Ha ufficialmente preso il via al Tribunale di Firenze l’udienza preliminare del processo “Keu”, inerente a quello che potrebbe rivelarsi uno dei casi più importanti di inquinamento ambientale della storia della regione Toscana. Il processo sfocia dall’omonima inchiesta che ha preso il via quattro anni fa e che, all’inizio di quest’anno, ha portato la Direzione Distrettuale Antimafia di Firenze a chiedere il processo per 24 persone tra imprenditori, politici locali e dirigenti pubblici per lo smaltimento in 13 diversi siti toscani di tonnellate di residuo di produzione proveniente dal trattamento dei fanghi prodotti dalla concia delle pelli. Il Keu, appunto, sostanza contenente metalli pesanti che a determinate condizioni ambientali produce elementi cancerogeni. Secondo i pm, ad occuparsi dello smaltimento erano aziende considerate legate alle cosche di ‘ndrangheta. E, mente sono una sessantina tra persone fisiche, Comuni, sigle sindacali e associazioni le entità che hanno chiesto di costituirsi parte civile, spicca l’assenza tra le loro file del Ministero dell’Ambiente.
Tra gli imputati ci sono, tra gli altri, il sindaco di Santa Croce sull’Arno, Giulia Deidda, il consigliere regionale del Partito Democratico Andrea Pieroni, il funzionario regionale dell’ambiente Edo Bernini, l’ex capo di gabinetto della Presidenza della Regione Toscana Ledo Gori, nonché i vertici delle associazioni di conciatori di Santa Croce e del consorzio Aquarno, alcune imprese del distretto orafo aretino e imprenditori che sarebbero collegati alla mafia calabrese. Sono accusati a vario titolo di associazione a delinquere, abuso d’ufficio, corruzione elettorale, corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, falso e gestione abusiva di rifiuti. Secondo quanto ricostruito dalla Direzione Distrettuale Antimafia, il keu – ovvero le ceneri inquinanti derivanti dalla combustione dei rifiuti conciari – non sarebbe finito soltanto nelle attività edilizie, ma anche nel rilevato stradale della strada provinciale aretina n.7 e della strada regionale 429 della Val d’Elsa, sita tra Empoli e Castelfiorentino (Firenze). Qui, infatti, sarebbero state illegalmente smaltite circa 8mila tonnellate del materiale. Ad avere un ruolo cardine, sarebbero stati gli impianti di smaltimento di Francesco Lerose, imprenditore reputato dai pm contiguo alla cosca Gallace di Guardavalle. I magistrati hanno evidenziato che lo smaltimento illecito del keu avrebbe permesso notevoli risparmi, provocando un taglio dei costi di oltre 24 milioni di euro.
Come messo nero su bianco dalla Procura di Firenze, l’inchiesta ha permesso di svelare “una prassi abusiva particolarmente pericolosa e dannosa per l’ambiente, ovverosia quella di declassificare i rifiuti pericolosi e le ceneri dei fanghi di depurazione contaminati, facendoli figurare come se fossero rifiuti recuperabili nella lavorazione di materiali inerti per l’edilizia”. In tal modo, si consentiva “un occultamento dei rifiuti più inquinanti provenienti dal comparto conciario (ceneri contaminate da elevatissime concentrazioni di cromo) e dal comparto orafo (fanghi cancerogeni ed ecotossici contaminati da arsenico, boro, selenio)”, causando “anche gravi eventi di inquinamento ambientale”, dal momento che quei rifiuti venivano “ceduti a terzi ignari e utilizzati come materie prime in terreni agricoli, in fondazioni per attività edilizie residenziali, in ripristini ambientali, in opere infrastrutturali, quali strade e aeroporti”. La gravità dei fatti oggetto di contestazione, spiega ancora la Procura “emerge anche da preoccupanti risultati delle analisi delle acque di falda che risultano essere state a contatto con tali rifiuti”. Ad ogni modo, sebbene i siti in cui gli investigatori hanno accertato lo sversamento siano 13 in tutta la Toscana, le indagini della Dda sarebbero nel frattempo andate avanti, includendo una sessantina di altri luoghi potenzialmente oggetto di sversamento e di contaminazione da keu.
Tra le molte richieste di parti civili, ci sono anche quelle di Legambiente, del Movimento Consumatori e di Libera. «Mi aspetto una presa di coscienza e di posizione da parte degli organismi come Confindustria – ha dichiarato Don Alberto Bigalli, in rappresentanza dell’Associazione di Don Luigi Ciotti –, che deve pronunciarsi con maggiore chiarezza e prendere provvedimenti. Se il castello accusatorio resta in piedi è un elemento su cui destrutturare il pericolo di una realtà del genere perché la triangolazione tra imprenditoria, malavita organizzata di stampo mafioso e mondo politico è uno dei pericoli più grossi che stiamo correndo in questa regione». Bersaglio delle critiche delle associazioni presenti in Aula è stato, in particolare, il Ministero dell’Ambiente, che pure era stato individuato tra le parti lese, che non ha chiesto di costituirsi parte civile. «Abbiamo verificato quante parti civili ci saranno. La non costituzione di parte civile del Ministero dell’Ambiente, disturba molto», ha detto sommessamente Enza Rando, avvocata di Libera. La stessa scelta è stata fatta dal Comune di Santa Croce, la cui sindaca rischia di andare a processo. Il gup Gianluca Mancuso deciderà in occasione della prossima udienza, fissata per il 7 giugno, se ammettere al processo le presunte parti offese e danneggiate che hanno intenzione di chiedere il risarcimento dei danni.
[di Stefano Baudino]