Nella giornata di ieri, martedì 9 aprile, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha in parte accolto il ricorso presentato nel 2021 dagli avvocati di Giuseppe Uva, 43enne di Varese deceduto nel 2008 nel reparto psichiatrico dell’ospedale di Circolo di Varese, dopo essere stato fermato dalle forze dell’ordine e sottoposto a TSO. Con la decisione della CEDU, viene ribaltata la sentenza rilasciata nel 2019, che aveva stabilito la non colpevolezza dei 6 agenti della Polizia di Stato e dei 2 carabinieri coinvolti nella vicenda; ora lo Stato italiano avrà tempo fino al 28 giugno per negoziare un indennizzo di risarcimento con la famiglia, e se l’accordo transativo non dovesse venire trovato le istituzioni avranno l’onere di rispondere ad alcune domande degli avvocati sulla vicenda. L’ammissione del ricorso da parte della CEDU riapre così uno dei tanti casi di presunto omicidio per le mani di funzionari dello Stato ancora in cerca di giustizia, che fa parte di una lista interminabile di analoghe vicende.
Il ricorso presentato alla CEDU dai legali di Lucia Uva, sorella di Giuseppe, si poggiava su 4 diverse motivazioni. Nello specifico, spiega l’avvocato Stefano Marcolini, «sono stati ammessi alla discussione due aspetti del nostro ricorso originario tutti e due relativi all’articolo 3 della CEDU», che sancisce che “nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”. In primo luogo, «lo Stato italiano dovrà anzitutto spiegare le ragioni fattuali, storiche, dell’arresto di Giuseppe Uva, il perché sia stato prelevato, il perché sia stato portato in stazione e poi cosa sia successo in quel frangente»; successivamente, lo Stato dovrà rendere conto «della presunta mancanza di una indagine seria, adeguata, effettiva» sui fatti. Come precisa l’avvocato Fabio Ambrosetti, la CEDU «ha invitato le parti a trovare un accordo transativo entro la fine di giugno», che se non dovesse venire siglato costringerà lo Stato italiano «a rispondere a una serie di domande sulla vicenda». In merito alla decisione della CEDU, Lucia Uva ha commentato come ciò che vuole non sia certamente denaro, ma che sia fatta giustizia: il risarcimento che ella intenderebbe ottenere sarebbe «quello di vedere finalmente lo Stato italiano rispondere a domande sulla morte» del fratello.
Giuseppe Uva morì a 43 anni il 15 giugno 2008 dopo essere stato arrestato perché ubriaco e sottoposto a Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) nel comune di Circolo di Varese. Uva, portato in caserma insieme all’amico Alberto Biggiogero, decedette poco dopo aver ricevuto il trattamento, alle 10 del mattino, per un arresto cardiaco. Dopo una prima assoluzione giunta in primo grado dalla Corte, che aveva stabilito la non sussistenza del reato di omicidio in seguito all’analisi delle perizie, la sentenza venne impugnata e il sostituto procuratore generale di Milano, Massimo Gaballo, formulò l’accusa di omicidio preterintenzionale e sequestro di persona aggravato da qualifica di pubblico ufficiale, con condanne dai 10 ai 13 anni. La contenzione fisica sarebbe infatti stata “violenta e di ingiusta durata” e sarebbe stata la causa che, insieme alla preesistente patologia di Uva, avrebbe causato lo scompenso cardiaco e il decesso. La Corte d’assise, tuttavia, assolse nuovamente tutti gli imputati.
Quello di Giuseppe Uva non è l’unico caso irrisolto di presunta morte violenta a causa delle forze dell’ordine. Oltre al noto caso di Stefano Cucchi, chiusosi dopo 12 anni di battaglie, la lista di morti nelle mani dello Stato in cerca di giustizia che al contrario di Cucchi non hanno ancora trovato pace è piuttosto lunga: è il caso di Aldo Bianzino, che nelle prime ore del 12 ottobre 2007 si è visto piombare in casa quattro poliziotti e un finanziere, i quali, dopo aver trovato delle piantine di marijuana, hanno scortato lui e la compagna Roberta in carcere, per dichiararlo morto 48 ore dopo l’arresto; e ancora del giovane Federico Aldrovandi, che il 25 settembre del 2005 è stato fermato da una volante con due agenti sopra presto raggiunta da una seconda vettura con altri due poliziotti, i quali assieme ai colleghi si sono accaniti su di lui sotto lo sguardo di un’unica donna che dalla finestra della propria abitazione assiste alla scena e riferisce che Federico è stato picchiato con dei “bastoni”; c’è anche il caso, che come la vicenda Uva ha visto l’intervento della CEDU, di Riccardo Margherini, ex calciatore di 39 anni morto nella notte tra il 3 e il 4 marzo 2014, dopo essere stato fermato da tre carabinieri che per immobilizzarlo hanno praticato su di lui la stessa manovra che è stata impiegata sullo statunitense Geroge Floyd, causandone la morte. Eppure questi tre sono solo alcuni casi tra i più famosi casi emersi nella cronaca di questi anni, e la lista delle vittime della violenza di Stato è ancora molto lunga: a essi vanno aggiunti Paolo Scaroni, Riccardo Rasman, Andrea Soldi, Bohli Kayes, Vincenzo Sapia e molti altri, che dopo anni cercano ancora giustizia.
[di Dario Lucisano]