- Clara Statello
Se vuoi la pace prepara la pace
A differenza del governo britannico o dell’amministrazione statunitense, i leader europei sembrano aver perso lucidità. Un cieco furore sbrodola convulsamente dai documenti e dalle dichiarazioni rilasciate nelle ultime ore.
“È un bene che i russi si debbano interrogare sulle nostre intenzioni visto che hanno paura dello scontro con la Nato”, afferma il primo ministro estone Kaja Kallas, in un’intervista al Sole24ore pubblicata mercoledì, con riferimento alla possibilità di mettere i piedi sul terreno in Ucraina, in discussione da fine febbraio
Per lei in gioco non c’è “solo l’architettura della sicurezza europea, ma globale”. Il rischio di una terza guerra mondiale è secondario: “Se la Russia perde, non dobbiamo preoccuparci”.
Le sue parole sono una chiamata alla guerra. Non appartengono ai codici diplomatici a cui le massime autorità di uno Stato dovrebbero attenersi, sembrano più le farneticazioni di un estremista invasato. Se la Kallas può permettersi queste provocazioni nei confronti della Federazione Russa è perché dietro ha la NATO. Questo significa che non esita a trascinare altri 33 Paesi in guerra, per tali dimostrazioni muscolari.
Ci si chiede in che modo la sicurezza di un Paese come l’Estonia possa compromettere non solo la sicurezza dell’Italia, ma persino quella globale? Ci si chiede perché, ammesso che Mosca abbia davvero intenzione di attaccare i Baltici, dovremmo morire per Tallin, per l’imprudenza o la volontà di potenza della giovane leader? Ci si chiede perché l’Italia dovrebbe essere preoccupata per la pace in Estonia, quando di fronte a noi, sull’altra sponda del Mediterraneo, soffiano impetuosi venti di guerra e attualmente è in corso un genocidio contro i nostri fratelli palestinesi?
Le nostre radici, la nostra cultura, il nostro cuore e la nostra anima sono mediterranei e dovremmo pensare a costruire ponti di pace e di umanità tra queste due sponde. Questo dovrebbe essere il principale interesse geopolitico dell’Italia, non inviare armi per destabilizzare il Medio Oriente e suonare le fanfare di una guerra che non ci riguarda.
Il nostro futuro non è più quello di una volta. Siamo davanti ad un cambio di paradigma, imposto ai popoli europei agitando lo spauracchio del perfido dittatore Putin. L’Europa ha scelto di investire sulla guerra, di sacrificare il benessere dei suoi popoli, per imporsi sullo scacchiere globale come una potenza militare.
Alla vigilia del Consiglio Europeo di Bruxelles, il presidente Charles Michel pubblica un documento in cui traccia le linee guida: riarmo, economia di guerra, mobilitazione dei popoli.
“La Russia rappresenta – scrive – una seria minaccia militare per il nostro continente europeo e per la sicurezza globale. Se la riposta dell’UE non sarà adeguata e se non forniamo all’Ucraina sostegno sufficiente per fermare la Russia, saremo i prossimi. Dobbiamo quindi essere pronti a difenderci e passare a una modalità di “economia di guerra”. È giunto il momento di assumerci la responsabilità della nostra propria sicurezza. Non possiamo più contare sugli altri o essere in balia dei cicli elettorali negli Stati Uniti o altrove”.
Il passaggio di regime richiederà anche un cambiamento culturale:
“Oggi siamo di fronte alla più grande sfida di sicurezza dalla seconda guerra mondiale, per cui dobbiamo rafforzare la nostra prontezza alla difesa. Per farlo sarà necessario che il nostro pensiero compia una transizione radicale e irreversibile verso una forma mentis incentrata sulla sicurezza strategica”.
Va da sé che il cambio di mentalità dei governi, determinerà una trasformazione culturale “radicale e irreversibile”, che si rifletterà sui media e nell’istruzione: per fare le guerre ci sarà bisogno di addestrare le nuove generazioni alla cultura di guerra, sin dall’infanzia. E qui appare chiaro il progetto di militarizzazione della scuola in corso da anni, denunciato da giornalisti come Antonio Mazzeo e intellettuali come Angelo D’Orsi.
La linea oltranzista non riscuote l’unanimità. Il capo della diplomazia europea Joseph Borrelle mette il freno alla corsa degli eurocrati verso la Terza Guerra Mondiale.
“L’appello rivolto agli europei affinché siano consapevoli delle sfide che ci troviamo ad affrontare è positivo, ma non dobbiamo nemmeno esagerare. La guerra non è imminente” anche se è necessario “prepararci per il futuro e aumentare le nostre capacità di difesa”, afferma a Bruxelles, replicando a Michel.
La preoccupazione di Borrell è palpabile:
“Non si tratta di morire per il Donbass – aggiunge – si tratta di sostenere gli ucraini in modo che non vengano uccisi nel Donbass”.
L’alto commissario, così come il governo italiano, forse si è reso conto del punto di non ritorno, in cui lui e i suoi colleghi ci hanno trascinato, e tenta di fissare dei paletti. Il risultato è patetico, anche alla luce delle persecuzioni subite da chi, in Spagna, Italia e altri Paesi, ha messo da sempre in guardia sul rischio che l’Europa stava correndo, trasformando un conflitto locale in uno scontro tra blocchi geopolitici. Nessuna speranza di pace, nessuna soluzione politica credibile può giungere da chi per dieci anni ha armato la guerra e continua a soffiare odio e morte tra i popoli post-sovietici (per gli interessi degli USA e di Londra).
Davanti alla sempre più avvilente incapacità della sinistra di parlare alle masse e indicare una linea politica, Papa Francesco si impone un riferimento per chiunque sostenga la pace, persino tra i settori più ortodossi della frammentata micro-galassia comunista.
Il suo appello ai leader politici ad usare la prudenza, il suo richiamo continuo alla pace, ai negoziati, al coraggio della bandiera bianca per far prevalere l’interesse dei Popoli sugli interessi delle fabbriche di armi, sono uno sprazzo di razionalità nel crepuscolo di questa follia belligerante. La forza delle sue parole decostruisce la propaganda di guerra e ci chiede di metterci nei panni degli ucraini. Quegli ucraini che scappano dal loro Paese affrontando le montagne, che preferiscono rischiare la vita nel Tibisco che morire al fronte, che vengono sequestrati per strada dai commissari militari e percossi nei centri di reclutamento. Quegli ucraini di cui la stampa libera non parla, che subiscono la condanna al silenzio esattamente come i loro fratelli del Donbass.
Per averli menzionati, persino il Papa è stato travolto dalla gogna mediatica. Ciò da l’idea di come il restringimento della libertà di espressione andrà di pari passo con la militarizzazione della società e della stampa. Inquietano le parole di Michel:
“Dobbiamo essere in grado di parlare non solo la lingua della diplomazia, ma anche quella del potere”.
Proprio ieri, giovedì 21 marzo, tre attivisti di Antudo, un’organizzazione politica indipendentista siciliana di sinistra, sono stati arrestati per aver pubblicato il video di una manifestazione contro Leonardo SPA. Sono accusati di terrorismo e per uno di loro è stata adottata la misura cautelare del carcere.
Se è questa la tolleranza che i governi europei intendono riservare a chi si mobilita contro la guerra, allora le campane della democrazia suonano a morto.
“Se vogliamo la pace dobbiamo preparare la guerra”, ma la sequenzialità storica dei fatti mostra l’irrazionalità dell’affermazione con cui Michel ha deciso di concludere il suo documento. I nostri leader europei hanno perso lucidità, da anni preparano una guerra contro la Russia e questo processo non potrà che portarci ad una cosa sola: alla guerra contro la Russia, combattuta anche con armi nucleari.
La guerra non è bella, la guerra è orribile: chi ha qualche dubbio può andare su telegram e guardare i mille canali che riportano le immagini di ciò che sta avvenendo in Ucraina e a Gaza. Chi ha qualche dubbio provi a mettersi nei panni di quei soldati che avanzano sul campo di battaglia, di quei bambini mutilati di quelle mamme e quei padri che piangono sui corpi dei loro figli. Chi parla di prepararci alla guerra vuole questo destino per i popoli europei. Chi vuole la pace prova a dialogare con il nemico. Chi vuole la pace respinge qualsiasi tentativo di disumanizzazione. Chi vuole la pace ripudia le armi. Chi vuole la pace prepara la pace
https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-il_gabinetto_di_guerra_dellue_atto_primo/52244_53733/