13. Un Partito Democratico woke
Negli ultimi anni, sulla scia del sol dell’avvenire americano, il Partito Democratico ha abbracciato in maniera sempre più convinta la causa del politicamente corretto, proprio mentre negli Stati Uniti comincia a levarsi qualche voce dissonante anche all’interno dell’area liberal. Del resto, succede sempre così. Le idee americane attecchiscono da noi con qualche decennio di ritardo. Un po’ come al mercato dell’usato. Arrivano i capi di seconda mano quando lì vengono lanciate le nuove tendenze.
La cosiddetta ideologia woke, come risaputo, mira a combattere ogni forma di discriminazione. In particolare, quelle derivanti da orientamento sessuale e motivi razziali. Il campo è comunque assai vasto. La sherlockholmesiana ricerca anche dei più piccoli episodi di omotransfobia o di razzismo linguistico richiede gran dispendio di energie, ragion per cui ai woke non ne rimangono molte per le discriminazioni di carattere socioeconomico.
Alla vigilia del mondiale del Qatar si è dibattuto sull’opportunità che i calciatori indossassero un braccialetto arcobaleno, come forma di protesta contro le discriminazioni sessuali in atto nell’Emirato, non un braccialetto nero per i circa 6500 lavoratori stranieri morti nella costruzione degli stadi dove si sarebbe giocato.
Spesso l’ossessiva ricerca della discriminazione finisce pure col perdere di vista la realtà nel suo complesso, per cui l’epifenomeno impedisce di mettere a fuoco il fenomeno principale. Come nel caso del Black Lives Matter, che fiumi di retorica ha fatto scorrere nel mondo intero e anche oltre. A distanza di tre anni dal caso Floyd, ha avuto immediata eco in tutto il mondo l’uccisione di un altro afroamericano da parte della polizia. I giornali italiani hanno dato subito fuoco alle polveri. Come spesso succede, ancor prima di aver capito l’esatta dinamica dei fatti. Poco dopo, infatti, è venuto fuori che i cinque agenti che hanno massacrato l’uomo erano anch’essi afroamericani. Se almeno uno di loro fosse stato bianco, ci sarebbe stato certamente un revival del movimento. I giornali non avrebbero mollato l’osso, dando voce alle proteste e contribuendo in questo modo ad alimentarle. Sfortunatamente erano tutti e cinque afroamericani. Proprio neri neri, senza il minimo appiglio genetico possibile. Il caso, dunque, immediatamente si sgonfia.[1] Pazienza se si è persa una buona occasione per affrontare problemi di ben maggiore impatto: la violenza diffusa tra le forze dell’ordine e nella società americana in generale, nonché la discriminazione verso gli strati più poveri della popolazione. Ma, evidentemente, nel mondo woke questi problemi non tirano.
Forse è improprio dire che i diritti civili siano diventati una moda, però non c’è dubbio che il tema sia di moda, come del resto dimostra la puntigliosa copertura che tv e giornali (notoriamente non insensibili alle mode) vi dedicano.
La discriminazione più grande, invece, quella causata dalla povertà, nonostante si verifichi migliaia di volte al giorno, tutti i giorni dell’anno e in tutte le città del mondo, viene praticamente ignorata. Forse proprio perché si ripete decine di migliaia di volte al giorno, il fenomeno non suscita particolare interesse. I giornali, si sa, coprono la notizia dell’uomo che morde il cane, non del cane che morde l’uomo. Anche se nella fattispecie i cani che mordono sono legioni. Il fatto è che la povertà e anche l’indigenza sono ormai entrate a far parte della nostra normalità. Non ci sorprendono. Non suscitano più scandalo e non richiamano attenzione. Raramente le file alla Caritas finiscono sotto i riflettori. Ancor più raramente vi finiscono i singoli che compongono quelle file.
Nemmeno le problematiche legate al mondo del lavoro appassionano particolarmente i woke. Nel 2022 ci sono stati in Italia oltre mille morti sul lavoro, spesso dovuti al non rispetto dei protocolli di sicurezza, spesso a sua volta dovuto alla smodata ricerca del profitto. Anche in questo caso i resoconti dei giornali non danno l’idea delle dimensioni del fenomeno. I morti finiscono per l’essere quasi disumanizzati nella fredda contabilità delle cifre. Come per tutte le cose che accadono regolarmente, ci si fa l’abitudine. Solo in quegli episodi nei quali l’incidente sul lavoro assume i caratteri della strage, succede di vedere volti e vite delle vittime. In tutti gli altri casi rimangono numeri senza storia.
Non si vuole con tutto ciò insinuare che il dibattito o la lotta per i diritti civili siano un lusso. Al contrario, prerogativa e vanto di un paese democratico è proprio ampliare il ventaglio dei diritti dei cittadini al fine di garantire il diritto alla felicità di ognuno. Non a caso tale ventaglio va riducendosi man mano che si passa nei paesi illiberali, dove lo Stato si fa tutore della moralità, laica (Cina) o religiosa (paesi islamici) che sia.
Le questioni sono piuttosto altre.
In primo luogo, in una democrazia moderna i diritti civili non dovrebbero essere cavalli di battaglia di una parte politica, ma costituire piuttosto un patrimonio comune del tessuto sociale. Temi come eutanasia, unioni gay o aborto non sono divisivi in Germania o Regno Unito. Lo sono, invece, in quelle democrazie nelle quali la religione ha avuto storicamente e continua ad avere un forte peso politico: Stati Uniti e Italia, per esempio. Un partito di sinistra deve battersi per essi, è vero, ma ancor prima deve battersi affinché perdano ogni connotazione politica. Anche perché, come vediamo dopo, dal trasformarli in bandiere ha tutto da perdere e niente da guadagnare.
In secondo luogo, la rivendicazione di diritti tende spesso a trasformarsi in bulimia di diritti, per cui risulta facile confondere diritti che rendono la società più giusta e quelli che diritti non sono, e anzi contribuiscono a perpetuare le ingiustizie. Un conto è estendere alle coppie omosessuali il diritto all’adozione, riconoscendo loro il diritto di essere equiparate alle coppie eterosessuali, ben altro è riconoscere come diritto il desiderio di avere figli attraverso la maternità surrogata retribuita, che altro non è se non un rapporto di sfruttamento del più forte verso il più debole. Pratica peraltro curiosamente condivisa da molti sedicenti progressisti, forse abbacinati da quell’idea diffusa dal capitalismo selvaggio, secondo la quale del proprio corpo si può disporre come meglio si crede, che spesso è solo un modo per edulcorare ogni forma di sfruttamento con la patina della libertà, al fine di spacciare il bisogno per scelta.
Un conto, inoltre, è il rispetto delle minoranze, ben altro la loro dittatura. Un conto è riconoscere le peculiarità di una minoranza, prevedere per esempio che nei documenti di un bambino figlio di una coppia omosessuale compaiano le diciture genitore 1 e genitore 2,[2] ben altro è trasformarlo in pensiero unico valido per tutti, e in nome di una falsa uguaglianza prevedere che nei documenti di un bambino figlio di una coppia eterosessuale non possano comparire le diciture padre e madre. Il problema non è che una singola tesi e/o rivendicazione possa essere giusta, ma il germe totalitario insito nel politicamente corretto, in nome del quale chi si discosta o si dissocia si ritrova a essere trascinato in una specie di autodafé coram populo social.
In ultimo, ed è quello che in questa sede ci interessa di più, il sospetto o la sensazione che la crescente sensibilità del PD verso i diritti civili non proceda di pari passo con un’analoga sensibilità verso le diseguaglianze sociali. Anzi, che succeda piuttosto il contrario.
È chiaro che un partito può adoperarsi contemporaneamente per i diritti del lavoro e per i diritti civili, come contemporaneamente si occupa di tanti altri aspetti della società. Il problema si pone quando per occuparsi dei secondi tralascia i primi, quando all’aumento dell’attivismo per la difesa dei diritti civili corrisponde un abbassamento, se non la scomparsa di ogni attivismo nella difesa degli oppressi e degli ultimi. Allora viene il sospetto, che è più di un sospetto, che si occupi tanto dei secondi perché non vuole o non può più occuparsi dei primi, e che pensi di assolvere al suo dovere morale di difendere gli oppressi e gli ultimi difendendo le vittime di discriminazioni sessuali, razziali o religiose.
Tutti gli elementi, alla fine, conducono al punto già evidenziato prima. Difendere gli oppressi e gli ultimi è oggi per la sinistra una sfida tanto ardua da affrontare, e ancora di più da vincere, da spingerla a ignorarla. Ripiegare, però, sulle battaglie di nicchia pensando di recuperare da una parte la credibilità che si perde dall’altra è una falsa soluzione. In realtà, si compie soltanto una metamorfosi, perdi l’identità di partito di sinistra per diventare “un grande Partito Radicale”[3] libertario e liberista.
Il discorso identitario che stiamo facendo per la sinistra vale per molti aspetti anche per la destra. Anche la destra, una volta arrivata al governo, deve mettere da parte i proclami e adattarsi alla dura realtà. Sarebbe esercizio non da poco individuare delle differenze tra il governo Draghi e il governo Meloni, abbigliamento a parte.
Ancora una volta però la buona sorte è dalla sua. La dura realtà, cioè le politiche economiche alle quali i nostri governi sono obbligati a conformarsi, come abbiamo visto, è più vicina alla destra che alla sinistra. Ragion per cui, pur adattandosi alle richieste dell’UE e allineandosi alle posizioni della NATO, non ci rimette la faccia quanto ce l’ha rimessa la sinistra.
Nello stesso tempo, spostando il terreno dello scontro sui diritti civili, la metamorfosi del PD offre alla destra un ottimo assist. Anche in questo campo non c’è partita, la sinistra parte battuta.
Le preoccupazioni principali dei ceti popolari, infatti, riguardano le condizioni economiche acuite dal degrado sociale che spesso vi fa da sfondo. I matrimoni omosessuali non sono il primo pensiero di chi non riesce a racimolare i soldi per vivere e si sente ulteriormente minacciato dai fenomeni migratori. Anzi, è diffusa, e non del tutto campata in aria, l’idea che chi rivendica quei diritti appartenga comunque a minoranze più agiate. La destra ha così gioco facile nel catturare i consensi tra le fasce più svantaggiate della popolazione. Pur facendo le stesse identiche cose fatte dai governi precedenti, può sventolare le sue bandierine di difesa della famiglia e dei valori tradizionali e di denuncia del degrado provocato dai fenomeni migratori.
L’adesione all’ideologia del politicamente corretto, per chiudere il discorso, segna il momento della definitiva rottura di questo PD “elegantemente progressista”[4] con gli strati popolari. Ma lungi dal comprenderlo o dal prenderne atto, il partito prosegue la sua deriva, addentrandosi anche nei vicoli più accidentati dell’ideologia woke, come la cosiddetta cancel culture, quella sorta di fondamentalismo progressista proteso a indagare il passato con logica inquisitoria al fine di correggere anche ciò che è stato, nonché, in estrema sintesi, la via più lineare per tornare all’età della pietra.
È di recente attualità l’idea di istituire una giornata per la celebrazione delle vittime del colonialismo italiano. Storia che si riteneva archiviata con la fine della Seconda guerra mondiale. Quanto sia opportuno o necessario occuparsi di un fenomeno chiuso quasi un secolo addietro, è difficile dire. Anche perché se ci si mette a rimestare il passato, non si finisce più. Si potrebbe arrivare pure alle vittime delle guerre servili. Il messaggio, però, che iniziative simili veicolano tra la gente comune, è che la sinistra non abbia cose serie di cui occuparsi, come se nella società odierna non vi siano questioni più impellenti da affrontare. Veramente precari e disoccupati si aspettano oggi dalla sinistra l’istituzione di una giornata per la celebrazione delle vittime del colonialismo italiano?
(13. continua)
[1] https://www.agi.it/estero/news/2023-01-26/caso-afroamericano-ucciso-da-agenti-neri-19822662/#:~:text=Dopo%20la%20morte%20di%20Tyre,persona%2C%20pestaggio%20e%20condotta%20scorretta. (consultato l’ultima volta il 2-12-2023).
[2] Probabilmente, però, non ci si è ancora resi conto della discriminazione che ne deriva. Ci sarà infatti un genitore con il numero 1 e un altro con il 2, cioè un primo e un secondo. Non il modo migliore di cominciare. Attendiamoci quindi un nuovo dibattito su come si debba correggerla. Si potrebbe, per esempio, abbinarla con delle lettere, in modo che queste compensino le cifre, tipo genitore B1 e genitore A2.
[3] Luca Ricolfi, La mutazione
[4] Luciano Canfora, La democrazia sei signori.