In bilico tra due mondi e in un contesto dove passato e presente si intrecciano, la Georgia affronta una delicata sfida politica, mentre cerca di mantenersi in equilibrio tra i rapporti con la Russia e il richiamo dell’Unione Europea. Tra proteste popolari e giochi di potere, il destino di questo paese si muove su un crinale instabile, con implicazioni che vanno ben oltre i confini regionali. Proponiamo una riflessione sulle complesse dinamiche di questa nazione caucasica
«Egli si sentiva sempre più libero e più umano.
«Il Caucaso gli si presentò del tutto diverso da come se l’immaginava…» [1].
La citazione proviene dall’opera I cosacchi di Lev Tolstoj, un racconto che narra le vicende di Olenin, un giovane aristocratico russo che decide di arruolarsi tra i cosacchi del Caucaso. Pur conoscendo bene le cause della guerra, Olenin compie questa scelta non tanto per senso di giustizia, bensì per la sua aspirazione personale a vivere un’esperienza di libertà e indipendenza. In un contesto contrassegnato dalla lotta per l’autonomia contro l’impero russo, la sua decisione rifletteva piuttosto l’idealizzazione, d’ispirazione byroniana, del romanticismo russo nei confronti dell’individuo libero e indipendente.
Nel XIX secolo, una parte dell’intelligencija russa condivideva un sentimento di ammirazione per la bellezza e la cultura del Caucaso, filtrato attraverso una lente orientalistica che ne forniva una rappresentazione stereotipata, riduttiva ed essenzializzante. Questo contribuiva a determinare una visione romantica e talvolta distorta di una realtà poco conosciuta. Tuttavia, in alcuni scrittori, come Michail Lermontov, nelle sue opere Un eroe del nostro tempo e il poemetto Izmail-bej, o nel citato romanzo di Tolstoj, emerge una critica alla brutalità e all’ingiustizia del colonialismo russo nella regione caucasica.
Politicamente, l’impero russo considerava il Caucaso una regione di fondamentale importanza strategica ed economica. Anche durante i periodi staliniano, post-staliniano e tardo sovietico, il rapporto tra la Russia e il Caucaso si manifestava attraverso politiche di integrazione, sviluppo economico, controllo politico e gestione delle diversità etniche. Queste dinamiche portarono alla nascita di movimenti indipendentisti e nazionalisti caucasici e alla recrudescenza di nuovi e sanguinosi conflitti dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Successivamente, la storia del Caucaso settentrionale e meridionale nell’era post-sovietica è stata segnata da conflitti etnici, guerre, instabilità politica e tensioni geopolitiche, strettamente connesse alle dinamiche internazionali della Federazione Russa.
Nel caso specifico della Georgia, il paese ha subito un significativo cambiamento politico con la Rivoluzione delle Rose del 2003, che ha portato al potere Mikheil Saakashvili, il quale ha attuato riforme politiche di stampo filo-occidentale, cercando di rafforzare l’integrazione euro-atlantica. Successivamente, a seguito della devastante guerra con la Russia del 2008, che ha causato migliaia di sfollati georgiani, la situazione politica della Georgia è rimasta orientata verso l’Occidente. Anche dopo l’ascesa del partito Sogno Georgiano, il paese ha continuato a perseguire una politica estera filo-occidentale, nonostante le critiche relative ad accuse di corruzione, repressione politica e controversie nel processo di consolidamento democratico.
In seguito, la Georgia ha continuato a perseguire una politica estera filo-occidentale, caratterizzata dal tentativo di avvicinamento all’Ue e alla Nato attraverso accordi commerciali e di associazione con l’Ue e l’adesione a programmi europei. Inoltre, questo percorso di integrazione non è solo un obiettivo dichiarato del governo, ma anche una prescrizione costituzionale, come stabilito dall’articolo 78 della Costituzione georgiana.
Nell’ultimo anno, la scena politica ha conosciuto un’escalation di tensioni, caratterizzata da un’ondata di proteste crescenti contro il governo. Questo fermento è stato innescato dalla decisione del partito Sogno Georgiano di riportare in auge e approvare la legge sugli “agenti d’influenza straniera”.
Questa legge, approvata lo scorso 14 maggio dal Parlamento georgiano, richiede che le organizzazioni non governative (Ong) e i media che ricevono almeno il 20% dei loro finanziamenti dall’estero si registrino come “agenti stranieri”. Molti oppositori vedono in questa mossa un tentativo di reprimere gli avversari politici e i media indipendenti. Le proteste che ne sono seguite, sono state massicce e persistenti, con migliaia di persone che si sono radunate a Tbilisi e in altre città georgiane per esprimere il proprio dissenso contro quella che percepiscono come una deriva autoritaria del governo. Le forze dell’ordine hanno risposto ai manifestanti con l’uso di gas lacrimogeni, arresti e altre misure repressive, intensificando ulteriormente le tensioni nel paese.
Le proteste hanno evidenziato una crescente divisione tra il governo georgiano e le sue aspirazioni di integrazione occidentale, sollevando la possibilità di un avvicinamento alla Russia. Chi è contrario teme che la legge possa compromettere i legami con l’Unione Europea e gli Stati Uniti, che hanno apertamente espresso la propria avversione. Non si sono fatte attendere le avvisi di sanzioni, compreso il divieto di visto, ai funzionari georgiani responsabili della legge, oltre alla minaccia di revisioni negli accordi di cooperazione.
Di fatto, ciò potrebbe minare le aspirazioni della Georgia a diventare un candidato all’adesione all’Ue, con possibili sanzioni internazionali contro i leader georgiani. Questo ha spinto alcuni membri dell’opposizione parlamentare a dimettersi, proponendo un nuovo piano per risolvere la crisi politica del paese. Inoltre, la presidente della Georgia, Salomé Zourabichvili, aveva annunciato di aver posto il veto alla legge, ma questo non impedirà che entri in vigore, poiché il governo dovrà soltanto riapprovarla a maggioranza semplice. In sintesi, sebbene le autorità giustifichino questa misura come un’assicurazione di trasparenza, essa comporta un insieme significativo di criticità, influenze di interessi privati e retaggi economici e politici.
Secondo alcune fonti europee, questa recente iniziativa legislativa è stata interpretata come un possibile tentativo di avvicinamento alla Russia da parte della Georgia, probabilmente mirato a evitare tensioni dirette con il Cremlino. Tuttavia, alcuni analisti suggeriscono che potrebbe anche rappresentare un’opportunità per distogliere l’attenzione dalle riforme richieste dall’Unione Europea, le quali metterebbero a rischio gli interessi delle élite oligarchiche locali.
Bidzina Ivanishvili, fondatore del partito Sogno georgiano, ex-primo ministro, figura di spicco della maggioranza governativa e tra i principali oligarchi del paese, osserva con preoccupazione l’influenza occidentale, che percepisce come una minaccia alla sua stessa leadership. L’emanazione di questa nuova legge sugli agenti stranieri, secondo alcuni osservatori, sembra non tanto indicare un’inclinazione filo-russa, quanto piuttosto un riflesso degli interessi personali e privati di Ivanishvili e della sua cerchia oligarchica. Un recente articolo su Osservatorio Balcani e Caucaso è ricco di riferimenti che suggeriscono come questa mossa legislativa miri a rafforzare il controllo del governo e a ridurre l’influenza occidentale. Ivanishvili si proclama vittima di un presunto complotto occidentale e di sanzioni (inesistenti) contro di lui, suggerendo che l’iniziativa legislativa sia volta a proteggere il proprio potere e a prevenire sanzioni internazionali. Tuttavia, ciò potrebbe produrre l’effetto opposto, alimentando le proteste e minacciando il sostegno pubblico al suo partito. Le imminenti elezioni parlamentari e presidenziali del prossimo ottobre saranno cruciali per il futuro di Sogno georgiano e per gli equilibri politici del paese.
Infine, alcuni media russi sostengono che le proteste in Georgia siano orchestrate e finanziate dall’Occidente con l’obiettivo di destabilizzare il paese. Questa narrazione è condivisa anche da altre fonti, che vedono nelle manifestazioni un riflesso delle più ampie tensioni geopolitiche tra Russia e Occidente. In particolare, il contesto delle aspirazioni della Georgia di avvicinarsi all’Unione Europea e alla Nato accentua queste tensioni, evidenziando il conflitto tra le influenze occidentali e russe nella regione.
In questa complessa situazione, ciò che dovrebbe essere un punto cruciale, ma purtroppo trascurato, è la costante crisi della democrazia in Georgia.
Il sistema di welfare e le infrastrutture del paese stanno affrontando molteplici sfide che influenzano il benessere della popolazione, tra cui disuguaglianze socio-economiche e problemi nel settore sanitario e dell’istruzione. Nel tentativo di favorire un clima favorevole alle imprese, il governo georgiano ha contribuito all’aumento della disoccupazione, mettendo i lavoratori in una posizione più vulnerabile allo sfruttamento, mentre i sindacati rimangono deboli e spesso sotto il controllo delle stesse imprese.
La situazione diviene ancora più intricata quando si considera il ruolo politico e sociale delle organizzazioni non governative georgiane, spesso destinatarie di finanziamenti esteri, e ora nel mirino, oltre ai media indipendenti, di quest’ultima legge. Un recente articolo di “Jacobin“, spiega come, dopo la Rivoluzione delle Rose, i professionisti delle Ong abbiano rapidamente acquisito una posizione di rilievo nei settori governativi, assumendo il controllo di molti ambiti della politica e dei servizi pubblici, spesso senza tenere adeguatamente conto delle esigenze e dei desideri della popolazione georgiana. Allo stesso tempo, il partito Sogno Georgiano, mantenendo una posizione tecnocratica e neoliberale, non ha l’intenzione di abolire completamente i finanziamenti esteri, ma piuttosto di limitare l’influenza di specifiche Ong legate all’opposizione. Questa nuova legge, tuttavia, avrà un impatto negativo sulla società civile nel suo complesso, aumentando la sorveglianza e i compiti amministrativi per tutte le Ong (non solo quelle legate politicamente all’opposizione), senza affrontare il problema fondamentale della partecipazione politica dei cittadini al processo decisionale.
In conclusione, sia il governo sia l’opposizione sembrano concentrarsi su obiettivi che trascurano le vere esigenze della popolazione. Le differenze tra il partito al potere e l’opposizione, dal punto di vista ideologico e pratico, sembrano essere minime: entrambi sostengono una forma di governance tecnocratica e depoliticizzata, favorendo principalmente politiche di mercato.
La fervida discussione sull’approvazione della legge per le agenzie straniere potrebbe effettivamente distrarre dall’affrontare questioni urgenti di politica interna, tra cui la precarietà lavorativa, la disoccupazione, la povertà, la corruzione e altre difficoltà economiche e sociali. Questa instabilità è alimentata anche dalle agenzie di aiuto straniere e dalle loro controparti locali, che hanno fortemente influenzato molti settori pubblici, dall’istruzione all’assistenza sanitaria, dalla riforma della giustizia allo sviluppo rurale e alle infrastrutture. Tuttavia, queste iniziative spesso vengono pianificate dall’alto, senza coinvolgere adeguatamente i principali interessati: lavoratori e utenti, che vengono ignorati e trascurati. Questo quadro si allontana notevolmente da un sistema democratico funzionale, in cui sia i legislatori che l’esecutivo sono eletti direttamente dai cittadini.
Nel fervore della politica georgiana, le fazioni contrapposte possono battersi aspramente per il controllo del paese, ma alla fine, entrambe sembrano lasciare un’impronta negativa sulla società.
Per molti georgiani, l’adesione all’Ue rappresenta una via di fuga dalle difficoltà post-sovietiche, offrendo la prospettiva di un miglioramento del tenore di vita. I manifestanti che affollano le strade e le piazze georgiane non si limitano a difendere le Ong; sono convinti che la controversa legge sull’influenza straniera sia cruciale per il futuro del paese nell’Ue. È possibile che le organizzazioni non governative e i loro finanziatori occidentali abbiano capitalizzato su questa percezione, trasformando la questione della legge in una battaglia fondamentale per il destino della Georgia.
La legge sulla trasparenza dell’influenza straniera non affronterà i problemi fondamentali dell’economia georgiana, né impedirà ai finanziamenti esteri di influenzare il comportamento e le scelte delle Ong, compromettendone indipendenza e integrità. Parallelamente, la scarsa partecipazione dei cittadini georgiani alla vita politica resta un nodo cruciale e irrisolto.
Questo scenario complesso, non esaminabile in maniera semplicistica, potrebbe rafforzare la percezione che l’adesione all’Ue sia cruciale per il futuro della Georgia, tralasciando le frustrazioni e le problematiche materiali più urgenti.
L’Europa, dal canto suo, ha minacciato di bloccare il processo di adesione della Georgia, mettendo ulteriormente a rischio i già fragili equilibri del paese. Attualmente, non esistono linee guida europee per la gestione del processo di integrazione che considerino le dinamiche interne specifiche della Georgia, il che potrebbe portare a una crisi potenzialmente distruttiva. Manca una piattaforma di mediazione adeguata per affrontare quella che potrebbe evolversi in una nuova e profonda crisi euroasiatica.
La situazione in Georgia si inserisce in un contesto di conflitto di memorie e simboli, tra passato e presente, stretta tra la pressione dell’Unione Europea e l’ombra dell’influenza russa.
Tuttavia, il contesto generale mette in evidenza una serie di complessità che sopravanzano la dicotomia tra orientamento filo-occidentale e filo-russo, e pone la questione della sostanzialità della democrazia e sulle sue possibilità di attuazione, nonché del coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali, evitando di giocare sulla loro pelle pericolose partite geopolitiche.
L’Europa, imperturbabile, osserva da lontano, una realtà diversa da come la immagina. La comunità internazionale deve riconoscere la complessità della situazione georgiana e promuovere un dialogo inclusivo che tenga conto delle aspirazioni e delle preoccupazioni della popolazione. La vera sfida risiede nella capacità di costruire un sistema politico che sia davvero rappresentativo e in grado di rispondere ai bisogni delle cittadine e dei cittadini