Il nuovo saggio di Pasquale Tridico “Governare l’economia. Per non essere governati dai mercati”[1] è prima di tutto un libro-manifesto volto a spiegare il programma elettorale sull’economia del Movimento 5 Stelle per le elezioni europee del giugno prossimo. Ma è anche e soprattutto un libro – finalmente! – di sinistra, un libro dalla parte dei lavoratori; un saggio con idee progressiste e proposte innovative contro il decennale declino della società italiana e contro le diseguaglianze crescenti in Italia e in Europa: un saggio scritto in una prospettiva keynesiana, di giustizia sociale e, come dichiara lo stesso autore, di “riformismo radicale orientato al benessere collettivo più che alla ricchezza individuale”. Tra i maggiori punti di riferimento citati dall’autore – un economista che più volte si è occupato del tema delle grandi e crescenti diseguaglianze provocate dal capitalismo finanziario – sono Federico Caffè, Luciano Gallino, Papa Francesco, Robert Kennedy, Keynes naturalmente, Jean Paul Fitoussi, Mariana Mazzucato, Paolo Leon, Joseph Stiglitz, e Amartya Sen. I riferimenti di Tridico sono alti e assolutamente condivisibili, così come in linea di principio sono condivisibili le sue proposte: tuttavia come è ovvio anche questo lavoro si presta al dibattito e a osservazioni critiche che, chi scrive, esplicita nell’ultimo parte di questa recensione.
Tridico denuncia con forza il declino italiano derivato innanzitutto dai bassi salari, dal lavoro povero e precario, dalla compressione della domanda, e quindi dalla conseguente carenza di produttività e di investimenti del capitalismo nazionale, ormai molto povero di prodotti innovativi e in particolare di prodotti a alto contenuto di ricerca e di nuove tecnologie. Per l’economista italiano alzare i salari non è solo una questione, peraltro doverosa, di difesa del reddito dei lavoratori, ma è anche il presupposto per aumentare la domanda aggregata, e così fare crescere la produttività delle aziende – che sarebbero finalmente costrette a aumentare gli investimenti tecnologici per evitare gli aumenti del costo del lavoro –. In ultima analisi l’aumento dei salari farebbe innalzare i livelli di competitività delle industrie nazionali, e anche i livelli occupazionali del sistema Italia.
Tridico denuncia il disastro decennale dell’economia italiana, che è diventata una “economia da bar a scarsa innovazione, in grado di sopravvivere grazie alla svalutazione del lavoro e a bassi salari piuttosto che a investimenti diffusi in innovazione, incapace di generare valore aggiunto. Ciò è alla base della scarsa crescita della produttività in Italia”. L’economia da bar in cui da almeno trenta anni è gradualmente precipitata l’Italia – cioè da quando è nato e cresciuto il berlusconismo e da quando ci siamo legati a Maastricht e abbiamo avviato le conseguenti privatizzazioni delle grandi industrie e dei servizi pubblici (vedi la completa dismissione dell’IRI, di società avanzate come Telecom Italia, la cessione delle banche pubbliche nazionali) – è una economia fondata, con eccezioni ovviamente più o meno rilevanti, su industrie e servizi a basso valore aggiunto, come per esempio nei settori di turismo e ristorazione.
“Negli ultimi due decenni il numero di occupati si è attestato intorno a 23 milioni di lavoratori, e nessuna riforma ha aumentato il tasso di occupazione che in media è intorno al 59%. Anche l’incremento del tasso di occupazione dal 59 al 61% nel periodo post-covid è stato frutto unicamente di un effetto statistico dovuto alla riduzione della popolazione in età attiva tra i 15 e 65 anni, per via del calo demografico pari a 800.000 unità. Gli investimenti, al netto di quelli previsti dal PNR, sono scesi del 25 per cento negli ultimi due decenni, inclusi quelli provenienti dall’estero. La produttività è stagnante da un quarto di secolo”.
L’economia della precarietà ha creato i working poors, schiere di lavoratori che lavorano a gettone, oppure che, pure avendo un lavoro fisso, non riescono a fare quadrare i conti alla fine del mese; l’economia da bar ha prodotto la polarizzazione e l’impoverimento del ceto medio, dei lavoratori professionali che spesso guadagnano meno dei lavoratori dipendenti. “Il lavoratore è soggetto a una mercificazione continua, a una aleatorietà che rende impossibile ogni progettualità di vita e serenità professionale”. Occorre quindi riformare il mercato del lavoro. Queste riforme non possono però aumentare l’occupazione, ricorda giustamente Tridico, smentendo così le roboanti e mistificanti promesse che hanno caratterizzato controriforme proclamate come salvifiche, come il Jobs Act: infatti solo la crescita degli investimenti può aumentare l’occupazione. Quello che invece le riforme del mercato del lavoro possono fare – spiega Tridico – è incentivare i contratti di lavoro a tempo indeterminato o invece, al contrario, quelli a termine; è dare, o invece ritirare, la dignità al lavoro. I governi Conte, a differenza dei governi passati e del governo Meloni, hanno cercato di contrastare l’austerità, la compressione dei salari e la precarietà, e, con il Decreto dignità, il Reddito di Cittadinanza e il Decreto Riders, hanno puntato a ridare dignità al lavoro. Con il governo Meloni continua invece un modello di crescita basato sullo sfruttamento, sulla compressione dei costi del lavoro e quindi della domanda: da qui i risultati poco soddisfacenti dell’economia. Eppure il governo Meloni gode dell’enorme vantaggio di potere gestire in posizione centrale i 200 miliardi offerti dall’Unione Europea con il PNRR. In realtà, a parte la retorica governativa dell’Italia che crescerebbe (sempre secondo le bugie del governo) più degli altri paesi europei – cosa completamente falsa, perché Francia e Spagna crescono più dell’Italia – l’Italia continua a navigare a vista senza fare quel balzo in avanti che pure era stato promesso quando il PNRR venne avviato solo qualche anno fa.
Meloni ha bocciato il Reddito di Cittadinanza ma non è stato in grado di contrastare l’inflazione che in massima parte è inflazione dovuta alla crescita dei profitti, e non solo e non tanto all’aumento dei costi dell’energia e delle materie prime e alimentari, e tanto meno alla crescita dei salari. Si sa che il presidente del Consiglio Giorgia Meloni con un provvedimento estemporaneo ha cercato di tassare le banche, le uniche che hanno fatto profitti eccezionali grazie alla generosità della Banca Centrale Europea che ha concesso loro una remunerazione del 4% sui loro conti deposito presso la BCE stessa[2]. Ma poi Meloni ha prontamente fatto marcia indietro rimangiandosi la tassa: il governo di destra ha tolto il Reddito di Cittadinanza alla povera gente ma indietreggia di fronte alle banche che fanno extraprofitti grazie alla crisi!
Tridico indica come solo i governi Conte, andando in direzione opposta e contraria ai governi precedenti e a quello attuale, si sono posti tre obiettivi: il contrasto alla povertà; la riduzione della precarietà e della flessibilità lavorativa; la lotta al lavoro povero. I primi due obiettivi sono stati in buona misura centrati con l’introduzione del Reddito e della Pensione di cittadinanza e con l’approvazione del Decreto Dignità. Il terzo obiettivo, ovvero l’introduzione di un salario minimo legale, come noto non è stato invece ancora raggiunto per l’opposizione del governo Meloni.
Tridico difende con vigore i risultati raggiunti con il Reddito di Cittadinanza. Nei primi quattro anni di applicazione (aprile 2019- aprile 2023) il RdC ha raggiunto 2,5 milioni di nuclei familiari, ovvero circa 5,2 milioni di persone in totale con almeno una prestazione (3,9 milioni di individui nel picco del 2021), per un’erogazione totale di quasi 30 miliardi di euro, in media 8 miliardi all’anno. L’importo medio mensile per il 2022 è stato di 550 euro per nucleo familiare erogato a tutti coloro con un ISEE inferiore a 9360 euro e un reddito familiare minore di 6000 euro. Il 65% di nuclei percettori di reddito di cittadinanza è collocato al sud e nelle isole, il 21% al nord e il 14% nel centro. Il RdC è riuscito a diminuire la povertà a favore di milioni di famiglie e è stato assolutamente indispensabile durante la crisi del Covid. Ma è stato cancellato dal governo Meloni con la scusa che non ha procurato lavoro. Ma nessuna legge può creare magicamente lavoro, solo gli investimenti possono generare lavoro!
Il Decreto Dignità è stato un altro provvedimento del governo Conte in favore del lavoro: questo decreto ha posto dei vincoli per l’accesso al lavoro temporaneo introducendo l’obbligo di motivazione, modificando la durata dei contratti a termine da 36 a 24 mesi e riducendo i rinnovi da cinque a quattro.
Il salario minimo legale è stato promosso dai 5 Stelle, all’inizio è stato assurdamente e vergognosamente (affermazione mia) contrastato dai sindacati, e poi è stato infine accettato da CGIL e UIL e anche dal Partito Democratico di Elly Schlein. Ma naturalmente è tuttora bocciato dal governo Meloni. Nonostante che il salario minimo legale sia presente in 22 paesi della UE, in Italia non è ancora stato acettato. Tridico spiega che circa il 30% dei lavoratori guadagna meno di 1.200 netti al mese, corrispondenti a circa €9 lordi l’ora con un orario a tempo pieno. Secondo i dati INPS un salario minimo legale di almeno €9 l’ora porterebbe benefici a circa 4,2 milioni di lavoratori, per la maggior parte donne e giovani. L’indicizzazione del salario minimo all’inflazione stimolerebbe il rinnovo dei contratti collettivi scaduti da anni, e quindi avrebbe delle ricadute positive anche per coloro che si trovano sopra quella soglia minima; inoltre l’introduzione del salario minimo legale rappresenta una possibile soluzione a eventuali problemi di concorrenza sleale tra lavoratori italiani e stranieri. E darebbe una spinta molto importante ai salari medi stagnanti da 20 anni, ai consumi e alla domanda aggregata, sollecitando quindi nuovi investimenti e il capitale produttivo.
Tridico auspica una riduzione dell’orario di lavoro a parità di stipendio, anche perché in tutti i paesi occidentali avanzati si assiste a una riduzione quasi continua delle ore lavorate pro capite: in Francia per esempio i dati indicano che nel 2018 ogni lavoratore ha lavorato in media circa 29 ore alla settimana; in Italia si registra una riduzione da circa 36 ore nel 1995 a 33 ore settimanali nel 2018. I due paesi europei in cui si lavora di più, Italia e Grecia, rispettivamente con 33 e 38 ore settimanali, sono anche quelli caratterizzati dalla più bassa produttività del lavoro e da una minore occupazione. In Germania e in Danimarca, dove si lavora tra le 26 e le 27 ore settimanali, si registra anche il rapporto più elevato tra PIL e ore lavorate. In generale i Paesi in cui si lavora di più sono anche quelli dove si registra minore produttività del lavoro e dove i tassi di disoccupazione sono più elevati: occorre però accompagnare la riduzione degli orari di lavoro con la garanzia di mantenere i precedenti livelli salariali, anche perché l’intelligenza artificiale e i sistemi robotici e di automazione di fabbrica diminuiranno drasticamente l’occupazione in termini di ore lavorate (e contemporaneamente aumenteranno i profitti per gli azionisti).
In generale Tridico propone di contrastare l’impoverimento del lavoro grazie a una sorta di “economia pattizia”, ovvero un’economia regolata che riconosca il ruolo indispensabile della contrattazione e degli accordi tra sindacati, associazioni imprenditoriali e autorità pubbliche. Secondo Tridico la lotta all’inflazione non può avere successo aumentando i tassi di interesse, restringendo il credito e quindi frenando l’economia: per l’economista italiano “come è avvenuto in altri paesi, sarebbe opportuno introdurre politiche dei redditi e sottoscrivere un patto tripartito tra sindacati, imprese e governo che preveda: il contenimento dei prezzi da parte delle imprese; uno sforzo da parte dello Stato per far recuperare ai lavoratori il potere d’acquisto eroso dall’inflazione; incentivi alle aziende volti a favorire investimenti ad alto contenuto tecnologico”.
Fatta salva la centralità dei contratti nazionali di lavoro, Tridico propone un “patto per la produttività”: secondo l’economista occorre “incentivare la programmazione della produttività, da effettuarsi con cadenza biennale, al secondo livello, con una verifica ex post affidata alle istituzioni locali…Le imprese che aumentano la produttività in linea con gli obiettivi prefissati al secondo livello di contrattazione con le parti sindacali otterranno una diminuzione delle tasse e contributi del salario variabile che distribuiranno al secondo livello…; le imprese che non aumentano la produttività secondo gli obiettivi programmati non potranno accedere a defiscalizzazione dei contribuzione”. e perderanno la quota del salario variabile (comunque da elargire); un’agenzia territoriale indipendente, nominata dal Ministero del Lavoro su scala provinciale, valuterà il raggiungimento degli obiettivi di produttività e la distruzione e la distribuzione delle quote salario”.
Tridico, che notoriamente è stato presidente dell’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale dal 2019 al 2023, nel suo libro indica anche le linee guida fondamentali per una riforma pensionistica. Lascio ai lettori l’impegno di leggere ciò che Tridico propone per rendere sostenibile e valido il sistema pensionistico italiano, fortemente minacciato dal calo demografico e dal declino del numero degli occupati che dovranno reggere il regime delle pensioni per le prossime generazioni. E’ chiaro però che la questione delle pensioni è strettamente collegata alla questione fiscale.
Tridico in questo senso fa delle proposte che mi appaiono assolutamente efficaci e valide: per esempio la necessità di introdurre una tassa patrimoniale nella UE dello 0,1% per i patrimoni superiori ai 5,4 milioni di euro. Secondo Tridico questa tassa porterebbe 15 miliardi di euro all’anno nelle casse dello Stato italiano. Soprattutto la UE dovrebbe imporre una tassa minima alle multinazionali in base ai ricavi che ottengono nei singoli paesi. Tridico denuncia il fatto che “in Italia il gettito delle società di capitali è passato dal 3,5% del PIL nel 1991 al 2,2% nel 2022 con una perdita di gettito calcolato a tassazione costante di circa 20 miliardi di euro annui in media, ovvero di circa 450 miliardi di euro nell’intero periodo… In tutti i paesi avanzati si è verificato una riduzione costante della quota salari sul PIL, in Italia passata da circa il 70% a circa il 60%, causando una perdita del monte salari vicino ai 150 miliardi di euro nella composizione del PIL”. Tale quota persa dal lavoro è andata a beneficio non solo e non tanto dei profitti ma soprattutto delle rendite finanziarie. Plusvalenze e rendite finanziarie sono tassate meno del lavoro. E’ il lavoro dipendente che sopporta il maggiore peso fiscale, anche in relazione al lavoro autonomo, che, grazie al governo Meloni, beneficia di aliquote più leggere sul reddito. Secondo Tridico occorrerebbe tassare non tanto il lavoro ma piuttosto i ricavi e gli utili delle grandi corporation, in particolare delle corporation digitali che hanno un bassissimo livello di occupati, che quasi sempre pagano le tasse solo nei paradisi fiscali, e che quindi pagano imposte irrisorie rispetto alle enormi entrate che ottengono. Tridico non menziona i paradisi fiscali che esistono anche dentro l’Unione Europea– vedi i casi di Irlanda, Lussemburgo, Olanda, Cipro, Malta -: tuttavia afferma giustamente che se si riuscisse a applicare una tassa sulle multinazionali allora si potrebbe facilmente finanziare un reddito minimo universale europeo superiore alla soglia di povertà relativa in ogni Stato membro. L’economista dei 5 Stelle auspica “un reddito di cittadinanza europeo, ovvero un meccanismo automatico di stabilizzazione finanziato centralmente da un bilancio europeo a cui partecipano gli stati membri sulla base del rispettivo peso economico.” E’ chiaro che solo con strumenti di questo tipo sarebbe possibile che i cittadini italiani, francesi o tedeschi o di qualsiasi altra nazione della UE si sentissero finalmente anche cittadini europei.
L’economista italiano propone altre riforme dell’Unione Europea: propone che la BCE, al pari della Federal Reserve, la banca centrale americana, abbia come obiettivo strategico non solo di mantenere la stabilità dei prezzi ma anche quello di puntare alla piena occupazione e allo sviluppo economico complessivo. Secondo Tridico occorre che gli investimenti pubblici, almeno quelli per la transizione energetica e per il digitale, siano esclusi dal computo dei disavanzi di bilancio degli Stati dell’UE. Sarebbe inoltre necessario aumentare l’integrazione nel campo della ricerca pubblica europea e fondare un’agenzia europea per i farmaci e i vaccini: Tridico propone infine di istituire un bilancio centrale europeo di almeno il 5% del PIL dell’UE che diventi progressivamente il 10%. L’economista italiano cita Giuseppe Mazzini quando indica la sua visione dell’Europa come una “patria comune di nazioni indipendenti unite da libertà e diritti condivisi”. Secondo Tridico: “la soluzione (alla crisi della UE, NdR) va cercata in una maggiore integrazione che la pandemia del Covid-19 ha suggerito non solo come antidoto alla crisi, ma anche come prospettiva di difesa contro le minacce globali di tipo geopolitico, economico o climatico, difficile da affrontare efficacemente a livello nazionale”. Il Green New Deal andrebbe finanziato tramite la creazione di una Banca Europea per lo Sviluppo e la Transizione ecologica (BEST) estendendo il mandato della Banca Europea degli Investimenti. L’obiettivo della Best sarebbe quello di riportare in Europa alcune filiere strategiche, come la produzione di batterie, di pannelli solari, di pompe di calore e di auto elettriche, e di sostenere i progetti delle startup innovative. L’Europa deve infatti recuperare un grande – e tuttora crescente – gap nei confronti degli Stati Uniti e della Cina per quanto riguarda gli investimenti sulle tecnologie rinnovabili, e in generale per quanto riguarda le tecnologie di frontiera. Secondo Tridico, la nuova Unione Europea che uscirà dalle elezioni del giugno prossimo dovrebbe integrare le politiche di sviluppo economico con quelle del lavoro, salvaguardare la sostenibilità sociale e contrastare la dipendenza strategica dell’Europa nei settori green e digitale. Per Tridico è infatti indispensabile accrescere la capacità produttiva e innovativa europea e nazionale per ridurre le forti attuali dipendenze esterne verso Cina e Stati Uniti.
Tridico meritoriamente auspica anche l’introduzione e la diffusione di forme di democrazia economica – e questa è una questione fondamentale che però purtroppo la cultura economica e politica italiana tende colpevolmente a ignorare -. In particolare sembra favorevole alle forme di profit sharing che caratterizzano alcune esperienze francesi: personalmente sono invece contrario a forme di profit sharing aziendali che coinvolgono i lavoratori nella ricerca del profitto aziendale e che generano inevitabilmente delle divisioni all’interno della classe lavoratrice, dal momento che alcune aziende possono presentare dei profitti ma altre no. A mio parere l’esperienza da seguire è invece quella della Mitbestimmung tedesca: in Germania nelle medie e grandi aziende i lavoratori hanno diritto di eleggere fino a metà dei rappresentanti del Consiglio di Sorveglianza, mentre l’altra metà più uno, cioè il presidente del Consiglio, è nominata dagli azionisti. I rappresentanti dei lavoratori siedono nei Consigli di Sorveglianza che approvano i bilanci dell’impresa, ne definiscono le strategie, deliberano sulle operazioni straordinarie (fusioni, cessione di rami di azienda, ecc) e approvano le nomine del Consiglio di Gestione. Quest’ultimo è composto invece solo da manager e è responsabile della conduzione operativa dell’azienda. I lavoratori tedeschi, oltre ad avere uno strumento sindacale autonomo in azienda, grazie alla Mitbestimmung hanno quindi un peso assolutamente rilevante nella definizione delle strategie aziendali, senza però in alcun modo partecipare alla spartizione degli utili d’impresa. Questo a mio giudizio è il modello da seguire concretamente in Italia e in tutta Europa[3].
Esistono almeno due questioni di prima grandezza che a mio parere Tridico nel suo saggio non affronta: la questione della crisi dell’Europa dell’euro e del Trattato di Maastricht; e il problema del debito pubblico italiano e della possibilità che l’Italia non riesca più a servirlo. L’Italia pagherà nei prossimi tre anni circa 95 miliardi all’anno per pagare gli interessi del debito pubblico, mentre è già previsto che il debito – che ha già raggiunto il 140% circa del PIL – cresca ancora. Nonostante la retorica dell’ottimismo da parte del governo Meloni, la situazione dell’Italia è oggettivamente quasi fallimentare. Di fronte al versamento di circa 100 miliardi all’anno ai mercati finanziari, e di fronte al possibile, se non probabile, fallimento dell’Italia, anche le prospettive di riforma suggerite da Tridico sembrano diventare irrealistiche. Sembra impossibile che l’Italia possa crescere e riformarsi all’interno del vincolo del debito e dei deficit posti dal nuovo Fiscal Compact (che giustamente Tridico critica) e da Maastricht. E’ difficile ignorare questi nodi: senza affrontarli ogni progetto potrebbe diventare irrealizzabile.
Inoltre personalmente sono molto critico rispetto alla proposta di Tridico di avanzare nell’integrazione europea con questa UE: il Trattato di Maastricht, fondato sulla più estrema ideologia liberista, sulla più completa deregolamentazione del mercato dei capitali e del lavoro, sul rifiuto assoluto dell’intervento pubblico nell’economia – considerato come intromissione indebita nei confronti dei mercati – non permette a mio parere alcuna possibilità di riformare radicalmente il regime europeo, come invece sarebbe assolutamente necessario. Non si può ignorare che le istituzioni europee – a parte il parlamento UE, che però conta poco – non sono democratiche, non sono elette e non rispondono ai popoli europei. I paradisi fiscali che esistono nella UE non consentono nessuna possibilità di impostare delle vere riforme fiscali in Europa. Colpisce che Tridico non affronti questi nodi e dia per scontata la possibilità di riformare la UE mentre questa ha imposto il pareggio di bilancio addirittura in Costituzione, ovvero ha sancito formalmente l’impossibilità degli Stati di fare degli investimenti pubblici a favore delle presenti e future generazioni. E’ chiaro che senza affrontare questi nodi qualsiasi proposta di riforma in Europa, e anche in Italia, rischia di diventare velleitaria e illusoria.
Ancora una notazione e un suggerimento: i lettori si chiederanno cosa pensa Tridico della questione dei superbonus edilizi, che pure sono stati uno degli elementi portanti della manovra economica del governo Conte e che pure, nonostante gli evidenti e gravi problemi di progettazione e di applicazione, hanno contribuito a risollevare l’economia italiana nel periodo post-Covid. Tridico però su questo strumento non si pronuncia.
Infine il suggerimento. Tridico suggerisce giustamente l’indicizzazione all’inflazione del salario minimo garantito per legge che i 5 Stelle e il PD meritoriamente propongono. Ma il salario minimo garantito riguarderebbe una platea di circa 4 milioni di lavoratori poveri: l’inflazione invece colpisce tutti i 24 milioni di lavoratori italiani con un impiego, e tutti i cittadini e le cittadine. A mio parere sarebbe quindi necessario che le forze politiche e sindacali chiedessero con forza un sistema di indicizzazione dei salari che porti alla compensazione automatica ex post del continuo aumento dei prezzi. L’inflazione oggi è soprattutto una inflazione da profitto, come giustamente indica Tridico: la richiesta di indicizzazione per recuperare potere d’acquisto sarebbe dunque non solo assolutamente legittima ma incontrerebbe il favore di milioni di lavoratori, e quasi certamente godrebbe del consenso della maggioranza degli italiani[4]. Il partito che proponesse l’introduzione di una “scala mobile” degli stipendi per bilanciare la riduzione dei redditi rispetto all’inflazione conquisterebbe molto probabilmente un largo consenso perché il carovita è il problema attualmente più sentito dalla grande maggioranza delle persone.
[1] Pasquale Tridico “Governare l’economia. Per non essere governati dai mercati”, con prefazione di Giuseppe Conte. Castelvecchi editore, 2024
[2] Enrico Grazzini “La Bce e i 152 miliardi di extra-profitti per le banche dell’eurozona” Micromega, 5 Marzo 2024
[3] Enrico Grazzini “Manifesto per la democrazia economica”, Castelvecchi, 2014
[4] Enrico Grazzini “Extraprofitti e speculazione stanno strozzando i lavoratori: serve una nuova scala mobile”. Micromega, Novembre 9, 2023