Vent’anni fa vennero rilasciate le foto tristemente famose, e agghiaccianti, dei prigionieri torturati dai soldati statunitensi, all’interno della prigione irachena di Abu Ghraib. Militari, inclusi ufficiali d’alto rango e agenti della CIA, che si mostravano sorridenti e divertiti mentre torturavano cittadini, gli applicavano elettrodi sul corpo, li trascinavano al guinzaglio come cani o li mutilavano con dei bisturi. Ora, tre dei detenuti sopravvissuti alle torture di Abu Ghraib avranno finalmente la possibilità di portare il caso in un’aula di tribunale per provare ad ottenere giustizia. Lunedì, presso la Corte Distrettuale degli Stati Uniti ad Alexandria, in Virginia, sarà la prima volta che i sopravvissuti di Abu Ghraib saranno in grado di portare le loro accuse di tortura davanti a una giuria degli Stati Uniti d’America.
Le foto pubblicate nel 2004 mostravano prigionieri nudi accatastati in piramidi o trascinati al guinzaglio da soldati sorridenti e divertiti. Una foto mostrava un soldato che posava accanto a un cadavere mentre sorrideva e mostrava il pollice in su. Altre foto invece ritraevano detenuti minacciati con i cani o incappucciati e attaccati a cavi elettrici. Suhail Al Shimari, uno dei querelanti, ha descritto aggressioni sessuali e percosse durante i suoi due mesi in prigione. È stato anche sottoposto a scosse elettriche e trascinato in giro per la prigione con una corda legata intorno al collo. Salah Al-Ejaili, ex reporter di Al-Jazeera, ha invece detto di essere stato sottoposto a posizioni di stress che gli hanno fatto vomitare liquido nero, oltre ad essere stato privato del sonno e costretto a indossare biancheria intima femminile sotto la minaccia dei cani.
L’imputato nella causa civile è il CACI, un appaltatore del governo federale con sede in Virginia impiegato nella prigione irachena al momento dei fatti, che nega qualsiasi illecito, mentre a sollevare il caso sono stati gli avvocati del Center for Constitutional Rights. Il giudice distrettuale degli Stati Uniti Leonie Brinkema, ha stabilito che le ragioni per cui sono stati mandati ad Abu Ghraib sono irrilevanti ai fini del processo e non saranno date ai giurati. «Anche se fossero terroristi, questo non giustifica la condotta che viene accusata qui», ha detto all’udienza del 5 aprile. Inoltre, tutti e tre sono stati rilasciati dopo periodi di detenzione che vanno da due mesi a un anno senza mai essere accusati di alcun crimine.
Il CACI, tuttavia, ha affermato che la responsabilità delle condizioni di Abu Ghraib è da ritenersi in capo all’esercito degli Stati Uniti e che i suoi dipendenti non erano in grado di dare ordini ai soldati. Nei documenti del tribunale, gli avvocati della difesa hanno affermato che «l’intero caso non è altro che un tentativo di imporre la responsabilità di CACI perché il suo personale ha lavorato in una prigione in zona di guerra con un clima di attività che puzza di qualcosa di ripugnante. La legge, tuttavia, non riconosce la colpevolezza per associazione nel caso di Abu Ghraib». In una delle argomentazioni di appello di CACI, la società ha sostenuto che gli Stati Uniti godono di immunità sovrana contro le accuse di tortura e che CACI gode di immunità derivata come appaltatore che esegue gli ordini del governo. Ma il giudice distrettuale degli Stati Uniti, Leonie Brinkema, in una sentenza unica nel suo genere, ha stabilito che il governo degli Stati Uniti non può rivendicare l’immunità quando si tratta di accuse che violano le norme internazionali stabilite, come la tortura dei prigionieri. Di conseguenza, CACI non può rivendicare alcuna immunità derivata.
I giurati, a partire dalla prossima settimana, dovrebbero anche ascoltare la testimonianza di alcuni dei soldati che furono condannati da un tribunale militare per aver inflitto direttamente l’abuso. Tra questi Ivan Frederick, un ex sergente maggiore condannato a più di otto anni di reclusione dopo una condanna da parte della corte marziale con accuse tra cui aggressione, atti indecenti e inadempienza al dovere, ha fornito una testimonianza registrata che dovrebbe essere ascoltata in aula. Il processo, che dovrebbe durare due settimane, potrebbe però essere ostacolato dal governo degli Stati Uniti, in quanto alcune prove, a detta dei funzionari, se rese pubbliche, divulgherebbero segreti di stato che danneggerebbero la sicurezza nazionale. Si tratta insomma di un piccolo passo, una causa civile e contro una ditta appaltatrice, mentre evidentemente per stabilire una reale verità giuridica – oltre alle colpe individuali che vennero definite in parte dai processi militari – servirebbe un processo penale capace di indagare la catena di comando all’interno delle forze militari.
[di Michele Manfrin]