas ed altri gruppi affiliati, anche loro attenzionati dal diritto internazionale dopo le vicende del 7 ottobre 2023.
«I funzionari statali coinvolti nelle esportazioni di armi possono essere individualmente responsabili penalmente per aver aiutato e favorito eventuali crimini di guerra, crimini contro l’umanità o atti di genocidio. Tutti gli Stati, in base al principio della giurisdizione universale, e la Corte penale internazionale, possono essere in grado di indagare e perseguire tali crimini», secondo il comunicato. Inoltre, viene richiesto che gli Stati facciano tutto ciò che è “ragionevolmente in loro potere” per prevenire e fermare le violazioni del diritto internazionale, e il tutto attraverso misure di dialogo diplomatico, assistenza tecnica, eventuali sanzioni, avvio di procedimenti presso la Corte Internazionale di giustizia e sostegno di essi, creazione di indagini penali nazionali e richieste di incontri tra le parti allo scopo di rispettare le Convenzioni di Ginevra. Impegnarsi nella maggior parte di queste attività, secondo l’ONU, è fondamentale per adempiere al dovere di prevenire il genocidio. Infine, il comunicato sottolinea che l’appello è rivolto anche alle aziende produttrici di armi, che rischierebbero di essere complici nelle violazioni e si conclude così: «Il diritto internazionale non si impone da solo. Tutti gli Stati non devono essere complici di crimini internazionali attraverso trasferimenti di armi. Devono fare la loro parte per porre urgentemente fine all’inesorabile catastrofe umanitaria a Gaza».
Una presa di posizione di livello tutt’altro che differente poi è arrivata anche da Francesca Albanese, relatrice speciale ONU sui territori palestinesi occupati, che ad una conferenza stampa promossa dal Consiglio Comunale di Firenze ha dichiarato: «È apartheid, non abbiate paura di dirlo. Il Sudafrica ci ha dato la parola, ma la realtà è incarnata da Israele per eccellenza». Ha poi aggiunto che in Italia il clima «non è affatto favorevole a parlare liberamente di Palestina o di Israele e dei territori palestinesi occupati, nemmeno in un momento in cui vengono commesse atrocità» in quanto «la questione della Palestina e di Israele e scuote equilibri politici e pregiudizi radicati. E spesso porta alla censura e all’autocensura».
[di Roberto Demaio]