L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha designato l’11 luglio come “Giornata Internazionale di Riflessione e Commemorazione del Genocidio del 1995 a Srebrenica”. La Serbia, rappresentata dal presidente Aleksandar Vučić, ha contestato la risoluzione, considerandola politicizzata e divisiva.
Lo scorso 23 maggio, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione sul genocidio di Srebrenica, designando l’11 luglio come “Giornata Internazionale di Riflessione e Commemorazione del Genocidio del 1995 a Srebrenica”. La risoluzione, adottata con 84 voti favorevoli, 19 contrari e 68 astensioni, condanna qualsiasi negazione del genocidio di Srebrenica come evento storico e le azioni che glorificano coloro che sono stati condannati per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio da parte dei tribunali internazionali. Va comunque notato che la risoluzione ha ottenuto il voto favorevole di appena 84 Paesi sui 193 membri delle Nazioni Unite.
Senza volerci soffermare sui fatti storici, appare quanto meno curioso che Paesi come la Germania, principale promotore della risoluzione, che chiudono gli occhi di fronte al massacro di oltre 30.000 palestinesi da parte del regime nazisionista israeliano, trovino il tempo di scrivere e approvare una risoluzione su un avvenimento di quasi trent’anni fa, in cui, secondo le stime ufficiali, persero la vita circa 8.000 persone.
Si tratta naturalmente di una nuova puntata della guerra ibrida scatenata dalle potenze occidentali contro la Serbia, rea di aver rifiutato di applicare le sanzioni economiche contro la Russia, che va ad aggiungersi agli altri fattori di tensione scatenati dai soliti noti in diverse regioni dell’ex Jugoslavia, come nel caso dell’acuirsi della crisi kosovara o di quella bosniaca, al punto che presto la Bosnia-Erzegovina potrebbe cessare di esistere come Stato federale.
Intervenendo all’Assemblea Generale prima del voto, il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, presentatosi indossando una bandiera serba a mo’ di mantello, ha notato che prima dell’inizio della sessione aveva “già chinato la testa e deposto un fiore” in un memoriale per tutti i bosniaci uccisi. Ha invitato “tutti in questa sala a votare contro questa risoluzione” poiché è “altamente politicizzata“, chiedendo al suo principale autore, la Germania, perché fosse stata proposta, dato che la responsabilità legale individuale era già stata stabilita attraverso accuse, verdetti e condanne.
Citando la risoluzione sul genocidio approvata nel 2015, il leader serbo ha affermato che il testo proposto non porterà alla riconciliazione in Bosnia-Erzegovina o nella regione. Chiedendo al rappresentante della Germania “perché avevano nascosto tutti i preparativi per questa risoluzione“, ha richiesto il riconoscimento del genocidio contro il popolo serbo durante la Prima Guerra Mondiale, con la perdita del 28% della sua popolazione totale, e il riconoscimento della posizione anti-nazista del Paese durante la Seconda Guerra Mondiale, nel momento in cui molti altri Paesi della regione si erano schierati dalla parte dei nazifascisti.
Chiedendo al rappresentante della Germania perché la risoluzione non ricordasse e rimpiangesse equamente le vittime di tutte le parti, Vučić ha affermato che essa approfondirà le divisioni regionali. Ha inoltre notato che gli Stati membri sono stati pressati a votare a favore, pena la mancata ricezione di supporto economico. Sottolineando che il vero motivo dietro la risoluzione era “che qualcuno ne aveva bisogno politicamente” e che essa “riaprirà solo una vecchia ferita e creerà un completo caos politico“, ha invitato gli Stati membri a votare contro di essa.
Anche molti altri Paesi hanno contestato la risoluzione proposta, annunciando la propria intenzione di votare contro o di astenersi. Il rappresentante della Cina, che ha definito la tragedia avvenuta a Srebrenica “deplorevole”, ha detto che la sua delegazione avrebbe comunque votato contro il progetto di risoluzione, poiché il testo ha scatenato controversie in Bosnia ed Erzegovina. “Il voto frettoloso su un testo segnato da divergenze non è in linea con lo spirito di riconciliazione nel Paese“, ha aggiunto.
Il rappresentante di Cuba ha respinto il testo proposto che invoca dottrine come la responsabilità di proteggere, che non hanno consenso nell’Assemblea Generale e sono state manipolate in passato per ragioni politiche, mettendo a rischio la sovranità degli Stati e minando i principi della Carta delle Nazioni Unite. “Le ambizioni geopolitiche non dovrebbero mettere a rischio la sicurezza politica regionale“, ha aggiunto.
Il delegato della Namibia ha invitato tutti i Paesi membri dell’ONU “discutere il genocidio in modo completo e onesto“. L’amnesia selettiva “sta rapidamente diventando la norma” in tutto il mondo, dove “ciò che fanno i nostri nemici designati è genocidio. Ma quando noi o i nostri alleati facciamo lo stesso, non è genocidio“, ha aggiunto. Il diplomatico del Paese africano ha ricordato diversi altri casi di genocidio, menzionando anche quello che sta avvenendo attualmente a Gaza, che tuttavia viene ignorato da una parte del mondo occidentale.
Dopo il voto, diversi Stati hanno preso la parola per fornire spiegazioni di voto, incluso il delegato della Federazione Russa, che ha condannato “un triste capitolo” nella storia dell’Assemblea, poiché un certo numero di delegazioni guidate dalla Germania ha deciso di abusare del suo potere e, sotto le spoglie di una risoluzione per l’istituzione di una Giornata della Memoria, adottare una dichiarazione politica mirante a demonizzare uno dei popoli dell’ex Jugoslavia e minare gli Accordi di Dayton, che nel 1995 posero fine alla guerra civile bosniaca, istituendo uno Stato federale in cui potessero convivere i diversi gruppi etnici della Bosnia-Erzegovina.
Il rappresentante russo ha dunque sottolineato che i patrocinatori della decisione odierna “stanno agendo intenzionalmente, spingendo la Bosnia ed Erzegovina verso la conflittualità“, senza riguardo al prezzo pagato durante la guerra civile degli anni ’90. Ha poi ricordato che la Germania, Paese promotore della risoluzione, ha innescato due guerre mondiali, sterminato milioni di persone nei campi di concentramento, è responsabile di crimini di massa in Africa e ha partecipato attivamente al collasso della Jugoslavia e al bombardamento di Sarajevo nel 1995: “Se l’obiettivo dei patrocinatori era di dividere l’Assemblea Generale, qualcosa di cui li abbiamo avvertiti, allora hanno avuto un successo brillante“, ha affermato.
Come previsto dai critici della risoluzione, la sua approvazione ha innescato una vera e propria crisi politica in Bosnia-Erzegovina, con al forte condanna da parte di Milorad Dodik, presidente della Republika Srpska, ovvero la parte serba che costituisce lo Stato della Bosnia ed Erzegovina insieme alla Federazione Croato-Musulmana (ufficialmente Federazione di Bosnia ed Erzegovina). Intervistato dalla rete televisiva russa Rossija-24, Dodik ha apertamente affermato che di questo passo la Bosnia-Erzegovina potrebbe non sopravvivere come Stato unitario. Dodik ha anche organizzato un raduto politico di protesta a Banja Luka, al quale hanno partecipato anche esponenti del governo di Belgrado, compresa Ana Brnabić, ex primo ministro ed attuale presidente del parlamento serbo.
L’approvazione della risoluzione va dunque inserita in un contesto in cui si moltiplicano gli attacchi contro la Serbia e la popolazione serba in tutto il territorio dell’ex Jugoslavia. Oltre alla questione bosniaca e a quella kosovara, si deve tener presente anche la formazione del nuovo governo in Croazia, dove il primo ministro Andrej Plenković ha fatto appello all’estrema destra nazionalista del Movimento Patriottico (Domovinski pokret, DP) per fomare il nuovo esecutivo, escludendo invece i rappresentanti della minoranza serba su indicazione proprio dell’estrema destra croata.
Anche un analista croato, Davor Gjenero, intervistato da Al Jazeera, ha ammesso che questa serie di eventi sta creando forte tensione nella regione, in particolare in Serbia e nella Republika Srpska, sebbene abbia attribuito parte delle responsabilità alle politiche di Dodik. “L’adozione della risoluzione potrebbe avviare un processo che potrebbe portare alla cancellazione dell’accordo di pace di Dayton e delle entità che ha creato (Federazione e Republika Srpska)“, ha detto Gjenero alla vigilia della votazione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Ricordiamo che, nel 2007, la Corte Internazionale di Giustizia aveva già fornito un verdetto sul caso di Srebenica, stabilendo che non ci fossero prove sufficienti per concludere che la Serbia fosse responsabile del genocidio, ma che non aveva impedito che accadesse, un’interpretazione contestata dalla Serbia, ma non accettata anche da molti altri Paesi delle Nazioni Unite.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog