Circa settanta ex dirigenti, diplomatici e ufficiali delle forze armate statunitensi hanno firmato una missiva, indirizzata al presidente americano Joe Biden, invitandolo a intraprendere misure concrete per garantire ai civili di Gaza, massacrati dalle bombe israeliane, protezione e accesso agli aiuti umanitari. La lettera, che vede in copia, tra i destinatari, i segretari di Stato Blinken e della Difesa Austin, la responsabile dell’agenzia per lo sviluppo Usaid Samantha Power e il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, censura pesantemente le modalità dell’offensiva scatenata da Tel Aviv in seguito all’attacco di Hamas del 7 ottobre, che ha provocato una “catastrofe umanitaria” a Gaza. Gli ex funzionari che hanno sottoscritto la lettera – peraltro in maniera esplicita, con l’indicazione delle proprie generalità e del ruolo precedentemente ricoperto nelle gerarchie dell’amministrazione statunitense – sostengono che “gli Stati Uniti devono essere disposti a intraprendere azioni concrete per opporsi” a tali pratiche, “comprese le restrizioni sulla fornitura di assistenza (a Israele, ndr) in linea con la legge e la politica statunitense”.
I firmatari dell’appello, tra cui figurano oltre una dozzina di ex ambasciatori, nonché altri funzionari in pensione del Dipartimento di Stato ed ex funzionari del Pentagono, dell’intelligence e della Casa Bianca, esprimono una “profonda preoccupazione per quello che accade a Gaza”, chiedendo a Biden di “incrementare gli sforzi di proteggere i civili e promuovere una pace giusta e duratura”. Nonostante gli autori della missiva ritengano che “una risposta militare israeliana al barbaro attacco del 7 ottobre di Hamas contro i civili israeliani fosse necessaria e giustificata”, evidenziano al contempo come “le tattiche militari impiegate da in questa risposta sono state indiscriminate, hanno creato una catastrofe umanitaria, hanno messo a rischio il potenziale per ulteriori progressi verso una stabilità regionale e hanno minato la credibilità e l’influenza americana nella regione”. Gli ex funzionari ricordano che a Gaza sono stati sterminate decine di migliaia di civili, “la maggioranza dei quali donne e bambini”, affermando che “uccisioni di civili di questa natura e proporzione non possono essere giustificate”. Nella lettera si scrive, inoltre, che “l’esercito israeliano ha fallito nel rispettare l’esigenza che una potenza occupante fornisca alla popolazione civile sotto il suo controllo le necessità basilari per vivere”. I firmatari chiedono al presidente Biden di rendere chiaro al governo israeliano che pratiche che “riducono i palestinesi a individui di seconda classe espandono le colonie nei territori occupati o negano ai palestinesi cibo, acqua e altre necessità basilari” riceveranno in risposta “conseguenze serie, incluse restrizioni di aiuti a Israele”. Gli ex funzionari chiedono un lungo cessate il fuoco che possa essere funzionale a organizzare “un sistema affidabile di assistenza umanitaria” e “assicurare il rilascio degli ostaggi”, sostenendo che, al termine del conflitto, “le voci dei palestinesi e le loro aspirazioni” debbano essere messe “al centro della governance post-crisi a Gaza”.
Questo importante appello arriva in un momento di evidente difficoltà per il governo Biden, stretto tra le critiche alle modalità con cui Israele sta conducendo i suoi attacchi a Gaza e la storica vicinanza strategica degli Stati Uniti allo Stato Ebraico, a cui gli USA continuano indiscriminatamente a vendere mezzi militari. Negli ultimi giorni, il Presidente si è detto peraltro fortemente contrario all’invasione di Rafah programmata dal governo di Tel Aviv, che anche l’ONU ha bollato come un “potenziale disastro”. Proprio ieri, su invito americano, il ministro della Difesa israeliano David Gallant è partito per Washington, al fine di illustrare ad alti funzionari americani – compresi il segretario della Difesa, il segretario di Stato, il consigliere per la sicurezza nazionale e il capo della Cia – «il vantaggio qualitativo di Israele» nel conflitto a Gaza e «le modalità per raggiungere l’obiettivo condiviso: sconfiggere Hamas e riportare a casa gli ostaggi». Nel frattempo, però, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha chiesto un cessate il fuoco immediato tra Israele e la resistenza palestinese Hamas e il rilascio immediato e incondizionato di tutti gli ostaggi, dopo che, per la prima volta, gli Stati Uniti non hanno posto il veto, decidendo invece di astenersi. La risoluzione, che richiede un “cessate il fuoco immediato” per il mese sacro musulmano del Ramadan, è passata con il voto favorevole di tutti gli altri 14 membri del Consiglio. Per questo motivo, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha annullato la visita che altri alti funzionari israeliani avrebbero dovuto effettuare a Washington per discutere il piano di Israele per Rafah.
[di Stefano Baudino]