È scontato che il mondo del calcio non sia terreno di particolare moralità. Ma alcuni episodi recenti dimostrano ulteriormente lo scarso controllo delle istituzioni e la lontananza di un modo accettabile di gestione nell’ipotetico modello di una società civile.
Pur senza entrare nel merito delle recenti intercettazioni e senza istituire anticipati tribunali, è inevitabile cogliere la gravità della posizione di Gabriele Gravina, a suo tempo presidente della Lega di serie C, pescato nell’atto di firmare un accordo impegnativo sotto il profilo mediatico appena poche ore prima di rassegnare le dimissioni dalla carica e di uscire di scena. Non lo conoscevamo come raffinato bibliofilo (come Dell’Utri?) ma scoprire che le sue collezioni potevano vantare un valore di 350.000 euro lascia francamente sbalorditi. Comunque andrà, l’attuale presidente della Federcalcio non ne uscirà bene dopo essere sopravvissuto, come dirigente, a precedenti scandali, in cui pure non era coinvolto come attore principale. Chi ha buona memoria ricorderà, per esempio, che era un alto dirigente del Castel di Sangro quando lo scrittore McGinnis documentò il coinvolgimento di alcuni tesserati della società nel calcio scommesse.
E che dire di Gianluca Ferrero, il presidente della Juventus, carica incidentale, assunta per evidente tributo alla famiglia Elkann? Risulta indagato per frode fiscale in relazione alla complessa vicenda dell’eredità della famiglia Agnelli. Un dirigente di facciata, verrebbe voglia di dire un famiglio.
Ma tornando a Gravina e alla Federcalcio, appare evidente come nell’attuale vicenda della ben poco trasparente proprietà del Milan non sia stato esercitato alcun effettivo controllo. Tutti i danni e le anomalie ora scendono dal pero senza che nessuno si scandalizzi. Tanti indizi su un finto passaggio di proprietà costituiscono il castelletto di una prova…
Parlare di calcio italiano sembra oggi un falso ideologico visto che i proprietari dei club principali sono tycoon o fondi. Come si può pensare che i Friedkin, gestori della Roma, possano aver cura della tradizione di un club come quello giallorosso, della sua storia sociale, del possibile recupero dello storico campo Testaccio? È solo l’esempio di una generale anomia. Il football nostrano è devastato dalla sua rivoluzione industriale. E non è un fenomeno solo italiano. L’interesse dei grandi fondi di investimento è ben presente in tutta l’area del calcio occidentale. Tornei come quello francese e spagnolo non son più in mano a soggetti singoli ma a fondi speculativi che non hanno l’impegno né la responsabilità di essere in Borsa e che, terminata l’operazione, possono tranquillamente tirarsi fuori. Calcio non amato, non vissuto. Solo usato.
Ora sta per capitolare uno dei pochi pacchetti di maggioranza ancora in mani nostrane, sia pure quelle contaminate di Berlusconi. I recenti progressi sportivi del Monza hanno stimolato il closing che porterà l’Orienta Capital Partners a diventare il soggetto primario del pacchetto azionario di maggioranza, anche se c’è ancora un italiano – Augusto Balestra – che ci mette la faccia nel tentativo di succedere alla proprietà Fininvest. Ma per l’Orienta il calcio è un settore come un altro, senza la sua tipicità visto che ha già investito e speculato nel settore della cosmetica, delle acque minerali, della bioedilizia e delle pale eoliche. Come garante del club rimarrebbe in organigramma il nume tutelare Adriano Galliani. Già, perché Fondi e speculatori alla fine hanno ancora bisogno di dirigenti che s’intendano di calcio. Loro mettono i soldi, gli altri la competenza vera o presunta. E, per il sistema, l’importante è che ci sia un proprietario formale. Sapere da dove vengano i soldi dell’investimento sembra non contare nulla.