Vogliamo capire o no che democrazia, diritti ecc. non sono l’assoluto? Sia storicamente, nel senso che nulla è eterno; sia geograficamente, nel senso che non è scritto da nessuna parte che debbano ordinare tutto l’orbe terracqueo. La presunzione di noi occidentali è sconfinata. Crediamo di essere i migliori (il che, però, non significa che siamo i peggiori). Vogliamo che le nostre misure si impongano ovunque e, quando gli USA lo hanno ritenuto conveniente, si è anche provato a portare la guerra per esportare i nostri modelli di organizzazione politica. È stato un fallimento. Ma era prevedibile, anzi scontato.
Verso la Russia di Putin la nostra presunzione si manifesta a livello conoscitivo e valutativo. Crediamo di sapere esattamente come stiano le cose. Ma quali prove – non indizi o pregiudizi – abbiamo per concludere che le elezioni di domenica scorsa siano state una farsa al punto da negare che la maggioranza dei Russi sia consenziente? Prove zero. E così per varie altre faccende russe o nell’orbita russa. Ma l’Occidente non si vanta, e giustamente, per la sua capacità di analisi oggettiva dai tempi dell’antica Grecia?
Sappiamo poco; o non sappiamo tutto quello che occorrerebbe sapere. Certo informarsi non è così facile; e anche questo non è proprio irrilevante. Ma in ogni caso, stante questo gap cognitivo, un po’ più di cautela sarebbe raccomandata. Innanzi tutto a Joe Biden che dà l’impressione di non dominare minimamente gli scarti del linguaggio passionale: tutto il contrario di quel che la cultura occidentale ci dovrebbe avere insegnato (e che lo sfascio della scuola omette di fare). Putin appare – dico appare, non che lo sia certamente– più controllato: magari nei retroscena sarà tutt’altro, tuttavia la scena la domina parecchio meglio del suo confuso collega americano. E poi: chi si lascia andare di più all’insulto? I filmati sono a disposizione per una risposta inequivocabile. E come spiegare che i cronisti occidentali dalla Russia criticano pesantemente il governo russo in diretta da Mosca? O che vuol dire che, ai funerali di Navalny, abbia partecipato, inneggiando a gran voce il nome del leader scomparso, una considerevole folla di persone, pur sotto l’attenta sorveglianza della forza pubblica?
Ossessionati dal presentismo ci siamo dimenticati la storia, anzi non la studiamo più: ci basta sapere qualcosa a partire dalla seconda guerra mondiale per poi cacciarci nell’oscurità della confusione. Figurarsi se onoriamo le categorie filosofico-politiche del pensiero occidentale. Per esempio, per mitigare la nostra presunzione e per orientarci invece che zig-zagare come degli alticci, potremmo dare una rapida occhiata a Montesquieu che, ancor prima della Rivoluzione francese, invitava a considerare la relazione necessaria tra geografia, storia, antropologia, estensione territoriale di uno stato e la sua struttura politico-costituzionale e, in genere, giuridica. Sono pagine importanti che ho l’impressione che più di qualcuno, ora lanciato in brillanti analisi geo-politiche, non abbia letto; o abbia dimenticato, standosene a girare il mondo attraverso lo schermo del computer di casa. E allora tutti questi canoni ci indicano che, in Russia, la gente è diversa; il che non significa necessariamente che sia più incolta o meno civilizzata di noi che, l’impressione è questa, apparteniamo a una parte del mondo in preoccupante discesa.
Diversa la relazione con il potere, essendo i Russi sciolti culturalmente dal vincolo originato dalla categoria del contratto sociale, che l’illuminismo ha consegnato a noi, non a loro. Diversa è la storia, non avendo i Russi conosciuto il feudalesimo, con i suoi delicati equilibri di potere e di pretese reciproche tra sovrano e signori feudali, da cui è conseguito un contributo non trascurabile alla formazione dello stato di diritto. Diversa (molto) la religiosità (che noi abbiamo comunque smarrita e confusa con il consumismo), in Russia mai attraversata da riforme laceranti (come la Riforma protestante), da eresie o da ribellioni ereticali.
Assente un’aristocrazia corredata di un’autonomia di ceto e di orientamento politico, la nobiltà russa essendo piuttosto servente del potere centrale, che la adoperava come strumento di autocrazia. Assenti il capitalismo e la borghesia; assenti particolari forme di lotta sociale. La modernità come esito non di un’evoluzione interna, ma di un innesto esogeno e comunque imposta dall’alto verso il basso.
Sempre angosciata la percezione dell’esterno, dopo il trauma dell’orda dei mongoli invasori nel XIII secolo: un trauma insuperato, anche perché rinnovato, nell’Ottocento, da Napoleone e, nel Novecento, da Hitler. Mantenere il controllo del territorio, che ha poche barriere naturali a difesa, è un imperativo categorico, forse un’ossessione: ecco la Nato in Ucraina avvertita (ma lo è oggettivamente) come un problema o una minaccia, che innesca timori e paure ancestrali.
«Una realtà di fede, non di fatto»: questo aveva scritto Marx a proposito della Russia. Forse, è ancora così. I Russi sentono a modo loro l’autorità e sono più disposti a dare fiducia a una prospettiva di comando, sopportando il peso del controllo e del dominio. Se hanno fatto la Rivoluzione e ucciso lo zar, hanno, però, saltato a piè pari la casella della democrazia per atterrare ancora in quella dell’autocrazia, sebbene addolcita dal sogno comunista. Allora non stupiamoci di Putin: è espressione coerente di una vicenda lunghissima che dobbiamo conoscere e considerare con intelligenza storica e politica. Per parte nostra abbiamo sempre presente che democrazia e diritti non sono la misura di tutte le cose, ma un prodotto storico in corso d’usura