Ottava di dieci figli, occhi neri come i suoi capelli, Soraida Chindoy è una delle donne indigene che sta guidando la lotta della comunità Inga del Resguardo di Condagua, nel Putumayo, in Colombia. Nel 2017 Soraida si è unita alla battaglia contro la società mineraria canadese Libero Copper, l’azienda che cerca di sfruttare le montagne sacre dell’Ingas per estrarre rame e molibdeno, minerali che il governo di Gustavo Petro considera “strategici per la transizione energetica” per la loro importanza nella produzione delle cosiddette “energie pulite”, come i pannelli solari e le turbine eoliche. La terra in cui è nata Soraida è molto speciale, e non solo per il giacimento che, secondo l’Agenzia mineraria nazionale, è uno dei più importanti dello Stato, con circa 636 milioni di tonnellate di rame equivalente. È anche la sede del páramo di Doña Juana-Chimayoy, dove nascono otto fiumi e più di 1140 affluenti di superficie. Questo territorio ospita anche 56 lagune considerate sacre dagli indigeni e rappresenta il punto di incontro tra la foresta amazzonica e le Ande.
Nonostante l’area fosse già stata riconosciuta come resguardo indigeno, che implica una proprietà comunitaria e si distingue per il fatto di essere inalienabile, indispensabile e non sequestrabile, con la condizione che qualsiasi progetto nel territorio deve avere l’approvazione dei suoi proprietari ancestrali, lo Stato colombiano ha concesso quattro titoli minerari nel 2006, senza alcuna consultazione preliminare con la comunità indigena. La società britannica Anglo American è stata la prima a gestire e ottenere i quattro titoli minerari, che sono poi passati nelle mani della sudafricana Anglogold Ashanti e della canadese B2Gold. Dal maggio 2018 appartengono alla società canadese Libero Copper, che opera in Colombia con il nome di Libero Cobre.
Soraida Chindoy non vuole la devastazione della natura che accompagna l’estrazione mineraria, oltre che temere che i conflitti sociali e ambientali causati da questa attività finiscano per trasformare la sua terra. «In futuro questo diventerà un deserto, le nostre fonti d’acqua si prosciugheranno. Stiamo già assistendo allo spostamento degli animali. Ora si vedono scimmie e uccelli che si trovavano solo nella foresta vergine e stanno cercando altri nidi. Questo è il danno che stanno causando (la compagnia mineraria) e molti non lo capiscono», dice a Mongabay. Risulta sempre più evidente come questi progetti, anche se in nome della transizione energetica e delle cosiddetta “green economy”, non portino che deforestazione, contaminazione dei terreni circostanti e delle fonti d’acqua, malattie date dai residui di metalli pesanti nei corpi di animali e persone, oltre che una forte militarizzazione del territorio e la violazione dei diritti fondamentali dei suoi abitanti.
Il titolo minerario di Libero, pubblicato sul sito web dell’Agenzia nazionale mineraria, prevede quattro diversi blocchi, tutti attivi. Il primo (FJT141) è stato concesso nel dicembre 2006 per lo sfruttamento di rame, molibdeno, oro, argento, platino e tutti i loro derivati, in un’area di 1912 ettari, fino al 17 dicembre 2037. Gli altri tre blocchi sono destinati alla costruzione e all’assemblaggio della miniera, nonché allo sfruttamento di pietre e altri minerali. Sono stati concessi nel 2007 e sono validi fino al 2038. Uno dei problemi di queste concessioni è che tutti e quattro si sovrappongono al territorio riconosciuto come Resguardo Inga de Condagua – territorio vissuto da numerose comunità indigene – e alla Reserva Forestal de la Cuenca Alta del Río Mocoa, un’area protetta. Inoltre, gli studi preliminari, i lavori e le operazioni di esplorazione mineraria nella regione sono stati effettuati senza che le comunità indigene avessero voce o possibilità di veto.
Soraida ha scelto la lotta dal giorno in cui una valanga violentissima le ha distrutto la casa, portandosi via 336 vite e lasciando 22mila persone senza un tetto. Era il 31 marzo 2017, quando a causa delle forti piogge i fiumi Mulato, Sangoyaco e Taruca ruppero gli argini e si unirono alle acque del fiume Mocoa, distruggendo 17 quartieri di Mocoa. Soraida è sopravvissuta insieme alla sua famiglia, ma per la donna Inga quello che era successo significava che la terra era malata e che bisognava prendersi cura della propria Madre, della natura in cui si vive. Di fatto,la valanga è stata provocata dai danni ambientali causati dall’estrazione, come confermato anche dell’Istituto amazzonico per la ricerca scientifica (Sinchi), la cui direttrice ha affermato che: «Il Putumayo rappresenta uno dei nuclei di deforestazione più complicati degli ultimi anni. Quando tagliamo la foresta abbiamo un effetto molto grave sulla ritenzione idrica e sul ciclo dell’acqua». L’organizzazione Global Forest Watch ha sottolineato che tra il 2000 e il 2022 il dipartimento di Putumayo ha perso il 14% della sua copertura arborea. Così, Soraida si è unita al gruppo Guardiani dell’Amazzonia andina, un’iniziativa di abitanti e contadini che vivono vicino all’area di estrazione del rame a Mocoa e che si oppongono al progetto Libero Cobre. Nel 2022 hanno organizzato il primo Festival per l’Acqua, la Vita e la Montagna per far capire alla popolazione di Mocoa le conseguenze ambientali e sociali dell’estrazione del rame. Nell’ambito di questo evento, la guardia indigena del popolo Nasa – che occupa un altro territorio nelle vicinanze – ha raggiunto a piedi uno degli accampamenti che l’azienda canadese ha sulle montagne.
«I compagni hanno trovato cavalli che venivano usati per portare su le cose, alberi abbattuti e un dispositivo, una grande macchina tipo una trivella», spiega Soraida Chindoy. La visita ha obbligato l’autorità ambientale dell’Amazzonia (Corpoamazonia) a iniziare a effettuare ispezioni nella zona. Da allora è iniziato un braccio di ferro tra gli enti statali, le comunità e la compagnia mineraria che ha portato l’Agenzia nazionale mineraria e l’autorità ambientale a ratificare la sospensione di qualsiasi lavoro di esplorazione o sfruttamento da parte di Libero Cobre, perché non esiste una licenza ambientale e i titoli si trovano in un’area protetta. Tuttavia, i titoli minerari e il Progetto Mocoa della società canadese rimangono in vigore in una vasta area, tra l’altro suscettibile a movimenti di terra che potrebbero generare altre inondazioni torrenziali e valanghe di acqua e pietra come quella che nel 2017 ha colpito Soraida Chindoy e la sua famiglia.
La battaglia della comunità Inga continua, e Soraida ne è uno dei volti pubblici; questo preoccupa la sua famiglia, dato che i leader in lotta per i propri territori sono sempre più sotto attacco in America Latina. Secondo l’ultimo rapporto dell’organizzazione non governativa Global Witness, nel 2022 in Colombia sono stati uccisi 60 difensori dell’ambiente e del territorio, cifra che rende il Paese uno dei più pericolosi per i leader ambientalisti. Soraida Chindoy conosce il pericolo, ma risponde: «Non ho paura, perché so che sto difendendo qualcosa di cui abbiamo bisogno. Se non lo si difende, dal più piccolo al più grande, chi verrà a farlo? So che ultimamente quelli di noi che sono leader in questa difesa sono stati uccisi, ma se restiamo a casa comunque ci uccidono, quindi preferisco che ci uccidano mentre alziamo la voce».
[di Monica Cillerai]