File source: http://commons.wikimedia.org/wiki/File:NP_India_burning_48_(6315309342).jpg
La prima parte dell’ntervista al membro dell’AIKS. Continua la lotta dei contadini iniziata nel 2020 contro le leggi che intendono liberalizzare il mercato dei prodotti agricoli in India. A pochi giorni dalle elezioni il movimento allarga la propria capacità di mobilitazione attorno a una piattaforma complessiva volta a costituire un’opposizione sociale al Governo
A pochi giorni dall’avvio della tornata elettorale indiana, i contadini continuano i blocchi stradali in opposizione alle leggi criminali in materia di liberalizzazione del mercato dei prodotti agricoli. Nonostante una lunga lotta a oltranza apertasi il 26 novembre 2020 e conclusasi il 9 dicembre 2021 con il ritiro delle leggi da parte del Governo, il comitato decisionale instaurato dal Governo per legiferare sulla questione non ha prodotto sostanziali avanzamenti, lasciando i contadini nell’alta marea del libero mercato. Le tre leggi in questione miravano a implementare il processo di liberalizzazione del settore agricolo indiano abrogando l’Essential Commodities Act del 1955 – con cui si regolavano produzione, prezzi, distribuzione e trasporto delle merci categorizzate dal Governo come essenziali – e il Farmers Produce Trade and Commerce del 1966-67 – in cui si stabilivano mercati statali in cui gli agricoltori potevano vendere determinati tipi di merci per garantire la sicurezza alimentare del paese – e completando con la nuova legge Farmers (Empowerment and Protection) Agreement on Price Assurance and Farm Services Act del 2020 –la disintermediazione del mercato grazie alla possibilità da parte dei compratori di poter acquistare i prodotti direttamente dai produttori.
In questi anni la mobilitazione non si è mai fermata e da gennaio di quest’anno sono ripresi i blocchi stradali a oltranza nella località di Shambhu al confine tra gli stati dell’Haryana e del Punjab. I contadini, raccolti sotto la guida del Samyukt Kisan Morcha-SKM, organizzazione che raccoglie oltre 300 sindacati creata nel corso della mobilitazione del 2020-21, allargano la propria lotta in una piattaforma complessiva condivisa con i sindacati del settore secondario e terziario della Central Trade Unions-CTU, volta a costituire un’opposizione sociale al Governo.
Nonostante la distanza dalla capitale, motivata dalla necessità di preservare i flussi ai confini della capitale Delhi e dall’azione preventiva del Governo locale dell’Haryana, guidato dal Bharathya Janata Party-BJP di Narendra Modi, la piattaforma riesce ancora a mobilitare sostanziali numeri di persone. D’altronde la situazione del settore non è delle migliori. Nell’anno corrente, è prevista una decrescita del raccolto di grano pari al 6.8%, la siccità sta colpendo prematuramente alcuni stati indiani come Rajasthan e Karnataka e i suicidi dei contadini continuano ad aumentare – 425000 agricoltori, lavoratori agricoli e salariati giornalieri di origine agricola si sono suicidati durante gli ultimi 10 anni di Governo del BJP.
Come dichiarato da Vijoo Krishnan, segretario generale del sindacato contadino marxista All India Kisan Sabha-AIKS, l’attenzione dei contadini riguardo alla situazione politica interna è rimasta costante nonostante i tentativi del BJP di riposizionarsi sul tema: «Gli agricoltori non dimenticheranno né perdoneranno. Contro le false promesse e le politiche che promuovono il saccheggio delle imprese e l’aziendalizzazione dell’agricoltura, gli agricoltori sono stati incessantemente sul sentiero della lotta. Seminiamo la paura nelle menti dei nemici del popolo e facciamo in modo che i nostri diritti duramente conquistati siano protetti».
In questa intervista con Subhojeet Dey, membro dell’esecutivo dell’AIKS, si vanno a ricostruire i passaggi fondamentali della lotta dei contadini iniziata nel 2020 e ancora in corso. Gli elementi di discussione spaziano dal terreno della mobilitazione in senso stretto a quelli della politica nazionale generale, poiché le questioni sono strettamente legate e il soggetto sociale di lavoratori e lavoratrici della terra ha acquisito capacità di questionare il presente in modo complessivo.
Attorno a quali istanze i contadini hanno cominciato a mobilitarsi nel 2020? Quali sono state le loro ragioni e condizioni materiali in base a cui hanno deciso di prendere la via dello sciopero ad oltranza?
Il motivo principale per cui la mobilitazione si è avviata è stato l’espandersi della percezione popolare per cui con le nuove leggi, i contadini comuni avrebbero perso la loro terra. Questa era la cosa principale che motivava l’agricoltore medio. Naturalmente, le tre leggi prevedevano una serie di aspetti che avrebbero cambiato l’agricoltura indiana in generale.L’elemento della possibilità di espansione dei possedimenti terrieri legati all’agrobusiness è stato uno dei principali motivi per cui i contadini sono scesi in sciopero. Le industrie dell’agrobusiness sono presenti in modo massiccio da due decenni. Inoltre, dal 2003, con un’ulteriore riforma dei mercati agricoli, le industrie multinazionali del settore agroalimentare sono state legalmente autorizzata a operare in India. Ad esempio, grazie a questa legge, una multinazionale come PepsiCo – già presente in una parte minore del mercato agricolo indiano – è riuscita a espandere il proprio potere nel mercato al fine di abbassare i prezzi delle merci. Questa è stata una brutta esperienza, soprattutto in Uttar Pradesh, perché gli agricoltori semplicemente non hanno ricevuto la somma prestabilita.
Quindi la questione era già presente nel subcontinente. Come mai nel 2020 la questione contadina è diventata una tematica di politica generale?
È diventata una questione politica soprattutto in Punjab e Haryana, ovvero i principali centri da cui è partita la protesta. Dopo una prima fase legata soprattutto alla paura di perdere la propria terra e i propri mezzi di sussistenza, il movimento è progredito grazie a una conoscenza dei dettagli delle nuove leggi e delle conseguenze che avrebbe portato loro.
Uno dei primi temi su cui si è registrato questo avanzamento è stato riguardo ai mercati regolamentati: in India non è possibile vendere prodotti come riso o grano ovunque, un commerciante non può acquistare il prodotto dove vuole; se porto il mio grano fuori dai mercati statali e un commerciante arriva per comprarlo, sta commettendo un atto illegale. Per queste merci esiste un mercato regolamentato dal Governo e le regole sono co-decise con un comitato in cui sono presenti gli agricoltori. Solo in questo spazio particolare possono avvenire le transazioni di prodotti agricoli.
Qui c’è una sorta di supervisione statale su prezzo di vendita, qualità dei prodotti e ammontare delle commissioni degli intermediari – ad esempio, se un intermediario riceve delle commissioni, deve pagare una tassa anche allo Stato. Ci sono diverse normative in cui – come diremmo noi marxisti – sono presenti elementi parassitari ma in quello spazio regolamentato sono ridotti al minimo. Per porre fine a questa prassi ci sono tante scappatoie presenti anche negli attuali mercati regolamentati a causa delle lobby locali e di molti tipi di pratiche scorrette.
Quali sono state le conseguenze di queste leggi?
La prima cosa che la legge stava facendo era distruggere questa struttura permettendo a chiunque di acquistare dai produttori diretti. Possono venire a casa tua, nel tuo villaggio e acquistare i prodotti. Sta diventando sempre più chiaro agli agricoltori che le aziende agricole – come hanno fatto nel caso di PepsiCo e altre società – inizialmente offrono un buon prezzo per entrare nel mercato, e poi, una volta che il mercato è stato conquistato dalle corporation, queste possono decidere i prezzi costringendo gli agricoltori a vendere nelle condizioni di libero mercato.
C’è stata una trasformazione qualitativa del movimento che è diventato consapevole di molte cose legate all’agricoltura. Inizialmente si trattava di un’immagine molto in bianco e nero – “perderemo la nostra terra” – in seguito si è passati a dettagli molto più fini su come l’agricoltura sia diventata un settore in perdita in India.
Alla fine del movimento agli agricoltori è rimasta molta coscienza politica, anche se non vi era nessuna chiarezza su dove sarebbe andato il movimento, autosospesosi il 9 dicembre al 2021. Quel giorno il primo ministro Modi è andato in televisione, per scusarsi dell’errore commesso. La scena era motivata dalle imminenti elezioni a livello statale. In quei giorni stavano arrivando i sondaggi dei principali stati e il BJP non voleva che la mobilitazione dei contadini avesse ricadute politiche. Ecco perché hanno ritirato le leggi.
Poi avevano promesso alla piattaforma di oltre 500 sindacati, di cui faceva parte anche l’AIKS, di costituire un comitato per definire i parametri del nuovo schema Minimum Supply Price (MSP). Oltre a noi, vi era anche il Samyuk Kisan Mocha-SKM – un fronte unito di organizzazioni di agricoltori di tutti i tipi e gruppi di proprietari terrieri. Eppure, perché era una lotta basata su problemi e perché anche nella nostra comprensione, quando ti trovi di fronte al capitale finanziario e a imprese transnazionali; quando il tuo nemico è così grande, devi stringere alleanze locali. Abbiamo aderito anche noi a questa piattaforma, diventando centrali nella sua organizzazione. La piattaforma costruita da SKM non riguardava solo il ritiro delle tre leggi.
Puoi approfondire maggiormente il tuo riferimento al Minimum Supply Price (MSP)?
Una delle richieste principali è stata la ridefinizione del MSP. L’MSP è uno strumento creato dal governo centrale nel 1966-67 per l’acquisto di alcuni tipi di colture a un prezzo fisso da parte dello Stato. L’MSP è uno strumento nato per sopperire alla sottoproduzione di cereali nel paese, alla dipendenza dalle materie prime di altri paesi e all’estrema povertà dei contadini.
Dal 1991 – con l’apertura dell’India al mercato globale attuata attraverso la liberalizzazione della New Economic Policy – i sussidi sono molto diminuiti. Prima, c’erano sussidi su tutto, fertilizzanti, pesticidi, macchinari, assicurazioni per il post-raccolta; assicurazioni statali su calamità naturali. Di quell’impianto normativo rimangono poche cose, una di queste è il MSP.
Il Governo prevede che ci siano 14 colture principali per le quali offre il MSP agli agricoltori, il che significa che esiste una certa tariffa alla quale il governo garantirà il prezzo all’agricoltore su base stagionale. Il prezzo sarà pari a quello prestabilito anche se il mercato crollerà per qualsiasi motivo.
La vera questione di dibattito sta nei dettagli più fini dell’MSP: una cosa è offrire un MSP, l’altra cosa è che la Food Corporation of India (FCI), istituzione che acquista le materie prime – debba acquistare i prodotti dai contadini. Se la FCI non acquista i prodotti, a cosa serve l’MSP? Lo Stato può offrirti una certa somma di denaro, ma se poi non ti compra lo strumento diventa sostanzialmente inutile.
Se non guardiamo al grano e al riso, ma alle quantità acquistate dal Governo per gli altri dodici raccolti, ci rendiamo conto del quasi totale annullamento della norma – il Governo acquista meno del 5% del totale di questi altri raccolti. Inoltre, solo in alcuni stati – quelli produttori di grano come Punjab, Haryana, Bengala Occidentale e Uttar Pradesh – esiste ancora un solido sistema di approvvigionamento tramite i mandis (mercati statali), poiché le riforme del 1991 e del 2002 sono state arginate dall’azione protezionista dei Governi locali.
La prima cosa che chiedeva il Samyuk Kisan Morcha era che stati e mandis iniziassero a comprare in modo davvero sostanziale, e non in quantità misere. Ciò che ha detto il SKM e ciò che dovrebbe essere fatto è garantire un approvvigionamento di tutto ciò che viene prodotto: il governo dovrebbe essere in grado di acquistare tutto ciò che l’agricoltore porta sul mercato.
Il governo ha posto tante obiezioni alla questione. Noi abbiamo un argomento molto semplice da sostenere: l’India è al 116° posto nell’indice della malnutrizione globale, siamo una nazione estremamente povera: anche se si dovesse semplicemente consegnare i cereali ai poveri, anche in questo caso ciò non sarebbe sufficiente. Il contro argomento utilizzato dal Governo è che non ci sono risorse sufficienti nelle casse pubbliche per finanziare una manovra di questo tipo. Bene, se si disponesse di una tassa progressiva e se si avesse una tassa sull’1% dei cittadini, si riuscirebbe a sovvenzionare l’intero sistema alimentare per molti anni. Se si ha la volontà politica si possono fare molte cose.
La seconda cosa che abbiamo detto è che la tariffa offerta, qualunque essa sia, è inferiore al costo di produzione.
Qui entra in gioco la Commissione per i costi e i prezzi agricoli (CACP=, una vecchia istituzione nata quando c’era il welfare state, che ha una funzione consultiva nella determinazione dei costi di produzione sostenuti dai coltivatori per i particolari tipi di raccolta e per ogni stagione agricola – l’India ne ha due, la stagione dei monsoni e quella invernale. Quello che viene fuori da questo calcolo è quello che noi definiamo come MSP di tipo borghese, poiché non comprende l’ammortamento dei macchinari e l’affitto della terra e determina un costo di produzione molto più basso del reale. Da questo il governo decide il MSP per i prodotti agricoli.
Esiste un altro modo in cui è possibile calcolare l’MSP. Sorprendentemente, anche l’istituto fa i conti in questo modo, ma non li rende mai pubblici. Questo è quello che chiamiamo costo C2. Il C2 comprende l’ammortamento dei macchinari, il costo di semi e fertilizzanti, e l’affitto del terreno. Qualunque sia l’MSP, dovrebbe essere superiore del 50% rispetto al costo di coltivazione quando viene calcolato in base a C2. In tal caso l’MSP è sostenibile per gli agricoltori. Quello per cui stiamo lottando per un MSP migliore, un MSP più legittimo, calcolato sul costo effettivo di tutte le fasi della produzione e non sul costo per stagione.
Agli occhi dell’agricoltore questa chiarezza tra MSP e C2 non c’è, ed è proprio questo che il movimento è riuscito a dare una certa coscienza politica ai contadini.
Sono stato in alcuni villaggi con l’AIKS per chiedere agli agricoltori quali erano i loro costi di produzione, ma abbiamo scoperto che non fanno questi conti. Un agricoltore medio non ha un tavolo, non tiene un registro dei costi che sostiene; a volte sono analfabeti e, anche se hanno un’alfabetizzazione, non sono molto interessati a contare quanto spendono per la propria attività. Questo movimento è stato in grado di dare coscienza politica all’agricoltore comune.
Ci sono state ulteriori richieste?
C’erano una serie di richieste, come il tentativo di pubblicizzare l’elettricità, stoppare gli sconti alle grandi aziende private che il governo cercava di nascondere. Queste norme collaterali, assieme all’insostenibilità dei costi di produzione, hanno portato all’incremento dei suicidi compiuti dagli agricoltori negli ultimi due decenni, soprattutto negli ultimi dieci anni di governo Modi. C’erano una serie di richieste simili. Il governo dice ogni volta che costituirà un comitato per scoprire qualcosa di nuovo dopo la sua deliberazione.
Inoltre, il governo non ha inserito rappresentanti del nostro sindacato e nemmeno di altri sindacati, ma rappresentanti di sindacati che non partecipavano nemmeno al movimento, come i sindacati che sostengono il governo. Nel gergo indiano questa è una valvola di sicurezza che sospende la protesta, ti fa tornare a casa, libera le autostrade e poi ci ritroviamo allo stesso punto di partenza. Sapevamo già che l’esito del comitato sarebbe stato insufficiente, ma abbiamo detto, va bene, ma sapendo che se tradisci gli agricoltori, questo avrà un esito politico. Per questo nel 2022 ci sono stati una serie di grandi raduni.
Rispetto alla struttura dell’AIKS, quali sono le categorie maggiormente rappresentate? L’AIKS è composta principalmente da piccoli agricoltori, affittuari, contadini o contadini ricchi?
Non siamo in alcun modo il sindacato dei proprietari. I nostri militanti sono soprattutto braccianti agricoli, piccoli e medi agricoltori alleati con i contadini ricchi, ma nonostante questo per noi l’avanguardia deve essere costituita dai piccoli contadini, perché rappresentano il 95% dei contadini indiani. Per piccoli contadini intendiamo persone che possiedono un acro o meno; inoltre, questi lavorano anche nei campi di altre persone per poter raggiungere un reddito sostenibile. In questo senso c’è molta semi-proletarizzazione nel settore agricolo.
Quando abbiamo aderito al movimento, abbiamo avuto dubbi sulla partecipazione perché all’inizio il movimento era per lo più sovrarappresentato da grandi agricoltori che si erano uniti al movimento per preservare e aumentare i loro profitti. Ogni volta che si unisce un grande sindacato di agricoltori, fa molta confusione perché loro hanno risorse, hanno trattori e molti altri mezzi che i piccoli agricoltori non hanno. Inizialmente avevamo paura che questa rappresentazione avrebbe comportato l’abbandono del movimento da parte di braccianti e piccoli proprietari.