In Italia procede senza sosta la ribattezzata «Intifada studentesca», e spuntano ogni giorno nuove tende da nord a sud per chiedere uno stop ai rapporti istituzionali con Israele in nome del sostegno alla causa palestinese. A poco più di dieci giorni dalla prima «acampada» italiana, il fenomeno ha vissuto una esplosione di consensi in risposta all’appello lanciato dal gruppo dei Giovani Palestinesi, che ha chiamato una mobilitazione nazionale da fare simbolicamente conflagrare nella giornata di ieri, in occasione dell’anniversario della nakba (il primo esodo forzato che i palestinesi subirono nel 1948). Di fronte alle numerose contestazioni, il Governo sembra essere sotto scacco, tanto che le linee emerse dall’incontro tra il Comitato Nazionale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica e la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane sembrerebbero per ora essere rivolte a un contenimento delle manifestazioni.
La prima acampada studentesca italiana è arrivata a Bologna lo scorso 5 maggio, sulla scia delle analoghe contestazioni sorte in tutto il mondo e inaugurate dai campus statunitensi. In pochi giorni questa forma di mobilitazione si è allargata anche a Roma e Napoli, e in seguito all’appello e alle richieste dei Giovani Palestinesi si è estesa a tutta l’Italia. A oggi risultano oltre 20 gli atenei in cui gli studenti hanno deciso di occupare le proprie sedi piantando le tende in sostegno alla Palestina; l’intifada studentesca ha infatti colpito anche le università di Milano (nello specifico la Statale, la Bicocca, il Politecnico e l’Accademia di Brera), Torino (Politecnico e Statale), Bari, Bergamo, Brescia, Catania, Firenze, Genova, Macerata, Padova, Palermo, Parma, Pisa, Siena, e Venezia. L’Indipendente sta seguendo da vicino le manifestazioni in corso in quest’ultimo ateneo, di cui gli studenti hanno occupato tanto la sede amministrativa (il rettorato) quanto quella didattica (presso San Sebastiano), simboli rispettivamente del potere dall’alto e della costruzione del sapere. Entrambe le occupazioni sono iniziate lunedì 13 maggio, e in totale tra l’una e l’altra sede si sono mobilitati oltre 200 studenti. In generale le mobilitazioni dell’università stanno trovando sostegno anche da alcuni professori.
Le rivendicazioni dei due gruppi di studenti veneziani sono in linea con quelle avanzate nelle altre università italiane: la richiesta di una decisa condanna del genocidio del popolo palestinese da parte dell’Università, l’interruzione dei rapporti di scambio con le omologhe istituzioni israeliane, e lo stop ai progetti con tutte quelle realtà che hanno a che fare con il reparto bellico, nell’ottica di una reale smilitarizzazione dell’istituzione e della costruzione di una Università autonoma e autenticamente «anti-colonialista». Proprio relativamente a quest’ultimo punto, alle rivendicazioni degli studenti italiani si aggiungono anche le richieste di dimissioni dei rettori che fanno parte di Med’Or dal loro posto nella fondazione di Leonardo, in quanto principale polo di produzione ed esportazione bellica del Paese.
L’Intifada studentesca va avanti da settimane, e ha ormai assunto i connotati di un movimento globale. In Italia la “mobilitazione dei saperi” è iniziata attorno alla metà di novembre. Poco dopo la metà di marzo, a Torino c’è stato il primo caso di approvazione di una mozione che sospende la partecipazione di una università al bando MAECI per la collaborazione con le università israeliane, e qualche giorno dopo tale soluzione è stata approvata anche dalla Normale di Pisa, cui studenti si sono raccontati a L’Indipendente. Nel mondo, dopo le proteste studentesche statunitensi analoghi campi sono sorti in ogni angolo del pianeta, arrivando in Canada, Messico, Australia, e Medioriente. Anche l’Europa sta venendo particolarmente colpita da questa nuova ondata di contestazioni, e sono sorti campi nel Regno Unito, in Francia, in Spagna, in Germania e in numerosissimi altri Paesi del vecchio continente.
[di Dario Lucisano]