Il mandato presidenziale di Volodymyr Zelensky è scaduto lo scorso 31 marzo ma il leader ucraino ha rimandate a tempo indeterminato le elezioni aggrappandosi alla legge marziale rinnovata. La sua sopravvivenza è legata indissolubilmente al proseguimento del conflitto.
Zelensky rimane presidente senza elezioni per legge marziale
Della situazione politica interna all’Ucraina si parla sempre poco e malvolentieri nel calderone dell’informazione generalista. La narrazione vuole Kiev baluardo di democrazia contro i barbari venuti dalle steppe e allora parlare della messa al bando di tutti i partiti di opposizione è argomento che provoca l’orticaria.
Per non parlare delle coscrizioni alla leva obbligatorie, con le centinaia di video che circolano in rete in cui gli uomini dell’SBU danno la caccia ai cittadini arruolabili per mandarli al fronte, con le buone o (molto più spesso) con le cattive.
Va detto che, data la raffica di licenziamenti anche ai massimi livelli che si susseguono nella cerchia del presidente, analizzare quello che accade al governo ucraino è sempre più complicato.
Proprio il presidente, l’uomo più iconizzato dell’era post moderna su tutti i media occidentali, è al centro di una questione politica non proprio secondaria: il mandato presidenziale di Volodymyr Zelensky, in carica dal 20 maggio 2019, è scaduto lo scorso 31 marzo. Occorrerebbe quindi indire nuove elezioni, quanto meno per appurare se gli ucraini sono ancora con lui.
Tuttavia, il leader ucraino le ha rimandate a tempo indeterminato aggrappandosi alla legge marziale rinnovata il 10 maggio per altri tre mesi. Ovviamente ci sono delle ragioni che giustificano questa decisione, in primis la difficoltà di organizzare i seggi elettorali un Paese in guerra, con regioni occupate che il governo riconosce ancora come “proprie”. A questo va aggiungo che almeno sei milioni di ucraini si trovano fuori dal paese più i militari impegnati al fronte, almeno 300 mila.
Ma non sfugge il contesto più generale in cui la sopravvivenza politica (e fisica probabilmente) del presidente della sua cerchia, è legata indissolubilmente al proseguimento del conflitto.
Un cambio della guida a Kiev potrebbe far vacillare la linea nazionalista e in particolare il rifiuto di intavolare qualsiasi trattativa con la Federazione Russa per porre termine alla guerra che sta letteralmente dissanguando la nazione.
Zelensky continua a ribadire di voler recuperare tutti i territori occupati dai russi.
Obiettivo che, vista l’attuale situazione sul terreno, appare quantomeno improbabile, usando un eufemismo.
E così qualche timida voce di contestazione ha cominciato a manifestarsi. L’ex parlamentare Hryhoriy Omelchenko, membro della commissione che elaborò la Carta costituzionale a metà degli anni Novanta, ha scritto una lettera indirizzata al leader ucraino pregandolo di “non usurpare i poteri statali”, e invitandolo a dimettersi per consentire che vengano indette nuove elezioni.
L’ex presidente della Camera Dmytro Razumkov sostiene che Zelensky è ormai privo di un mandato legale e se le elezioni sono impossibili, dovrebbe passare la carica all’attuale presidente della Camera.
Con le ormai sempre più evidenti difficoltà militari non solo per carenza di armamenti occidentali, le infrastrutture distrutte, l’economia completamente dipendente dal sostegno internazionale, il rischio della delegittimazione di Zelensky potrebbe aumentare la conflittualità interna e le lotte di potere.
Il sindaco di Kiev, Vitaliy Klitschko, suo rivale di lunga data, lo ha già criticato esplicitamente. “Le persone vedono chi è efficace e chi no. Le aspettative erano e sono tante. Zelensky pagherà per gli errori commessi”, ha detto, denunciando la “deriva autoritaria” del presidente.
L’ex presidente Petro Poroshenko invece ha già annunciato di volersi candidare alle prossime elezioni. Elezioni che, ha aggiunto sposando la linea dello slittamento, devono tenersi al termine delle ostilità. Una personalità già finito nel mirino di Zelensky che, attraverso i servizi segreti, lo aveva fatto fermare alla frontiera impedendogli di entrare in Europa.
Poi c’è l’ex capo delle forze armate Valery Zaluzhny, sostituto a febbraio dal presidente dopo le critiche alla gestione della guerra finita “in un vicolo cielo“. Spedito in esilio in Gran Bretagna come ambasciatore, il generale gode di una popolarità.
E dunque a Washington, dove si prendono le decisioni effettive su Kiev, potrebbero essere tentati di scommettere su un altro ‘cavallo