Ci sono Coca-Cola, Pepsi, Nestlé, Danone e tanti altri. Meno di 60 multinazionali sono responsabili di quasi la metà dell’inquinamento mondiale di plastica, tra cui 6 aziende che da sole rappresentano un quarto del totale: è ciò che emerge da un nuovo studio condotto da un team internazionale di scienziati tra cui alcuni appartenenti ad organizzazioni senza scopo di lucro. La ricerca, già sottoposta a revisione paritaria e pubblicata sulla rivista scientifica Science Advances, si è basata sul lavoro di decine di migliaia di volontari che hanno analizzato da spiagge, parchi e fiumi quasi 2 milioni di rifiuti di plastica raccolti in 84 paesi diversi per un periodo di 5 anni. Si tratta di una ricerca che punterà la lente d’ingrandimento sulla plastica monouso e sulle strategie di riciclaggio delle multinazionali in quanto, secondo le analisi dello studio, esiste una correlazione con diretta proporzionalità tra la produzione annuale di plastica delle aziende e la frequenza del loro marchio rilevato tra i rifiuti rinvenuti. «Dobbiamo compiere uno sforzo titanico», ha affermato Win Cowger, autore principale dello studio e ricercatore presso il Moore Institute for Plastic Pollution Research.
Un team internazionale composto da oltre 100.000 volontari ha raccolto ben 1.870.000 rifiuti di plastica in 84 paesi in cinque anni, dei quali la maggior parte erano imballaggi monouso per alimenti, bevande e prodotti legati al tabacco. Dei quasi 2 milioni di oggetti reperiti da parchi, spiagge e corsi d’acqua, circa 910.000 avevano marchi ancora visibili e sono stati perciò classificati: metà della plastica proveniva da sole 56 multinazionali, tra cui The Coca-Cola Company (11%), PepsiCo (5%), Nestlé (3%), Danone (3%) e Altria (2%) che da sole rappresentavano quasi un quarto del totale. Inoltre, i ricercatori hanno scoperto che esiste una relazione diretta tra la produzione di plastica annuale di un’azienda e la frequenza con cui sono stati ritrovati i suoi prodotti: gli autori hanno spiegato che se PepsiCo, per esempio, producesse l’1% della massa di plastica mondiale, allora la frequenza dei rifiuti di PepsiCo ritrovati sarebbe circa dell’1%, aggiungendo che tale fenomeno potrebbe dimostrare che gli sforzi di riciclaggio e di gestione dei rifiuti non bastano per contenere il problema della plastica: «Molte di queste aziende in realtà hanno programmi in atto per recuperare i propri rifiuti dall’ambiente o impedire che finiscano lì. E quello che stiamo vedendo è che questi non sono realmente efficaci», ha dichiarato Neil Tangri, coautore della ricerca e direttore scientifico e politico della Global Alliance for Incinerator Alternatives, un’organizzazione che promuove la ricerca di soluzioni all’inquinamento. «È una specie di mio peggior incubo. Significa che per risolvere il problema dell’inquinamento da plastica, dobbiamo cambiare radicalmente il modo in cui operiamo come società», ha aggiunto Cowger.
D’altra parte, «l’industria preferisce attribuire la responsabilità ai singoli individui», ha affermato il coautore Marcus Eriksen, che ha aggiunto: «Ma vorremmo sottolineare che sono i marchi, è la loro scelta per il tipo di imballaggio e per l’adozione di questo modello usa e getta di consegna dei loro prodotti. Questo è ciò che causa la maggiore abbondanza di spazzatura». Alla richiesta di commento inoltrata da The Guardian, The Coca-Cola Company ha risposto promettendo l’impegno di rendere riciclabile il 100% degli imballaggi entro il 2025, Danone e Nestlé hanno affermato di aver ridotto significativamente l’utilizzo di plastica e di sostenere programmi per la raccolta e riciclaggio di rifiuti mentre altre due aziende hanno contestato l’accuratezza dei dati raccolti. Tuttavia, gli esperti che hanno realizzato la ricerca hanno affermato che tali strategie non sono sufficienti e tali preoccupazioni sembrano sostenute dai dati: la produzione di plastica è raddoppiata dagli inizi del 2000 e alcuni studi mostrerebbero che solo il 9% della plastica viene effettivamente riciclato. Infine, diversi gruppi dell’industria della plastica sostengono che il materiale contribuisce a rilanciare l’economia globale e che i limiti alla produzione colpirebbero in modo sproporzionato le persone a basso reddito mentre, d’altra parte, gli scienziati affermano che senza limiti alla produzione la plastica continuerà ad accumularsi nell’ambiente e nel corpo umano: «È stato lo status quo per molto tempo. E ovviamente non funziona», ha concluso Cowger.
[di Roberto Demaio]