Maximilian Krah, scrivono le cronache, è (o forse sarebbe forse meglio dire era…) esponente di punta di Alternative für Deutschland (AfD) e candidato alle elezioni europee. Il partito più rigidamente estremista di destra della politica tedesca. Wikipedia etichetta così le “fazioni” interne ad AfD: antisemitismo, xenofobia, neonazismo, identitarismo. Quest’ultimo pare persino di troppo in mezzo a tanto ciarpame di odio e di pregiudizi che compongono la fisionomia della formazione nata da costole della CDU quando la lotta contro l’Euro, l’Eurozona e l’Europa in generale era agli inizi.
Quando pensi di averle sentite un po’ tutte da questi sostenitori del neonazi-onalismo, ecco che spunta l’insuperato, ma di sicuro non insuperabile. In una intervista rilasciata a “la Repubblica“, l’aspirante europarlamentare Krah, tra l’altro, si lascia andare a questa affermazione: «…non tutti i membri delle SS naziste erano criminali». Premesso che ogni assolutizzazione fa incappare sempre nella giusta contraddizione per cui l’eccezione esiste – e per fortuna in questi casi -, qui il punto è il principio generale che Krah intende esprimere.
Non si tratta di stabilire se su mille Schutzstaffel ve ne fosse una percentuale qualificabile in una specie di “buona fede“, in una pronta esecuzione degli ordini di priebkiana memoria. È del tutto probabile, quindi anche possibile, che su mille giovani tedeschi arruolati nei pretoriani di Himmler, vi fosse qualcuno col cuore meno di ferro di un Heydrich o con la minore spregiudicatezza cinica di Eichmann. Ciò non toglie che, per quanto potesse esservi un elemento non crudele in tanta crudeltà, le SS erano la quintessenza della criminalità fatta milizia di partito, fatta organizzazione paramilitare dello Stato totalitario nazista.
Quando Krah afferma che non tutte le SS erano criminali, vuole lasciare intendere un concetto sottile e molto insidioso, vasto, ampio e untuoso su cui si scivola facilmente. Vuole, in sostanza affermare che il giudizio dato dalla Storia sull’operato delle truppe himmleriane, così come dei reparti spietati mandati al fronte russo col compito di fare la pulizia etnica dei popoli inferiori e preparare il terreno alla “soluzione finale” del “problema ebraico“, le “Einsatzgruppen” del macellaio di Praga, è approssimativo e scorretto perché non tiene conto delle specificità eventuali che, in sostanza, annegano nella più complessiva valutazione che di ogni fenomeno si finisce per dare.
Se studiamo la Storia facendo caso al particolare, quindi aprendo varchi nella complessità di cui si compone il complessivo, riscontreremo sempre una disomogeneità dettata dal fatto che le differenze esistono come parte integrante e costituente del tutto e che si stabiliscono rapporti dialettici tra maggioranze e minoranze, a volte sulla base di equilibri naturali, altre volte su piani artificiali dettati dalle regole, dalle norme, dalle convenzioni, così come dalle tradizioni.
Un conto è tenere bene a mente, quando si analizza un’epoca, che il particolare ha la sua importanza ma che, poi, alla fine, quando si devono trarre delle conclusioni per definire i contorni di una società come di un’altra, di un tempo come di un altro, quello che prevale è l’insieme delle vicende che forma un fluire sufficientemente ordinato di fatti che, a loro volta, determinano le sembianze del contesto attuale che in quel momento del presente esisteva e che ha contribuito a dare vita al passato che poi sarebbe di lì a poco diventato.
L’operazione di Krah è subdola ma anche molto facilmente evidenziabile in rosso, come grossolano e voluto errore volto a pervertire tanto l’ieri quanto l’oggi: l’esponente di AfD vorrebbe indurci a pensare che non è poi così giusto condannare nell’insieme, “fare di tutta l’erba un fascio“, come si suol dire. Vorrebbe aprire uno spiraglio assolutorio per una parte di quel mondo hitleriano che ha creduto negli ideali nazionalsocialisti, nella missione salvifica incarnata dal caporale austriaco, dal fallito pittore, dal più probabile imbianchino.
Vorrebbe suggestionarci con una sorta di senso di colpa, lasciandoci cullare nel dilemma se sia giusto trascurare l’esigua minoranza di presunte SS non crudeli. Giochetto da veri e propri maniaci di un revisioni (anti)storico che trascende prima di tutto il contesto in cui le truppe di Himmler nascono e in cui lo stesso capo si forma e diviene uno dei più fedelissimi esecutori di quegli ordini non direttamente dati da Hitler che uno dei maggiori storici del Terzo Reich come Ian Kershaw chiamava il “lavorare incontro al Führer“.
Quella che sembra una innocente frase fuggita dal seno di un apologeta del passato nazista della Germania, è invece il frutto di una elaborazione psico-politica che ha del patologico soltanto se la si osserva nella sua assurdità oggettiva e che, se davvero la si vuole individuare in quanto tale, non va cercata nel contrasto tipicamente morale dei “giusti” contro gli “ingiusti“, dei “buoni” contro i “cattivi“, ma della impossibilità a sovvertire la Storia a capovolgere anzittuto complessità del complessivo con semplicità (apparente) del particolare.
L’operazione che le destre post o neofasciste o naziste tentano di fare nei singoli paesi europei come nell’interezza del contesto continentale, è il cambiamento progressivo del punto di vista dal fatto storico alla sembianza storica. Noi sappiamo cosa hanno fatto le SS, perché sappiamo cosa erano, perché si sono formate e perché è stato possibile che in uno dei paesi più avanzati culturalmente, socialmente ed economicamente al mondo abbia soppiantato la democrazia liberale una dittatura divenuta la quintessenza del totalitarismo moderno.
Una categoria storica che si afferma proprio con l’avvento del fascismo, quando Giovanni Amendola, per significare quell’espansione del dominio del regime in ogni aspetto della vita sociale, civile e morale dell’Italia che cade tra le grinfie di Mussolini, utilizza proprio il termine “totalitarismo“: qualcosa che non lascia scampo, che include tutto e tutto preclude, che impedisce di essere al di fuori del nuovo ordine imposto con la dittatura. Dovrebbe essere sufficiente questo per indurci a ritenere i regimi totalitari il “male” e le democrazie, pur con tutti i loro difetti, il “bene“.
Questa è una estrema semplificazione che rischia di banalizzare le differenze storiche ed anche attuali tra oligarchie, teocrazie, tirannie di vario tipo e il mondo che si fregia dell’epiteto di “libero” perché si rifà ai valori dell’Occidente appunto “democratico“. Il problema, per quanto vi si possa girare intorno, è sempre la concretissima probabilità di cascare nella contraddizione tra concetto generale e assoluto e distinzione particolare e contingente. Perché anche le democrazie, per quanto buone possano essere, non sono tutte degli esempi virtuosi di aderenza all’idea ellenistica che abbiamo di potere popolare.
Così come le dittature vanno distinte: il fascismo e il nazismo si somigliano ma non combaciano in tutto. Il franchismo e il peronismo altrettanto. Il regime dei colonnelli greci non è la stessa cosa di quello di Videla in Argentina. Contesti geopolitici, strutture economiche, influenze culturali e sociali fanno tutte le differenze del caso. Ma le dittature restano, per definizione, dei regimi in cui la libertà personale (e collettiva) è limitata a vantaggio – dice il conducator di turno – della stabilità politica della nazione. In realtà per la certezza del mantenimento del potere da parte di chi se ne è impossessato a scapito delle minoranze, soprattutto se detrattrici delle idee e delle azioni di chi comanda.
Per quanto Krah tenti di farci dire che, sì, tutto sommato magari qualche arianissimo biondo giovane (a differenza dell’intera gerarchia del Terzo Reich che pareva uscita da un film dell’orrore ante litteram prodotto dalle convergenze malevole della Storia) era meno dedito alla crudeltà e alla violenza gratuita di altri suoi coetanei commilitoni, nulla potrà smuovere il fatto che le SS erano nel tutt’altro che semplice sintesi del complesso un fattore di nocumento per la libertà delle persone, per la loro vera sicurezza: quella di potersi esprimere senza costrizioni in ogni ambito della quotidianità.
L’assunto di Krah è la traduzione tedesca dell’italico retorico e revisionistico detto: “Mussolini ha fatto anche cose buone“. Oppure dell’operazione “pacificazione della memoria” che la destra prova ogni anno a mettere in atto quando ci si avvicina alle giornate della Memoria, del Ricordo, al 25 aprile o al 4 novembre, e si riabilitano i vivi menzionandoli da morti, sentenziando presuntuosamente che chi aveva aderito all’esercito della Repubblica Sociale Italiana lo aveva fatto anche perché ci credeva e, soprattutto, riteneva di stare dalla parte giusta.
Non lo era. Perché quella parte ha ridotto l’Italia ad un paese di macerie materiali e morali, dopo un ventennio di dittatura, di abolizione dei diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino, di repressione assoluta del dissenso, di creazione del razzismo moderno di questo Paese, di ispirazione dell’autoritarismo allo stesso Hitler, dell’alleanza con lo stesso e della caduta impietosa nel disastro della Seconda guerra mondiale. Eppure c’è chi, come l’aspirante europarlamentare dell’AfD Krah, ritiene di poter decontestualizzare il fascismo da sé stesso, dichiararlo morto e riproporre oggi quelle ispirazioni autoritarie sotto altre forme.
Facendoci credere che il nostro nemico è colui che ha un colore diverso della pelle o a cui piace una persona dello stesso sesso; oppure chi non ha fede nell’invenzione del connubio (tutt’altro che storico…) dei valori “giudaico-cristiani” dell’Europa (ma quando mai il Vecchio continente è stato al tempo stesso entrambe le cose…), distraendoci così dalla vera natura di classe dell’avversario che ci immiserisce giorno per giorno: il capitalismo. Imprenditori, affaristi, finanzieri e speculatori. Traffici, guerre, stermini, imperialismi alimentati da culti religiosi portati all’eccesso fanatico dell’esaltazione martirologica, oppure da smanie di potere.
Mentre i conflitti plasmano un nuovo assetto dell’Europa e del Medio Oriente, nella pochezza della politica della più grande casa europea, tocca anche controbattere ad affermazioni come quella di Krah che, se non altro un effetto – opportunistico-elettoralistico – lo hanno avuto: il disconoscimento dell’AfD da parte di Marine Le Pen e di qualcuno di casa nostra che le è neonazionalisticamente afferente. Un gioco di specchi, per sembrare più rispettabili prima di un voto in cui la contesa a destra si preannuncia ricca di consensi.
Una volta eletto il nuovo Parlamento, potranno tornare sinceri e riabbracciarsi come prima, pensando seriamente che, tutto sommato, le SS poi qualche elemento buono dentro lo avevano. E chissà in che senso…
MARCO SFERINI