E’ veramente possibile una guerra aperta tra l’Europa e la Russia?

 di Pasquale Vecchiarelli e Agnese Tonetto  

L’inasprirsi dei toni fra i leader politici delle potenze in conflitto sul fronte russo-ucraino, ed in particolare la minaccia di Macron di inviare truppe francesi a sostegno dell’Ucraina, impone di valutare se effettivamente ci siano le condizioni reali per poter perseguire simili intenti e giungere così ad una escalation che vedrebbe l’UE direttamente e apertamente confrontarsi militarmente con la Russia. È necessario definire se materialmente sussistano le premesse oggettive e soggettive perché gli Stati europei possano ufficialmente entrare in guerra contro la potenza russa – ammesso che quello contro la Russia, e non uno scontro intereuropeo, risulti effettivamente il prossimo a realizzarsi. Questa guerra sembra essere in effetti quasi desiderabile agli occhi della  borghesia transnazionale, della quale un esponente è il prof. Monti, poiché (a suo dire) costituirebbe per il vecchio continente in declino un momento catartico, un Risorgimento 2.0. Senonché la potenza russa si avvale di una consolidata economia di guerra, una produzione massiccia e costante di armi dalle tecnologie all’avanguardia, e di un vasto esercito dalle dimensioni relativamente superiori (ma enormemente più omogeneo anche sul piano ideologico) rispetto a quello che gli europei riuscirebbero a racimolare sul proprio territorio. I paesi europei hanno speso moltissimo in armamenti togliendo risorse alla sanità, alla scuola ed in generale al salario, ma per quanto essi abbiamo speso ciò non è sufficiente per programmare una lunga guerra contro una grande potenze militare come la Russia [1]. Una guerra del genere infatti implicherebbe una radicale riconversione dell’intera economia al fine di orientarla secondo le necessità del conflitto bellico. Una tale riconversione al momento è solo nei piani e lungi dall’essere possibile in breve tempo tuttavia è necessario sottolineare, che anche ciò che oggi appare remoto come la possibilità di un riequilibrio sul piano militare tra il polo europeo e quello russo, nel giro di qualche anno (almeno un quinquennio) non possa verificarsi. Se, come appare, gli Stati Uniti, con la probabile vittoria di Trump, si tirano fuori dalla contesa sul fronte Ucraino, allora per ovvie ragioni l’Unione Europea ed in particolare i paesi-guida come Germania, Francia e Italia non  potranno fare a meno di riconvertire la propria economia in economia di guerra. Ed è proprio proiettandosi su questo scenario possibile che approdiamo alle condizione soggettive per uno scontro aperto e diretto dei paesi del Vecchio Continente contro la Russia: ci chiediamo se è possibile convincere i popoli della vecchia Europa ad imbracciare la baionetta e andare a combattere  nelle trincee di Charkiv. Il prof. Monti in una recente -e terrificante – intervista rilasciata ad Aldo Cazzullo sulle pagine del Corriere della Sera, con un sorprendente ardimento garibaldino, giunge ad invocare il “bagno di sangue” quale catarsi necessaria della tragica costruzione europea. Secondo il professore, divenuto famoso non certo per le sue teorie economiche quanto per la sua spietata prassi politica tutta volta a scaricare la crisi capitalistica sulle classi povere, visto che con le buone non è stato possibile allora sarebbe giunto il momento, approfittando di una guerra alle porte, per creare, questa volta nel sangue, l’Europa (imperialista diremmo noi ossia gli Stati Imperialisti Uniti d’Europa). Rimandiamo agli studi già fatti  da Lenin riguardo l’impossibilità oggettiva degli Stati Uniti d’Europa, visto che tali potenze sono implicate in un contrasto immanente tra loro; anche sul piano soggettivo le cose non stanno certamente come molti opinion leader europeisti tentano di far apparire. Infatti, cultura Erasmus a parte, non si capisce quale dovrebbe essere il filo ideologico narrativo comune fra Europei, utile alla borghesia quale collante spirituale: tolto il Cristianesimo e una spruzzatina di fascismo, non si capisce bene perché un lavoratore italiano debba avere più cose in comune con un lavoratore filandese o con un operaio tedesco piuttosto che con uno russo o con uno turco. Stante questa evidente scollatura ideologica, l’esimio accademico individua nella guerra imperialista, tra democrazie e totalitarismi,  l’unica possibilità di costruire una narrazione unificante nel segno di uno spirito patriottico dove, in questo caso, la nuova patria nascente dovrebbe essere l’Europa! Ma il nostro non solo traccia  le linee del programma massimo, bensì scende nel dettaglio individuando anche la tattica necessaria; infatti egli propone il piano -sempre molto caro ai tecnocrati- del governo di unità nazionale (Giorgia-Shlein-Conte) quale condizione minima necessaria per preparare le condizioni materiali e spirituali della futura guerra! Non c’è che dire: prima ci ha impoverito e ora ci vuole portare in guerra! Davvero quest’uomo può pretendere la targa quale migliore e più fido leccapiedi delle componenti più retrive del capitale finanziario. Nemico assoluto delle classi subalterne. E’ chiaro che, come sosteneva Brecht, la storia si ripresenta come farsa, perchè è assolutamente arbitrario l’accostamento che lo stesso Monti fa tra il Risorgimento e questa fantomatica costruzione degli Stati Uniti D’Europa. Quasi come se fosse un Risorgimento in grande. L’epoca risorgimentale, ancorchè in Italia, come sostenuto da Gramsci,  si sia svolta in modo parziale e passivo, senza cioè l’egemonia delle classi subalterne e in particolare dei contadini, ha pur sempre costituito  una rivoluzione, cioè un superamento del vecchio mondo feudale verso un mondo borghese, o, per essere più precisi, verso un mondo in cui l’egemonia non fosse più esclusivamente appannaggio dell’aristocrazia fondiaria. Al giorno d’oggi l’unico “Risorgimento possibile” e razionale non può che essere il superamento del capitalismo e delle condizioni di sfruttamento che esso impone sui ceti inferiori: questo sarebbe l’unico collante forte e possibile che potrebbe unire le classi lavoratrici dei popoli europei nel tentativo di voltare pagina e aprire una storia nuova per il Vecchio Continente. Ed è proprio dinanzi alla paura che questo possa avvenire  che le classi dirigenti borghesi faranno di tutto, persino una guerra imperialista, pur di tenere sopite ed ottenebrate le coscienze in modo che esse siano distratte dai loro veri interessi. Ma ritorniamo alla questione iniziale: sarebbero pronte oggi ideologicamente le masse europee per ad imbracciare la baionetta? In un suo recente articolo, Ernesto Galli della Loggia [2] sottolineava come un eventuale ingresso degli Stati europei nel conflitto sarebbe impossibile innanzitutto perché i loro popoli non si riconoscono affatto né come europei, ma, di più, non si sentono nemmeno italiani, tedeschi, polacchi…Insomma, indipendentemente dalla loro cittadinanza di riferimento, essi non si percepiscono come parte viva ed organica di una comunità che condivide valori ed intenti, attribuendo anche una connotazione affettiva alla semplice qualifica geografica-politica. Prendiamo per assunta questa tesi di Galli della Loggia senza indagarne l’eziologia, che ci porterebbe troppo lontano dal tracciato. Sicuramente, quello che dice il noto storico è condivisibile, e riguarda un fenomeno legato a doppio filo alla perdita di un certo apparato valoriale tipicamente romantico, otto e novecentesco, che inneggia al rispetto e alla venerazione per la Patria e la Nazione, legando spesso questi ideali a quelli religiosi, al culto dei caduti eccetera. Tale apparato è venuto meno proprio per lo svolgimento storico cioè proprio per il fatto che gli Stati nazionali, bene o male, chi più chi meno, sono ormai formati e dunque i vecchi valori non hanno più la base materiale su cui un tempo appoggiavano. Questi principi, ammantati di carattere numinoso, erano una ragione sufficiente per gli uomini del passato per poter marciare verso un fronte di guerra ed accettare l’eventuale scenario di perdere la vita sul campo di battaglia; si tratta di ideali che sono stati talvolta coltivati in maniera virtuosa (si pensi agli autori del Romanticismo e del Risorgimento, fra i quali Fichte, per citarne uno), e talvolta furono strumentalizzati, come fatto dai regimi fascisti. Anche nel periodo che precedeva l’ingresso nella Prima Guerra Mondiale era ancora forte l’eco dei grandi spiriti (basta vedere il dibattito sui giornali di allora tra interventisti e neutralisti e il lessico che si usava) e le masse si dividevano e dibattevano sul tema. Si trattava già di una discussione irrazionale dal punto di vista dei subalterni, in quanto i connotati di quella guerra, quale guerra imperialista, sono poi divenuti chiari,  in primis ai bolscevichi, che sono riusciti  nell’intento di trasformarla in guerra civile rivoluzionaria. Attualmente, ad ogni modo, gli ideali patriottici d’un tempo costituiscono degli spettri incomunicanti con gli uomini del XXI secolo. Lo svolgimento storico ha segnato il passo nel lungo novecento e tra le esperienze più importanti che hanno compiuto le masse popolari vi è sicuramente quella dell’internazionalismo. Grazie alla Rivoluzione Russa, intere nazioni del terzo mondo si sono liberate dal giogo coloniale, e inoltre le classi lavoratrici del Centro-Europa hanno vissuto il loro periodo d’oro almeno fino agli anni Ottanta, dove si erano raggiunte condizioni quasi dualistiche di potere – in cui i grandi partiti comunisti esercitavano una notevole influenza sulle masse popolari istruendole e organizzandole. Anche  il pensiero postmodernista, per il quale tutte le grandi narrazioni sono giunte al tramonto, figli dell’idea liberista per cui lo Stato svolge la sola funzione di gendarmeria su di una rete commerciale organica e pre-statale, gioca un ruolo determinante di contro all’idea del grande “sacrificio collettivo”.  Insomma, gli europei di oggi,  sicuramente inclini al disimpegno politico (di cui però ne vanno analizzate le ragioni), all’edonismo e all’utilitarismo, ma sono anche sensibili a dei principi lodevoli che spinsero gli studenti americani a manifestare per la guerra in Vietnam, e che fanno prendere a cuore a quelli attuali la causa della Palestina e la questione ambientale, la pace e l’antimilitarismo.  Vi è inoltre l’esperienza pratica del lavoro internazionalizzato che in molti settori rappresenta ormai la prassi comune, pensiamo ai grandi progetti di ricerca internazionale che ancora oggi vedono occidentali e orientali impegnati insieme a risolvere problemi comuni. Insomma mai come in questa fase le classi dominanti hanno le più grosse difficoltà di egemonia sui subalterni, nessuno darebbe spontaneamente la propria vita per un Draghi o per una Von del Layen, basti vedere come sono ridotti alle prossime elezioni europee i partiti che in questi anni si sono mostrati tra i più guerrafondai e ora in campagna elettorale si scoprono pacifisti.  Ovviamente questo dato certamente positivo e sotto gli occhi di tutti non ci legittima a dormire sonni tranquilli:  l’arsenale che la borghesia può mettere in campo anche sul piano ideologico è vastissimo. I mezzi di comunicazione di massa sono nelle loro mani e la strategia delle fake news è ormai un dato strutturale; le scuole e le università vivono una fase di declino e con sempre più difficoltà giocano quel ruolo di avanguardia nella formazione di coscienze critiche; la precarizzazione del lavoro e l’impoverimento delle fasce più basse della popolazione creano eserciti di riserva e sottoproletari possibilmente inclini ad accettare l’arruolamento pur  di uscire dalla condizione di fame verso cui sono spinti.  Ed è proprio in queste fasce di povertà, e soprattutto nella forza lavoro immigrata e ricattabile, che si svolgerà la prima fase di reclutamento di carne da mandare al macello. Una volta ottenuto l’innesco poi il prosieguo potrebbe essere più semplice da compiersi.  Dunque lo scenario è complesso ma la borghesia ha iniziato a lavorarci su tutti i fronti e non mancherà di usare la coercizione laddove si renderà necessario. Per questo dobbiamo immaginarci in una grande battaglia per l’egemonia dove, seppur in difficoltà, la classe borghese ha un piano – certamente reazionario – e le risorse per attuarlo ma purtroppo le classi subalterne non hanno un altrettanto piano ne di resistenza alla reazione né tantomeno di rilancio per la costruzione di un mondo alternativo. Non ci si può cullare sugli allori o sul fatto che solo in quanto irrazionale allora il piano della borghesia non diverrà mai reale, insomma, se adesso la popolazione europea è del tutto indisposta al prendere parte al conflitto imperialista contro la Russia, ciò non implica che essa lo sarà ancora domani. 

Inoltre il fatto che la popolazione europea sia tacciabile di non avere mordente verso la vita o di essere priva di valori, premesso che questo fatto dei valori preso a sé stante e cioè staccandolo dai processi strutturali di fondo è un discorso astratto, perchè come sappiamo dal materialismo storico vi è un nesso – è vero complesso e dialettico – ma un nesso che conduce per vie indirette le sovrastrutture e in generale il mondo delle idee al mondo economico sottostante, pur accettando tale sintesi generale (e sappiamo che non è proprio così) ciò non fa altro che giustificare ancora una volta la tesi secondo cui il motore della storia è lotta di classe e vincerà la classe che maggiormente si attrezzerà e saprà combattere la battaglia per l’egemonia orientando e dirigendo verso i propri obiettivi tutte le masse delle altre classi nel campo amico e annichilendo quelle del campo avverso. 

Se per un verso non c’è l’idea di andare a morire per uno qualsiasi dei tecnocrati attuali al contempo non c’è la consapevolezza diffusa del fatto che l’unica guerra che per i popoli ha ragione di essere combattuta è quella contro l’oppressore, e che il valore principe sotto il quale si dovrà lottare è quello del rispetto della natura umana. In questo senso, il cittadino russo non potrà essere nemico dell’europeo solo per il fatto di essere assoggettato ad un’altra fonte di repressione, ma dovrà anzi essergli amico ed alleato nella guerra verticale, cioè che si dispiega fra proletari e capitalisti. 

Il fatto di essere meno riottosi e soggetti al fascino della guerra e dello scontro deve essere però un valore ben declinato: non può costituire una semplice ragione per sottrarsi dalla vita politica, per rinunciare a costituire una soggettività viva, dotata di aspirazioni, e inchinevole rispetto a qualsiasi imperativo essa riceva dall’alto. Il valore del pacifismo deve, in altre parole, fondarsi sul riguardo che gli uomini pongono verso la natura umana, indipendentemente da quale sia la nazionalità, il credo, la lingua dell’altro; il pacifismo deve fondare la propria affermazione sul concetto marxiano di Gattungswesen, [3] di natura umana intesa nella sua universalità.

Note:

[1] Gianandrea Gaiani, Il bellicismo dell’Europa disarmata, Analisi Difesa, 19 Marzo 2024, https://www.analisidifesa.it/2024/03/il-bellicismo-delleuropa-disarmata/;

[2] Galli della Loggia: “L’Europa non riesce a diventare un soggetto politico”, Adnkronos, 03 aprile 2024,   https://www.adnkronos.com/Archivio/politica/galli-della-loggia-leuropa-non-riesce-a-diventare-un-soggetto-politico_4jB8wjXZGNDWML3793Xtg5;

[3] Per approfondire il tema della natura umana in Marx si guardino soprattutto le sue opere giovanili; rimandiamo il lettore, in particolar modo, ai Manoscritti economico-filosofici del 1844;

https://www.lacittafutura.it/editoriali/monti-invoca-i-grandi-spiriti-del-passato

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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