di Fabrizio Verde
“Lungi dall’essere la causa dei nostri problemi, il capitalismo di libera impresa come sistema economico è l’unico strumento che abbiamo per porre fine alla fame, alla povertà e alla miseria in tutto il pianeta”, affermava il fanatico neoliberista assurto alla presidenza dell’Argentina Javier Milei, nel suo discorso tenuto a Davos. Inoltre nello stesso intervento Milei ha definito il socialismo come “impoverente” e condannato le politiche socialiste perché portano a più Stato, più regole, più povertà e alla degenerazione sociale, sottolineando che l’intervento dello Stato danneggia l’economia e impedisce la crescita.
Quella appena citata non è certo la prima occasione in cui, con la sicumera che caratterizza i fanatici ideologici alla Milei, il Draghi politicamente scorretto che governa l’Argentina si scaglia contro le politiche socialiste.
Adesso, le provocazioni di Milei potrebbero essere facilmente smontate dal punto di vista teorico. Ma forse non v’è n’è bisogno quando possiamo constatare l’effetto sul campo del neoliberismo reale marcato Javier Milei in Argentina.
Andiamo quindi a vedere i più grandi ‘successi’ delle politiche implementate da Milei nei primi mesi di mandato: inflazione alle stelle e caduta del potere d’acquisto.
Se il socialismo affama i popoli, Milei non vuole essere da meno: in Argentina il consumo di carne bovina ha toccato il punto più basso degli ultimi 30 anni.
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Il consumo di carne bovina è calato del 17,5% nei primi quattro mesi dell’anno rispetto allo stesso periodo del 2023 e ha fatto registrare il peggior record degli ultimi 30 anni, secondo la Camera di Industria e Commercio della Carne e dei Prodotti a base di Carne della Repubblica Argentina (CICCRA), come riporta il quotidiano Pagina|12.
L’indagine afferma che “il consumo apparente di carne bovina avrebbe totalizzato 663,4 mila tonnellate di carne con osso (tn r/c/h)” tra gennaio e aprile, ovvero 141,1 tonnellate in meno rispetto ai primi quattro mesi dello scorso anno.
Inoltre, il rapporto mostra che “con queste cifre, il consumo apparente di carne bovina pro capite sarebbe stato equivalente a 42,4 kg/anno nei primi quattro mesi del 2024, risultando inferiore del 18,5% rispetto allo stesso periodo del 2023 (-9,6 kg/ab/anno)”.
Così, come nella misurazione precedente, corrispondente al primo trimestre dell’attuale calendario, il consumo di carne continua a subire un calo storico. Ciò si riflette nel fatto che “è il più basso degli ultimi tre decenni”.
Per quanto riguarda la variazione dei prezzi nel contesto dell’alta inflazione che influisce sul calo dei consumi, il rapporto prevede che nel mese di aprile il costo medio di “carni e derivati” si è nuovamente classificato tra quelli che sono aumentati di meno (4,9%).
A questo proposito, il rapporto ha indicato che “è stato il valore medio dei tagli di carne bovina rilevati dall’INDEC a contribuire a questo rallentamento, in quanto è aumentato del 4,7% rispetto a marzo” e, al contrario, ha rilevato che “al contrario, il prezzo del pollo è aumentato dell’8,2% nel mese”.
Nel confronto anno su anno, il prezzo medio dei tagli di carne bovina misurato dall’INDEC ha registrato un aumento del 284,3%, con un massimo del 304,8% nel caso della carne macinata comune e un minimo del 265,7% nel caso del roast beef. L’aumento è stato inferiore all’incremento del prezzo del bestiame vivo (+321,8% annuo) e all’evoluzione del livello generale dei prezzi al consumo (+292,2%).
La CICCRA ha spiegato che “ciò che ha impedito ai macellai di trasferire immediatamente sul banco tutti questi aumenti di costo e che la contrazione del consumo interno di carne bovina è stata ancora maggiore di quella verificata, è stato il forte calo del potere d’acquisto dei salariati nell’ultimo anno, soprattutto di quelli impiegati nel settore pubblico e dei lavoratori informali del settore privato”.
In questo senso, hanno aggiunto che “con i dati disponibili a marzo 2024, il salario medio dei lavoratori formali del settore privato, che è quello che ha seguito più da vicino il livello generale dei prezzi al consumo, è aumentato del 231,7% annuo. Ciò implica che la perdita di potere d’acquisto di questi lavoratori è stata del 14,9% in termini generali e del 12,2% in termini di tagli di carne”.
Hanno anche aggiunto che “il salario medio dei lavoratori del settore pubblico è aumentato del 183,7% annuo, mentre quello dei lavoratori non registrati è aumentato solo del 129,2%. Pertanto, in questi due casi la perdita di potere d’acquisto dei tagli di carne è stata rispettivamente del 24,9% e del 39,4% nell’ultimo anno”.
Depressione economica infinita
I dati che si stanno diffondendo sull’attività economica di aprile sono altrettanto negativi, se non di più, di quelli di febbraio e marzo. Un’industria strategica come la metallurgia, con un forte peso nell’occupazione manifatturiera, ha registrato un calo su base annua del 19,5% il mese scorso e ha accumulato una contrazione dell’8,6% nei primi quattro mesi dell’anno, secondo un rapporto dell’Associazione degli industriali metallurgici della Repubblica Argentina (ADIMRA). Rispetto a marzo, il settore ha registrato un calo del 2,3%.
La situazione della metallurgia si aggiunge ad altre forti indicazioni che segnano il carattere di depressione dell’economia argentina. Ad aprile, il settore automobilistico ha registrato il quinto calo consecutivo su base annua del 21%, mentre le consegne di cemento hanno subito una contrazione del 35,6%. Allo stesso modo, l’elettricità consumata dai grandi utenti industriali è scesa ancora in modo significativo, del 9,5%, riflettendo il basso utilizzo della capacità installata nel settore manifatturiero, mentre le immatricolazioni di macchine agricole sono calate del 27,8% su base annua.
L’attività industriale sta crollando a causa di diversi fattori che operano nella stessa direzione. Il primo è la brutale recessione del mercato interno, guidata dal deterioramento dei redditi reali di lavoratori e pensionati. Il secondo è il regime fiscale e commerciale anti-industriale, dato dall’aumento dell’imposta PAIS per l’attività locale in concomitanza con un’apertura commerciale per cercare di domare i prezzi interni. In terzo luogo, l’apprezzamento del tasso di cambio, che rende le importazioni più convenienti e la produzione nazionale più costosa in dollari. Quarto, l’aggiustamento fiscale – leggi austerità – che indebolisce ulteriormente la debole domanda interna.
Se in Italia si dovessero notare alcune assonanze con le politiche imposte da quel mostro tecnocratico e neoliberista chiamato Unione Europea, questo non è un caso, Javier Milei propone infatti come panacea di tutti i mali per l’Argentina quelle stesse folli politiche che hanno affossato praticamente tutti i paesi europei, Italia in testa.