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– Riccardo Petrella

Sulla Dichiarazione di Anversa (20 febbraio 2024).

Settantaquattro persone (provenienti da 58 aziende, 15 associazioni imprenditoriali e un sindacato) si sono incontrate a porte chiuse nel porto di Anversa (il più grande centro di produzione chimica d’Europa e il secondo al mondo dopo il Texas), presso il sito della BASF (la più grande azienda chimica del mondo). Tra i presenti c’erano il capo della BASF e altri pesi massimi dell’industria chimica europea, che hanno firmato una “Dichiarazione di Anversa. Per un Patto Industriale Europeo” (vedi il testo completo: https://antwerp-declaration.eu/ ) alla presenza e, soprattutto, con il visibile sostegno di Alexander De Croo, Primo Ministro belga, il cui paese detiene da gennaio la presidenza di turno dell’Unione Europea, e di Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione Europea, che ha appena ufficializzato la sua candidatura a succeedersi per il 2024-2029. Questo dimostra il valore politico “istituzionale” della Dichiarazione.

E, di fatto, i firmatari non si sono fatti scrupoli. Fin dalle prime parole che precedono il titolo della Dichiarazione, essi affermano: “Il futuro dell’Europa è nell’industria”. La prima delle 10 proposte della Dichiarazione è quella di “Porre il Patto industriale al centro dell’Agenda strategica europea 2024-2029″.   “Chiediamo un piano d’azione completo per portare la competitività al livello di priorità strategica e creare le condizioni per una più forte motivazione imprenditoriale in Europa. Il piano d’azione deve includere misure per eliminare l’incoerenza normativa, gli obiettivi contrastanti, l’inutile complessità della legislazione e l’eccesso di relazioni“. Inoltre, poiché ritengono che la regolamentazione pubblica per obiettivi sociali e ambientali sia onerosa, costosa e riduca la libertà delle imprese di innovare, prosperare e competere, chiedono “una proposta omnibus per intraprendere azioni correttive su tutte le normative europee esistenti“.

Certo, nel tentativo di usare un linguaggio educato e conciliante, la dichiarazione parla di mettere il Patto industriale sullo stesso piano del Patto verde europeo (adottato dall’UE nel 2019), non in opposizione, ma uno accanto all’altro. Si tratta di un’affermazione puramente verbale. Le proposte 9 e 10 confermano ciò che l’industria chimica europea vuole: dare priorità al Patto industriale, per riportare la competitività industriale dell’Europa al massimo livello degli imperativi per la crescita, l’autonomia e, a loro avviso, la sopravvivenza dell’economia europea.

La proposta 9 predica “un nuovo spirito normativo“. Invita a “lasciare che siano gli imprenditori a trovare le soluzioni migliori. La legislazione deve creare condizioni favorevoli per incoraggiarli a investire“. Un chiaro ritorno al credo della “libera” economia di mercato capitalista. Per i firmatari della Dichiarazione, il nuovo spirito normativo significa abbandonare qualsiasi regolamentazione della vita e della Terra che sia contraria agli interessi del mondo degli affari e della finanza.  Da parte sua, la proposta 10 suggerisce di “creare all’interno della Commissione europea un posto di vicepresidente responsabile del monitoraggio e del controllo dell’attuazione delle misure prioritarie del Patto industriale europeo“. Se approvata, ciò equivarrebbe all’installazione all’interno dell’esecutivo europeo di una sorta di potere extra-statutario concesso all’industria europea.

L’UE sarà responsabile del fallimento del Green Deal?

Non sorprende che il Patto verde dell’UE sia stato messo in crisi. Nel settembre 2018, alla vigilia dell’approvazione del Patto Verde, lo stesso CEFIF ha pubblicato un Manifesto per un’Europa competitiva: perché l’UE ha bisogno di una strategia industriale ambiziosa, incentrato su 7 punti.. In questo documento, l’industria chimica europea aveva evidenziato quattro punti ripresi nella Dichiarazione di Anversa:

– Rendere le politiche energetiche e climatiche competitive in termini di costi

– Completare il mercato unico delle reti (mercato unico dell’elettricità, infrastrutture ferroviarie, reti digitali)

– Monitorare sistematicamente il costo cumulativo della regolamentazione

– Fare della competitività industriale una priorità

Sappiamo che il mondo dell’economia e della finanza ha sempre opposto resistenza alle misure adottate a livello nazionale, continentale e globale, in particolare nell’ambito dei programmi delle Nazioni Unite, per combattere i cambiamenti climatici, la deforestazione, la desertificazione e l’inquinamento di acqua, aria e suolo da parte di sostanze chimiche altamente tossiche per la salute umana e gli ecosistemi. Questo spiega i ritardi inaccettabili, le intollerabili carenze e le ambiguità delle decisioni – soprattutto in termini di impegni finanziari pubblici e privati – che sono state prese in questi settori negli ultimi trent’anni. Questo nonostante 58 grandi conferenze delle Nazioni Unite (le COP), di cui 28 sul cambiamento climatico, 15 sulla biodiversità e 15 sulla deforestazione/desertificazione.

La guerra in Ucraina ha innescato profondi cambiamenti nella produzione e nel commercio di combustibili fossili (petrolio, gas, ecc.) e nell’agroalimentare (industria delle sementi, prodotti agrochimici, ecc.). La Germania è stata maggiormente penalizzata nel settore energetico (gas, petrolio). È stata costretta a rompere i legami di cooperazione con la Russia, il che non è stato privo di significative perdite economiche e finanziarie.

Da qui, la reazione di importanti aziende tedesche ed europee, in particolare del settore chimico e agroindustriale, che hanno sottolineato l’urgente necessità, a loro avviso, di rivedere le priorità dell’agenda dell’UE e di ridare vigore e legittimità alla politica industriale e all’imperativo della competitività europea per sopravvivere sui mercati mondiali.

Da qui, negli ultimi tre anni, l’esplosione di misure che si allontanano apertamente, o addirittura abbandonano, gli obiettivi della lotta al cambiamento climatico e alla devastazione, in parte irreversibile, dell’ecosistema terrestre.

Penso in particolare alle decisioni della Commissione europea dell’UE, in sintonia e collaborazione con altri attori internazionali, di :

– prorogare per altri dieci anni l’autorizzazione alla produzione e all’uso del glifosato, il famoso prodotto chimico della Monsanto-Bayer riconosciuto dall’OMS come altamente tossico;

– non sottoporre i nuovi OGM basati sulle nuove tecniche genomiche alle regole di precauzione e di controllo della sicurezza, una scelta a favore della deregolamentazione approvata nel febbraio 2024 anche dalla maggioranza del Parlamento europeo;

– ritirare la bozza di regolamento europeo SUR, il 6 febbraio 2024, pochi giorni dopo che la Francia ha “messo in stand-by” il piano ECOPHYTO, in seguito alle manifestazioni e alle richieste degli agricoltori membri delle federazioni attive nell’agricoltura industriale ad alta intensità chimica ed energetica. L’obiettivo di SUR ed ECOPHYTO era di ridurre l’uso dei pesticidi del 50% entro il 2030, rispetto alla media del periodo 2013-2017. L’uso dei prodotti più pericolosi doveva essere ridotto del 65%;

-abbandonare il regolamento REACH, un tempo fiore all’occhiello della politica ambientale dell’UE, che mirava a proteggere meglio la salute umana e l’ambiente dai rischi associati alle sostanze chimiche. Il regolamento prometteva inoltre metodi alternativi per la valutazione dei pericoli delle sostanze, al fine di ridurre il numero di test sugli animali.

Mi vengono in mente altre due scelte, per non allungare ulteriormente l’elenco. Da un lato, il vertice sulla biodiversità COP-15 di Montreal ha approvato la finanziarizzazione della natura, sostenendo che il 30% del mondo naturale, il 30% del quale danneggiato, dovrebbe essere affidato come una nuova classe di “attivi finanziari” (“capitali naturali”) da gestire e restaurare  da una nuova categoria di società private quotate in borsa. E dall’altro, gli ennesimi tentativi di riabilitare e rafforzare l’uso dell’energia atomica basati su nuovi metodi di produzione e utilizzo, gli Small Modular Reactors (SMR). Grazie anche all’intelligenza artificiale, gli SMR renderebbero, secondo i loro promotori, l’energia atomica più ecologica, sostenibile e sicura.

Possiamo dire che queste misure prefigurano  un’ondata più ampia e impetuosa verso la fine dell’era della speranza della sostenibilità? Assisteremo presto al naufragio del Patto Verde europeo e delle COP globali per un pianeta vivibile? Siamo già entrati nell’era del trionfo dell’ultimo Far West globale?

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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